Il ruolo del digitale durante il lockdown secondo il Censis


Articolo
Giusy Massaro
Censis

L’emergenza sanitaria generata dal Covid-19, e il conseguente lockdown, hanno messo in discussione gli equilibri di ciascuno di noi, sia sul piano professionale, sia su quello personale. A chi di noi non è venuto spontaneo chiedersi: ma se tutto questo fosse accaduto 30 anni fa, come avremmo portato avanti le nostre attività lavorative? Come avremmo potuto mantenere i rapporti con le persone a noi care?

Il settore delle comunicazioni ha giocato un ruolo centrale nella gestione dell’emergenza e si è dimostrato – ancora una volta – l’asse portante di ampi segmenti del sistema economico e sociale. Internet ha consentito a consumatori e aziende di approvvigionarsi di beni essenziali, con il ricorso all’e-commerce e i connessi servizi di consegna pacchi, agli istituti scolatici e alle università di continuare a svolgere le proprie attività formative, alle pubbliche amministrazioni di assicurare continuità nell’erogazione dei servizi pubblici essenziali. E ancora, ai media di garantire una capillare copertura informativa circa il dipanarsi della situazione emergenziale.

L’aver trasferito improvvisamente online buona parte della vita relazionale, formativa e lavorativa del Paese ha però fatto suonare un campanello d’allarme in merito sia alla tenuta della rete, sia alla scarsa informatizzazione delle famiglie italiane: secondo l’Istat, nel 2019 oltre un italiano su quattro non utilizzava Internet, con percentuali che raggiungono il 70% per gli over-65.

E invece, contro ogni aspettativa – come sottolineato nel 54° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese pubblicato lo scorso 4 dicembre – la “rete delle reti” ha retto a un aumento di traffico senza precedenti e ha permesso a tutti gli italiani di continuare a lavorare, studiare e mantenere i contatti con i familiari lontani o semplicemente non raggiungibili. In particolare, un boom è stato registrato sicuramente nell’utilizzo delle piattaforme per videochiamate e videoconferenze, che ha contenuto gli effetti sociali negativi delle restrizioni imposte dalla pandemia. Il lockdown non solo ha generato nuovi utenti – quasi 43 milioni di persone sono rimaste in contatto con amici e parenti grazie a questi sistemi che utilizzano Internet – ma ha anche fortemente incrementato l’uso della rete da parte di chi già ne faceva uso, sia per scopi professionali che sociali.

L’indagine svolta dal Censis sottolinea come il 6,4% degli intervistati abbia cominciato a far uso di simili strumenti proprio durante il lockdown, mentre oltre il 57% ne ha incrementato l’uso precedente. Interessante è scoprire che è aumentata la frequenza di utilizzo anche per un terzo degli intervistati nella fascia di età superiore ai 65 anni. Questo dato si traduce in circa il 60% di chi ha dichiarato di averne fatto uso già prima del lockdown e, sebbene inferiore rispetto alle altre fasce d’età, è interessante se si considerano due aspetti: da un lato, la minore propensione degli ultrasessantacinquenni all’utilizzo di questi strumenti (e di Internet in generale), dall’altro, il fatto che non sono interessati da motivazioni – quali studio o lavoro – che hanno sicuramente riguardato in maniera determinante le altre fasce della popolazione.

Dallo studio svolto emerge chiaramente la criticità riguardante la generazione dei nostri anziani: meno di uno su due ha competenze sufficienti per svolgere tutte le attività necessarie online, mentre il 6% ha dichiarato di non averle ma di avervi posto rimedio. Il restante 46%, tuttavia, è rimasto ulteriormente confinato in un periodo già molto difficile, soprattutto per gli anziani.

Secondo gli analisti del Censis, un problema molto diffuso che si coglie da un ulteriore dato: gli ultrasessantacinquenni sono quelli che sembrano aver maggiormente apprezzato il canale digitale. Circa il 60% di essi ha dichiarato di non essersi stancato di fare e ricevere videochiamate, una percentuale che diminuisce significativamente al diminuire dell’età, fino a raggiungere il 17,9% nella fascia 18-34 anni. In questi casi, dopo un iniziale entusiasmo, i limiti di una relazione sociale solo da remoto hanno cominciato a palesarsi in maniera evidente.

Insomma, questa pandemia sembra aver fatto riscoprire il digitale a una generazione che ha sempre fatto fatica ad accettarlo e, al contrario, il piacere di stare insieme alla cosiddetta generazione Z, che con la tecnologia e il digitale ci è praticamente nata.

Qui la versione integrale dell’indagine condotta dal Censis.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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