In assenza di un modello di governance globale sugli aspetti etici dell’intelligenza artificiale, l’Unione europea, attraverso un’azione legislativa comune, avrebbe il potenziale per diventare un modello e ottenere un vantaggio competitivo in questo campo. Se così fosse, quale sarebbe il valore aggiunto che potrebbe generarsi grazie a un approccio comune europeo rispetto allo sviluppo di singole politiche nazionali?
È proprio a questa domanda che si cerca di rispondere nell’analisi condotta dal Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo (EPRS) dal titolo “European framework on ethical aspects of artificial intelligence, robotics and related technologies“.
Attraverso una valutazione quantitativa dei possibili impatti economici in termini di prodotto interno lordo e occupazione e una, invece, qualitativa basata su cinque criteri, dallo studio emerge che un’azione comune europea sarebbe da preferire come soluzione politica rispetto all’attuale status quo. Una strategia di questo tipo avrebbe il potenziale per portare all’Unione 294,9 miliardi di euro di Pil aggiuntivo e 4,6 milioni di posti di lavoro in più entro il 2030.
Lo studio presenta ovviamente alcuni limiti dovuti per lo più all’assenza di una definizione concordata del concetto di intelligenza artificiale e all’effettiva portata dell’azione europea in materia di etica. Oltre che alla scarsa disponibilità di dati storici strutturati. Di conseguenza, fornisce esclusivamente un risultato parziale che dovrà essere in futuro ulteriormente aggiornato e verificato con dati supplementari.
Inoltre, l’analisi condotta può essere considerata uno spunto di riflessione nel contesto della più ampia discussione europea e nazionale (qui il video integrale dell’audizione del presidente I-Com Stefano da Empoli al Senato) sulle potenzialità, lo sviluppo e l’utilizzo di queste tecnologie nonché sulla competitività globale.
Nonostante ciò, la ricerca potrebbe alimentare il dibattito sulle questioni etiche dell’intelligenza artificiale. Senza dubbio un quadro europeo avrebbe come obiettivo adattare e integrare il sistema di regole esistenti per fornire una guida ex ante, dinamica e lungimirante, in modo che lo studio e l’applicazione di queste tecnologie aderiscano ai principi etici e ai valori di una specifica società.
Di conseguenza, questa guida dovrebbe fornire un quadro di riferimento per poter sfruttare pienamente i benefici delle tecnologie digitali emergenti senza compromettere o minacciare le nostre norme e i nostri valori umani o imporre rischi che non sono coperti dalla legislazione attuale. Ma la riflessione è in questo contesto spinta maggiormente da una logica di competitività globale sui temi del digitale: un’azione legislativa comune dell’Unione europea potrebbe fornire al suo settore industriale un vantaggio competitivo e ottenere i benefici da “primo arrivato”.
Sulla base di questo ragionamento, costituisce un ulteriore spunto di riflessione il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR). Un documento che, richiamato anche all’interno dell’analisi condotta dal Servizio di Ricerca del Parlamento Europeo, costituisce – in accordo con l’ultimo report della Commissione – un esempio recente di come l’Unione, agendo come un blocco regionale, possa costruire con successo un vantaggio strategico globale.