L’emergenza Covid ha fornito un’occasione importante per accelerare il processo di digitalizzazione. Anche per la pubblica amministrazione. I ritardi nelle misure di sostegno attivate dal governo – prima tra tutte la cassa integrazione – e l’incapacità dei sistemi di sopportare l’enorme mole di richieste pervenute (bonus bici e cashback sono solo alcuni esempi) hanno puntato i riflettori su tutti i limiti di un apparato pubblico ben poco digitalizzato.
Molti sono gli aspetti limitanti, come sottolinea l’ultimo rapporto annuale di Forum PA: le nostre pubbliche amministrazioni sono sempre più vecchie e incapaci di attrarre giovani talenti. Chi ci lavora non è adeguatamente formato e la maggior parte delle professionalità è sbilanciata verso profili giuridici, spesso manca una propensione all’innovazione. E soprattutto, la nostra burocrazia è ancora troppo centrata sul rispetto formale dei processi invece che sul raggiungimento di risultati in grado di migliorare la vita quotidiana di cittadini e imprese.
Un bel fardello se si considera la grande e inaspettata sfida posta dal 2020, che ha portato alla ribalta la rinnovata centralità dei servizi pubblici. E così, già ai primi di aprile, hanno visto la luce, con il decreto Cura Italia, i primi provvedimenti che hanno riguardato l’organizzazione del lavoro e hanno dato avvio, per la prima volta in gran parte delle amministrazioni pubbliche, al lavoro agile: dal sondaggio del Forum PA di maggio 2020 emerge come per l’87,7% degli enti pubblici sia stata la prima volta. Ma il bilancio pare positivo: l’88% dei dipendenti ha giudicato l’esperienza di successo, il 69,5% ha potuto programmare meglio il lavoro, il 34,9% ha lavorato in un clima di maggior fiducia e responsabilizzazione. Inoltre, per il 41,3% dei dipendenti pubblici, l’efficacia lavorativa è migliorata.
Ma non si parla di solo lavoro. Il rapporto fornisce un focus anche su competenze, programmazione europea, sanità, politiche per le città, procurement e trasformazione digitale. Sulle competenze degli uffici pubblici è ormai chiara la necessità di una visione strategica di lungo periodo. In 10 anni la spesa in formazione si è quasi dimezzata: dal 2008 al 2018 gli investimenti sono calati da 262 a 154 milioni di euro, praticamente 48 euro per ciascun dipendente e una media di circa 1 giorno di formazione l’anno a persona. La mancanza di formazione ha svelato tutte le sue gravi conseguenze in piena pandemia. La risposta italiana è stata la pubblicazione della Strategia nazionale per le competenze digitali, che delinea gli obiettivi strategici e definisce quattro assi su cui intervenire: l’istruzione e la formazione superiore, la cittadinanza, la forza lavoro attiva e lo sviluppo di competenze specialistiche Ict.
Anche sul piano della trasformazione digitale, l’emergenza pandemica è stata un vero motore di crescita: in poco meno di un anno le identità digitali SPID sono passate da 5,4 milioni a 14,1 milioni, le transazioni su PagoPA da 81,7 milioni a oltre 165 milioni, i comuni nell’Anagrafe nazionale della popolazione residente da 5.310 a più di 7.000, con 54,6 milioni di cittadini presenti in anagrafe unica, e l’app IO per l’accesso ai servizi pubblici digitali, rilasciata ad aprile, ha raggiunto 9 milioni di download. Mentre i responsabili per la transizione digitale sono aumentati dai 5.432 di gennaio ai 6.183 di novembre. A ciò si aggiunga l’adozione di importanti provvedimenti da parte del governo nel corso del 2020: dal già citato decreto Cura Italia a quello Semplificazioni, che ha introdotto ad esempio importanti novità nel Codice dell’amministrazione digitale (CAD). E ancora, dal decreto Rilancio, che ha invece istituito il Fondo per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione con una dotazione complessiva di 50 milioni di euro, finalizzato a sostenere la digitalizzazione dei servizi della pubblica amministrazione per cittadini e imprese, al nuovo Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione 2020-2022 e l’annuncio di una strategia politica per un cloud nazionale.
L’emergenza ha inoltre sollevato non poche riflessioni sia sugli assetti territoriali sbilanciati nel bipolarismo Nord-Sud e tra aree metropolitane e provincia, sia sulla sanità, che sconta scarsità di risorse, carenza di personale, ma anche un modello basato su cure ospedaliere e un’inefficiente frammentazione nella governance che impedisce di rispondere in modo omogeneo e tempestivo. In ambito sanitario, poi, l’innovazione digitale è ferma a piccoli progetti e sperimentazioni.
Sul piano della programmazione europea, il 2020 è stato un anno di svolta. La Commissione europea e l’Italia stanno per varare azioni e programmi di grande importanza, basati su obiettivi di sostenibilità: lo European green deal, il NextGenerationEu, il Quadro finanziario pluriennale 2021-2027 a livello europeo mentre il Piano Sud 2030 e le Linee guida per la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza in ambito azionale. Per cogliere appieno l’occasione del NextGenerationEu occorre puntare sul potenziamento della macchina pubblica, superando la difficoltà nel definire, gestire e realizzare gli obiettivi.
Insomma, la pubblica amministrazione, nel suo complesso, ha retto all’emergenza Covid-19 e ha dimostrato capacità di reazione, ma ora deve assumersi la responsabilità di svolgere un ruolo centrale, che richiede meno burocrazia, nuovo personale e una forte trasformazione digitale.