La corsa per i vaccini è entrata nella sua fase più calda man mano che le aziende giunte all’ultimo stadio di sperimentazione clinica hanno iniziato a comunicare i risultati dei test e ad annunciare di essere pronte a chiedere l’autorizzazione alle agenzie del farmaco per procedere alle prime campagne di vaccinazione.
Per trovare un vaccino, a causa della recente scoperta del virus e della difficoltà di prevedere il tipo di risposta immunitaria prodotta, le strategie adottate sono state molto diversificate fra loro e, di conseguenza, la stessa cosa può dirsi del tipo di farmaco in grado di proteggere dall’infezione.
In genere la sperimentazione clinica si realizza in tre fasi. Inizialmente avviene la prima somministrazione del vaccino sull’uomo per valutare la tollerabilità e la sicurezza del prodotto (il numero delle persone coinvolte è molto ridotto). Poi il vaccino viene somministrato a un numero maggiore di soggetti per valutarne la risposta immunitaria, la tollerabilità, la sicurezza e per definire le dosi e i protocolli di somministrazione più adeguati. Nella terza e ultima fase, il farmaco viene somministrato a un numero elevato di persone allo scopo di valutare la sua reale funzione preventiva. Se tutte e tre le fasi hanno dato esito positivo, il prodotto viene registrato e si procede alla produzione e distribuzione su larga scala.
Lo sviluppo del vaccino è un processo lungo che, normalmente, richiede anni. Se risulta sicuro ed efficace, deve poi rispondere a tutti i requisiti regolatori e ottenere l’approvazione. Nell’attuale emergenza è stato proposto un periodo di tempo più ristretto compreso tra i 12 e i 18 mesi, con team di esperti di tutto il mondo che lavorano per aumentare la velocità di ricerca di un candidato efficace. Inoltre, trattandosi di un’emergenza sanitaria globale, la capacità di produzione dovrebbe essere garantita prima del termine degli studi clinici e ripartita a livello mondiale per garantirne anche un’equa distribuzione.
A tal proposito, l’Organizzazione mondiale della sanità ha riunito leader e partner sanitari, compresi quelli del settore privato, in un’iniziativa mirata ad accelerare lo sviluppo e la produzione del nuovo vaccino anti Covid-19, di test e trattamenti al fine di consentire un accesso equo alle cure in tutto il mondo.
Attualmente, la Commissione europea ha già approvato sei contratti con diverse case farmaceutiche per la produzione e l’acquisto di vaccini per il coronavirus. Un portfolio diversificato che garantirà all’Europa di farsi trovare pronta una volta disponibile.
I vaccini oggetto dei contratti già approvati sono prodotti da AstraZeneca, Janssen Pharmaceutica, BioNTech-Pfizer, Moderna, Sanofi-GSK e CureVac, con le prime quattro che hanno raggiunto la terza e ultima fase di sperimentazione.
Ma quali sono le differenze tra questi vaccini? La strategia adottata dall’Unione europea è stata quella di investire in prodotti che utilizzassero diverse metodologie per raggiungere lo stesso scopo, in modo da poter diversificare il rischio nel caso in cui uno o più metodi di sviluppo risultassero inefficaci, non affidabili o non abbastanza sicuri.
Per sviluppare una risposta immunitaria al nuovo coronavirus, la comunità scientifica ha da subito posto la sua attenzione alla proteina che permette al virus di attaccare e infettare le cellule umane, che in questo caso è la proteina Spike.
Sia il vaccino di AstraZeneca (AZD1222), realizzato in collaborazione con la Oxford University, sia quello di Janssen (AD26.COV2-S) sono a vettore virale non replicante. Il che vuol dire che entrambe le case farmaceutiche utilizzano come vettore virale una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus) geneticamente modificato in modo che non possa replicarsi nei pazienti vaccinati. All’adenovirus, poi, è stato aggiunto il codice genetico per fornire istruzioni per la produzione della proteina Spike del coronavirus, facendo in modo che, una volta iniettato nell’organismo, il virus cominci a produrla. Ciò si traduce nella formazione di anticorpi contro la proteina Spike, la stessa che si trova sulla superficie dei coronavirus, impendendo così che l’organismo possa infettarsi.
Gli altri due vaccini arrivati all’ultima fase di sperimentazione, cioè quelli sviluppati da Moderna (mRNA-1273) e BioNTech-Pfizer (BNT162b2), sono prodotti a RNA messaggero, contengono cioè istruzioni genetiche per costruire la proteina Spike. Quando viene iniettato nelle cellule, il vaccino fa sì che vengano prodotte proteine Spike che, rilasciate nel corpo, provocano una risposta del sistema immunitario.
Un’altra caratteristica che differenzia questi vaccini sono le temperature di stoccaggio e distribuzione. Quello di BioNTech-Pfizer ha bisogno di temperature basse e dell’ordine dei -75° (o comunque tra i -70 e i -80°). Solo negli ultimi giorni prima dell’iniezione può essere conservato alle temperature di un normale frigorifero: a 4° può resistere per 5 giorni. La formulazione di Moderna, invece, può essere conservata ad appena -20° (dunque parrebbe avere un importante vantaggio competitivo) per un massimo di 6 mesi di stoccaggio. Poi può restare tra i 2 e gli 8° fino a un massimo di 30 giorni. Al contrario, i vaccini di AstraZeneca e Janssen possono essere conservati a normali temperature da frigorifero, cioè tra i 2 e gli 8°, come i vaccini tradizionali.
Ma i prodotti sono diversi anche dal punto di vista dell’efficacia. Moderna ha annunciato che il suo vaccino è efficace al 94,5%, percentuale che sale al 100% se si considera il gruppo di sperimentazione che ha riscontrato casi severi di Covid-19. Pfizer e BioNTech, dal canto loro, hanno dichiarato che l’analisi dei dati della terza fase di sperimentazione indica un tasso di efficacia del vaccino del 95%. Per quanto riguarda il vaccino AstraZeneca, con due somministrazioni a dose piena iniettate a distanza di quattro settimane, i risultati di laboratorio hanno restituito un’efficacia del 62%. Invece dopo una prima accidentale somministrazione di mezza dose di vaccino a cui ha fatto seguito una dose piena, a quattro settimane di distanza, la risposta immunitaria risulta essere stata molto più forte, portando l’efficacia al 90% (qui i dati contenuti nello studio). Per il vaccino Janssen, invece, la terza fase di sperimentazione è ancora in corso (qui lo studio sull’efficacia). Tuttavia, questi dati sono soggetti a possibili cambiamenti dovuti all’aumento delle persone a cui verrà iniettato il vaccino e i follow-up che le aziende farmaceutiche sono tenute a eseguire nel medio e lungo termine.
La ricerca e la futura distribuzione dei vaccini per il Covid-19 si presentano come grandi sfide per la comunità internazionale. I singoli Paesi si trovano di fronte alla necessità di sviluppare un piano di acquisto, distribuzione e somministrazione senza precedenti, che permetta un equo accesso a tutta la popolazione. Saremo pronti su tutti i fronti all’arrivo dei vaccini?