La proposta di riforma della disciplina dei servizi digitali Ue. Il Digital Services Act e il Digital Markets Act


Articolo
Silvia Compagnucci
servizi digitali

Gli ultimi venti anni si sono caratterizzati per la massiccia diffusione dei servizi digitali e la crescente affermazione delle piattaforme online che hanno gradualmente acquisito nuove funzioni di straordinaria rilevanza. Il rafforzamento del canale digitale e, con esso, del ruolo delle piattaforme online, ha registrato una fortissima accelerazione negli ultimi mesi in cui l’emergenza sanitaria, in una logica di contenimento dei contagi, ha visto nello smartworking, nella didattica e nell’assistenza sanitaria a distanza e nei processi telematici le uniche reali possibilità per garantire la continuità dei servizi e la garanzia di diritti e libertà fondamentali. Una situazione che ha reso quanto mai evidente l’indispensabilità del digitale e che ha chiamato, di fatto, le piattaforme a erogare servizi essenziali.

A tale cambio di paradigma la Commissione europea ha risposto con l’avvio di una riflessione e un ripensamento del ruolo e delle responsabilità delle piattaforme e, dunque, del quadro normativo di riferimento che ha trovato concretizzazione in due proposte di regolamento: la prima, il Digital Services Act, che va a modificare – pur mantenendone saldi i principi chiave – la direttiva e-commerce adottata nel lontano 2000. La seconda, il Digital Markets Act, che stabilisce una serie di criteri oggettivi strettamente definiti per qualificare una grande piattaforma online come gatekeeper e pone, secondo un approccio ex ante, una serie di obblighi e divieti in capo a tali soggetti.

Il Dsa, in particolare, introduce un quadro orizzontale per tutte le categorie di contenuti, prodotti, attività e servizi di intermediazione nel quale però viene delineato un regime di responsabilità diversificato in base alle offerte e alla dimensione del fornitore, introduce un’ampia gamma di obblighi di trasparenza ma anche organizzativi e procedurali e definisce e rafforza i meccanismi di enforcement e cooperazione tra gli Stati. Inoltre, nel definire il modello di governance, istituisce nuovi soggetti, in particolare i Coordinatori nazionali dei Servizi Digitali ed il Board.

Nel definire il nuovo quadro europeo dei servizi digitali, la proposta – che alle sollecitazioni emerse in sede di consultazione pubblica nonché alle raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo – ha mantenuto inalterata la distinzione tra servizi “mere conduit”, di “caching” e di “hosting” e i relativi regimi di responsabilità già previsti nella direttiva e-commerce del 2000, così come il divieto di porre obblighi generali di monitoraggio o indagine generali in capo ai fornitori.

Innovative, invece, le disposizioni recanti obblighi di due diligence differenziati e a complessità crescente. A tutti i fornitori di servizi di intermediazione è prescritta l’istituzione di un singolo punto di contatto per la comunicazione diretta con le autorità degli Stati, l’individuazione (per i fornitori non stabiliti nell’Ue) di un legale rappresentante in uno degli Stati membri in cui offre i propri servizi, l’inclusione in un linguaggio chiaro e accessibile nei propri termini e condizioni, delle informazioni riguardanti eventuali restrizioni imposte all’utilizzo del servizio (incluse quelle relative a politiche, procedure, misure e strumenti utilizzati per la moderazione dei contenuti, compreso il processo decisionale algoritmico impiegato e la pubblicazione, almeno una volta all’anno, di report contenenti un’ampia gamma di informazioni).

Tali obblighi, tuttavia, si arricchiscono per le piattaforme online fino a raggiungere la massima complessità nel caso delle grandi compagnie. A quest’ultime è richiesto, in aggiunta agli adempimenti generali citati, la predisposizione di un sistema interno di gestione dei reclami, la garanzia della possibilità per i destinatari del servizio di adire un organismo di risoluzione stragiudiziale delle controversie, la previsione di misure tecniche e organizzative idonee ad assicurare che le segnalazioni provenienti da “segnalatori di fiducia” siano processate e decise con priorità, obblighi di trasparenza ulteriori che si sostanziano in report dai contenuti arricchiti, specifici obblighi di trasparenza in relazione alla pubblicità e alla tracciabilità dei venditori che si avvalgono delle piattaforme. Alle grandi piattaforme, individuate in quelle con un numero di utenti pari ad almeno il 10% della popolazione dell’Ue (45 milioni), è prescritto un risk assessment annuale nel quale individuare e analizzare eventuali rischi sistemici derivanti dall’utilizzo dei propri servizi all’interno dell’Ue. Inoltre, devono predisporre le correlate misure di mitigazione, la sottoposizione a un audit annuale indipendente nel quale verificare la compliance con il regolamento, la messa a disposizione di Commissione e Coordinatore – nonché di ricercatori con determinati requisiti e per specifiche finalità – dei propri dati e l’individuazione di responsabili della conformità.

Nel definire la struttura di governance, la proposta prevede l’istituzione di Coordinatori nazionali dei servizi digitali nonché di un European Board costituito dai loro rappresentanti, definisce procedure di cooperazione e indagine congiunta e, infine, assegna alla Commissione importanti poteri investigativi, ispettivi e sanzionatori in caso di grandi piattaforme.

Ci troviamo dunque di fronte a una proposta ambiziosa e molto articolata che cerca di rispondere al mutato ruolo delle piattaforme e che certamente darà vita a un ampio dibattito a livello europeo e di singoli Stati membri. In pratica pone a livello generale un tema di coordinamento con la disciplina già vigente, ad esempio, in materia di copyright e disinformazione, al fine di scongiurare discrasie di sistema e quella frammentazione che la scelta di ricorrere allo strumento regolamentare intende superare. Dal punto della due diligence, la previsione di specifici obblighi di trasparenza rispetto alla pubblicità, di ostensione dei dati, nonché la previsione di report e audit, unita alla messa a disposizione di strumenti di reclamo, rappresentano certamente un segnale positivo in termini di maggiore efficacia del monitoraggio in capo alle autorità competenti, nonché di tutela degli utenti. Tuttavia, richiedono un’attenta riflessione circa i possibili rischi di trasferimento delle attività illegali sulle piattaforme più piccole, certamente meno attrezzate a fronteggiarle e contrastarle.

Il sistema di governance delineato, con l’istituzione della figura del Coordinatore nazionale dei servizi digitali e del Board che riunisce i diversi coordinatori nazionali se da un lato ha il potenziale per assicurare una maggiore qualità dell’azione, dall’altra porta con sé il rischio – anche piuttosto concreto – che a una maggior complessità procedurale si accompagni una maggior lentezza che potrebbe rivelarsi poco compatibile con l’esigenza di speditezza che al contrario il mondo digitale, con la sua straordinaria capillarità e pervasività, esige per garantire efficacia di azione e di tutela.

Vicepresidente dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Tor Vergata nel 2006 ha partecipato, nel 2009, al master di II Livello in “Antitrust e Regolazione dei Mercati” presso la facoltà di Economia della medesima università conseguendo il relativo titolo nel 2010, anno in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

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