Dopo il colpo inferto all’economia dei Paesi europei dalla diffusione del Covid-19, il Recovery Fund è tra gli argomenti più caldi del momento. Uno strumento a cui si consegnano tante speranze per la ripresa economica, produttiva e occupazionale dell’Italia. Al mastodontico piano di stimolo Next Generation Eu, a cui il nostro Paese dovrebbe attingere per quasi 209 miliardi di euro (ripartiti in 127,4 miliardi di prestiti e 81,4 di contributi a fondo perduto), si guarda come il veicolo attraverso cui realizzare iniziative attese da anni e implementare misure di ambizioso rilancio del Sistema Italia. Ma quali saranno i progetti candidati dal governo a essere finanziati con le risorse europee?
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), di cui oggi abbiamo le linee guida, sarà costruito raccogliendo le proposte che, avanzate dalle amministrazioni ai vari livelli, dagli enti territoriali e da potenziali co-investitori, saranno poi selezionate attraverso criteri oggettivi orientati al raggiungimento degli obiettivi nazionali ed europei. In corrispondenza della pubblicazione delle linee guida, è stata diffusa senza il consenso del governo una lista di 557 progetti candidati a far parte del piano di ripresa italiano. Si tratta senz’altro di un documento relativo a uno stadio iniziale dei lavori dell’esecutivo, frutto di una raccolta di proposte tra i ministeri e altri soggetti e ampiamente superato (per non considerare poi che tutti i progetti considerati, messi insieme, ammontano a 677 miliardi di euro, più del triplo del budget potenziale), ma è comunque utile dargli un’occhiata per verificare il carattere delle proposte in discussione.
Scorrendo la lista delle iniziative, troviamo, proposti dal ministero dell’Istruzione, 2,7 miliardi per la digitalizzazione delle scuole e 2,2 per gli Istituti Tecnici Superiori. Quello dell’Università e della Ricerca, invece, ha immaginato di ampliare e adeguare gli enti pubblici di ricerca e di creare 20 innovation ecosystem in 3 anni (1,5 miliardi). Il ministero della Salute ha chiesto 34 miliardi per la riqualificazione degli ospedali, 5 miliardi per la realizzazione di Case di Comunità, punti di riferimento di prossimità per i cittadini, e 4 per presidi temporanei di degenza. Il ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo ha proposto, invece, un Piano per la digitalizzazione del patrimonio culturale pubblico del valore di 2,5 miliardi mentre quello dell’Ambiente ha pensato a un Piano per il collettamento e la depurazione delle acque reflue (8,7 miliardi), settore in cui l’Italia è soggetta a procedure di infrazione europee, e a 2,5 miliardi per “foreste urbane resilienti” nelle 14 città metropolitane. Dal canto suo, il Dipartimento delle politiche per la famiglia ha ritenuto prioritario lo sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia (2,8 miliardi) mentre il ministero dello Sviluppo economico ha presentato un novero molto ampio di progetti, superando i 120 miliardi di euro. Tra gli interventi più corposi, un Piano di settore per la trasformazione digitale, green e il potenziamento della filiera industriale, aerospaziale e della difesa (25 miliardi), interventi sulla rete elettrica nazionale (8,5 miliardi), un credito d’imposta per la produttività destinato alle piccole e medie imprese (5 miliardi) e una Strategia nazionale per il settore agroalimentare (5 miliardi).
È vasta anche la gamma di misure infrastrutturali. Il ministero guidato da Paola De Micheli ha incluso nelle sue proposte la Palermo-Catania-Messina (4,5 miliardi), l’Alta Velocità Napoli-Bari (2,6 miliardi) e la tanto discussa Torino-Lione (1 miliardi). Al contrario, non figura un’altra opera di cui da decenni si parla nel dibattito pubblico: il Ponte sullo Stretto. Forte attenzione anche per la digitalizzazione della pubblica amministrazione. Il ministero competente ha immaginato di dedicare 4 miliardi alla trasformazione dei luoghi di lavoro e alla promozione del lavoro flessibile e 5 miliardi per lo sviluppo di Poli Tecnologici Avanzati. Il ministero per il Sud e la Coesione territoriale guarda, invece, al rilancio della Strategia nazionale per le aree interne (5 miliardi) mentre quello della Difesa vuole puntare sulla digitalizzazione e l’incremento delle capacità cyber (1,9 miliardi) e quello per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione intende investire in intelligenza artificiale, robotica e IoT, mobilità innovativa e favorirne l’adozione sul territorio (3 miliardi) nonché sviluppare piattaforme di e-commerce locali su tutto il territorio italiano (2 miliardi).
Non mancano, tuttavia, i progetti proposti dalle agenzie pubbliche. L’Agenzia del demanio ha chiesto 2,5 miliardi per la diffusione dello smart working. L’Agenzia per le Politiche Attive del Lavoro ambisce, invece, a “un piano per le nuove competenze” di rilancio delle politiche attive e a sostegno delle transizioni occupazionali del valore di 11,2 miliardi e a percorsi di empowerment femminile (4,2 miliardi).
Si notano anche progetti, di primo acchito, più curiosi, come l’ammodernamento degli impianti di molitura delle olive (1,2 miliardi) o il progetto “Giustizia predittiva” dell’Avvocatura di Stato, che intende implementare modelli di intelligenza artificiale per la predisposizione degli atti difensivi e dei pareri legali e per la predizione del possibile esito della causa sulla base dei risultati delle precedenti difese (7 milioni). Oppure il potenziamento dei servizi meteo (253 milioni) o la realizzazione di una costellazione di satelliti modulare al fine di garantire capacità 5G a banda larga e bassa latenza e copertura sul territorio nazionale, europeo e globale alle unità della Difesa (170 milioni).
Vedremo se e quali di questi progetti troveranno posto nella versione ufficiale del Piano nazionale di rilancio, che sarà presentato dalla Presidenza del Consiglio a gennaio, e se – soprattutto – risponderanno ai rigorosi criteri europei e riceveranno una valutazione utile al finanziamento.