Dal Next Generation Eu al Mes. La risposta europea alla crisi secondo Robustelli (Eunews)


Intervista
Giulia Palocci
next generation eu
Credit: Pixabay

Dal Next Generation Eu al Mes, passando per il programma Sure, sono molti gli strumenti messi sul piatto dall’Unione europea per sostenere gli Stati nella gestione dell’emergenza Covid-19. Alcuni sono già operativi, per altri, invece, dovremmo aspettare che diversi nodi vengano sciolti. Ma come può essere valutata la risposta dell’Unione alla crisi ancora in corso? Si poteva fare di più? E qual è la percezione di Bruxelles sulla capacità dell’Italia di spendere i fondi europei che saranno messi a disposizione? Di questo e altro abbiamo parlato con il direttore di Eunews Lorenzo Robustelli, impegnato, tra le altre cose, nell’organizzazione dell’iniziativa “How can we govern Europe“, che si svolgerà (online) giovedì 3 dicembre. L’evento, giunto alla sua settima edizione, sarà l’occasione per discutere il presente e il futuro dell’Unione europea, con un occhio particolare alla partecipazione italiana alle politiche di Bruxelles. Anche l’Istituto per la Competitività (I-Com) sarà presente con il direttore dell’area Digitale Silvia Compagnucci che modererà il panel dal titolo “Effetti digitali del coronavirus: nuovi modelli per istruzione e formazione“, al quale è attesa, tra gli altri, la partecipazione del ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina.

Recovery Fund, Mes, Sure. Direttore, sono molti gli strumenti messi in campo dall’Unione per fronteggiare l’emergenza coronavirus. Secondo lei, la risposta europea alla crisi è stata all’altezza delle aspettative?

Al pari degli Stati europei, anche l’Unione è stata colta di sorpresa dall’arrivo di questa pandemia. Dopo un po’ di confusione iniziale, si è mossa piuttosto rapidamente a mio avviso, riuscendo anche a trovare un primo bocciolo di solidarietà con il piano Next Generation EU, che è uno strumento molto importante. Per non parlare dell’impegno in campo sanitario – in cui, ricordiamolo, l’Ue non ha particolari poteri – da un lato, stringendo accordi per i vaccini, dall’altro, coordinando le chiusure delle frontiere, i lockdown, il commercio tra gli Stati. Secondo me, è riuscita a ristabilire un po’ di ordine.

Quanto ha influito il cambio di atteggiamento di alcuni Stati come, ad esempio, la Germania da sempre contraria a debito e deficit, sull’azione dell’Europa?

Questa è stata la cosa fondamentale, in pratica la chiave di volta che ha permesso agli Stati di capire che l’Unione europea unita è più forte sotto molti punti di vista, dall’industria alla sanità, passando per la politica. Sono state poste basi importanti per una futura evoluzione.

Il veto di Polonia e Ungheria sul bilancio 2021-2027 dell’Unione ritarda ulteriormente la partenza del Recovery Fund. Quali sono le cause di questa situazione?

E’ venuto alla superficie un problema che si è creato nel corso degli anni, ossia lasciare spazio a uomini “forti”, che hanno scarso rispetto per la democrazia come viene intesa nell’Unione, in Polonia e in Ungheria. E la colpa, nel caso di Viktor Orbán ad esempio, è stata anche del Partito popolare europeo di cui fa parte (al momento si è auto-sospeso), che negli ultimi anni non ha agito con determinazione contro alcune politiche del primo ministro ungherese. Personalmente non credo si tratti di un bluff.

Cosa servirà per uscire dall’impasse, a suo avviso?

L’Unione non può cedere su questo punto, altrimenti perderebbe la faccia non solo sul piano interno, ma anche su quello internazionale. Naturalmente, per evitare che gli sforzi compiuti fino ad ora vengano vanificati, sta anche avanzando una riflessione sul rendere il Recovery Fund uno strumento intergovernativo o di cooperazione rafforzata. L’Unione, in pratica, potrebbe prepararsi ad andare avanti anche a 25 (o 24, se la Slovenia dovesse dar seguito alle sue posizioni a favore di Polonia e Ungheria).

A tal proposito, qual è la percezione a Bruxelles sulla capacità italiana di gestire i fondi europei?

Qualche preoccupazione c’è a causa delle esperienze passate. Ma bisogna riconoscere che i diplomatici italiani, come pure il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola, sono in pianta stabile qui a Bruxelles per elaborare il piano secondo le linee guida che il governo italiano ritiene necessarie e lavorare a più stretto contatto con la Commissione. La sensazione è che il nostro Paese stia cercando di elaborare un piano meno fantasioso di quelli passati, più concreto e realizzabile.

Qualche giorno fa il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha dichiarato che il Mes deve essere riformato e che i debiti accumulati dagli Stati per gestire l’emergenza Covid cancellati. Che reazioni ha suscitato questa posizione a Bruxelles?

Il presidente Sassoli è entrato in un dibattito in corso da tempo. Il problema è che nessuno Stato ricorre al Meccanismo europeo di stabilità per una serie di ragioni differenti e il fatto di avere uno strumento così potente che non viene usato pone inevitabilmente un problema. La proposta di Sassoli di riformarlo da intergovernativo a comunitario aumenterebbe la fiducia di alcuni Paesi in uno strumento che forse, ad oggi, fa ancora paura.

E sul debito?

Da questo punto di vista, in realtà, quello che ha detto non è chiaro: si riferisce al debito del Recovery Fund (che nemmeno è partito) oppure intendeva renderlo un debito perpetuo? Ecco, vista da qui non mi è molto chiaro. D’altra parte, con il Recovery Fund l’Unione eroga molti soldi a fondo perduto, quindi bisogna ammettere che uno sforzo è stato fatto.

Anche quest’anno torna l’iniziativa organizzata da Eunews dal titolo “How can we govern Europe?“. Quali saranno i temi dell’incontro?

Sarà un dibattito (quest’anno online) molto interessante con personalità di spicco da tutto il Vecchio continente. Partiremo dal Recovery Fund e dal Green Deal, che sono le grandi sfide che attendono l’Europa nei prossimi anni. Ma sarà dedicato un focus particolare anche agli effetti del coronavirus su alcuni settori chiave: il lavoro, il digitale, l’agricoltura e, infine, il comparto farmaceutico. Ne discuteremo con grandi ospiti: oltre al presidente del Parlamento europeo David Sassoli, ci saranno diversi rappresentanti istituzionali italiani come, ad esempio, il ministro per il Sud e la Coesione territoriale Giuseppe Provenzano, che ha già confermato la sua presenza. Tra gli altri, è attesa l’apertura del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Qui il link per registrarsi all’evento.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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