Smart working, e-learning, reperibilità via e-mail e via telefono. Sì, ma non senza regole.
È questa la sfida lanciata dalla commissione per l’Occupazione e gli Affari sociali del Parlamento europeo dopo che i mesi di lockdown hanno costretto migliaia di lavoratori a passare le proprie giornate davanti a uno schermo. Il Covid ha reso meno netti i confini tra lavoro e vita privata, rendendo meno definiti gli orari di lavoro e facendo riaccendere il dibattito sul diritto alla disconnessione.
IL LAVORO TRA CONNESSIONE E DISCONNESSIONE
In questi ultimi anni la tecnologia ha portato numerosi cambiamenti nella vita degli individui. La rivoluzione digitale è entrata prepotentemente anche all’interno dell’organizzazione aziendale, ha alterato gli orari di lavoro e il rapporto tra dipendente e datore di lavoro. Attraverso l’uso di smartphone, e-mail, chat e altri programmi, si permette una reperibilità costante e continua del lavoratore. Sebbene questo abbia indubbiamente portato a una maggiore flessibilità e alla possibilità di lavorare da casa, c’è tuttavia il rischio che queste nuove modalità, se non regolate, compromettano il bilanciamento tra vita professionale e vita privata. L’utilizzo di questi strumenti di collegamento tra datore di lavoro e dipendente si presenta come un’arma a doppio taglio: rischia di influire non solo sulla psicologia del lavoratore, il quale può sentirsi obbligato a garantire reperibilità e immediatezza nelle risposte, ma compromette anche il tempo effettivo che passa davanti al computer.
Per diritto alla disconnessione si intende dunque la possibilità di rendersi irreperibili. In pratica ci si riferisce a quelle ore della giornata in cui il lavoratore ha diritto a non essere connesso a nessun dispositivo. Questo aiuta a distinguere l’orario di lavoro dalla vita privata e a favorire un equilibrio nel work-life balance, in quanto, peraltro, sono sempre più numerose le patologie da stress manifestate dai lavoratori principalmente imputabili al senso del dovere e alla volontà di non scollegarsi mai per paura di conseguenze e ripercussioni.
SMART WORKING E DISCONNESSIONE
La legge numero 81 del 2017 ha introdotto nell’ordinamento italiano il lavoro agile, ormai comunemente noto come smart working. Questa specifica modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, prima di diventare necessaria con la pandemia, era stata pensata per rendere complementari le esigenze individuali del lavoratore con quelle dell’impresa. È previsto che datore di lavoro e smart worker possano stabilire prestazioni lavorative organizzate per fasi o cicli, senza precisi vincoli orari o di luogo di lavoro, purché si rientri entro i limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Nel contesto del diritto alla disconnessione, dunque, il lavoratore sarebbe in sostanza libero di disattivare le strumentazioni tecnologiche e le piattaforme informatiche al di fuori dall’orario contrattuale. Tuttavia, non è chiaro come quest’ultimo possa realmente essere quantificato. Uno studio di Randstad Workmonitor dimostra che il 71% dei lavoratori italiani risponde alle mail, telefonate e messaggi anche al di fuori dell’orario (siamo terzi in Europa), facendo aumentare complessivamente non solo il quantitativo lavorativo, ma anche il coinvolgimento emotivo e lo stress. Lo stesso studio riporta che il 53% dei lavoratori si occupa di attività lavorative anche in ferie e che il 38% si sente obbligato a farlo. Un dato, questo, che aumenta considerevolmente fra gli under 40 e i millennial. Inoltre, più di un italiano su due ha riferito che le aziende si aspettano che i dipendenti siano disposti a lavorare oltre l’orario d’ufficio (59%) e che siano disponibili a rispondere a messaggi di lavoro nel tempo libero (52%, contro il 45% della media degli altri Paesi), evidenziando un vuoto normativo sulla disconnessione.
IL DIRITTO ALLA DISCONNESSIONE NELL’ORDINAMENTO
Il diritto alla disconnessione trova il primo riconoscimento legislativo in Francia, dove dal 2016 nel Code du Travail è espressamente previsto che le aziende con più di cinquanta dipendenti si impegnino, tramite accordi interni, a regolamentare il tempo libero (ovvero il tempo “offline”) del personale e stabilisce che ai dipendenti non possano essere inviate e-mail, comunicazioni, messaggi o telefonate al di fuori dell’orario di lavoro. In Italia, invece, il diritto alla disconnessione ha una scarsa trattazione. L’unico riferimento normativo si trova all’articolo 19 nella legge numero 81 del 2017 che, senza fornire una chiara definizione giuridica, afferma che il contratto di lavoro deve contenere “delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche del lavoro”. Di fatto, molte responsabilità sono quindi lasciate alla contrattazione individuale tra il dipendente e il datore di lavoro, senza che ci sia alcuna menzione a contrattazioni collettive o a una norma generale applicabile a tutti i lavoratori agili. Alcune aziende, quali ad esempio Barilla (nel 2015) ed Enel (nel 2017), hanno tuttavia anticipato i tempi tramite regolamentazioni interne che prevedono che i dipendenti che lavorano da casa debbano essere reperibili a telefonate e comunicazioni durante il normale orario di lavoro, ma che alla fine del turno non possano esserci intrusioni nella vita privata, se non per motivi gravi ed eccezionali.
I PROSSIMI PASSI
La diffusione su larga scala di nuove forme di lavoro agile a seguito della pandemia da Covid-19 ha riacceso il dibattito intorno ai diritti degli smart-worker. In Italia i principali sindacati hanno denunciato che queste nuove modalità si sono spesso tradotte in un surplus nel carico di lavoro durante i mesi della pandemia, e anche il ministro per il Sud e la Coesione territoriale, Giuseppe Provenzano, in occasione del cinquantesimo anniversario dello Statuto dei Lavoratori, ha sottolineato l’importanza di inserire il Diritto alla Disconnessione all’interno di un nuovo e aggiornato Statuto che comprenda le nuove modalità lavorative. In Parlamento, invece, il tema continua a riscontrare poco interesse, sebbene alcuni deputati come, ad esempio, la deputata Giuditta Pini, si siano recentemente fatti carico di questa nuova istanza che riguarda soprattutto le nuove generazioni.
Anche grazie alla presa di posizione del commissario europeo al Lavoro, Nicolas Schmit, da settembre 2020 il Parlamento europeo ha cominciato a lavorare su standard comuni da far rispettare in tutta l’Unione, in quanto si rileva con preoccupazione che non c’è alcun accenno alla disconnessione nei lavori legislativi di ben tredici Stati membri su ventisette. Con 31 voti favorevoli, 6 contrari e 18 astenuti, il 1° dicembre 2020 la commissione per l’Occupazione e gli Affari sociali del Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per sottolineare l’importanza del work-life balance. Al di fuori dell’orario di lavoro, il diritto a spegnere computer e cellulari, è “vitale per la salute dei lavoratori” e non può in nessun modo comportare penalizzazioni in termini di carriera e remunerazione. Questa risoluzione, che non ha valore legale, dovrà ora essere votata in seduta plenaria a gennaio 2021 e, una volta approvata dal Parlamento, sarà sottoposta alla Commissione e agli Stati membri per l’attuazione come parte delle future decisioni normative. La vera svolta potrebbe però arrivare nei prossimi mesi, in quanto è prevista una direttiva ad-hoc applicabile sia ai dipendenti pubblici che a quelli privati.