Le competenze e l’upskilling come chiave per il futuro


Articolo
Giusy Massaro
competenze

Il progresso tecnologico, unitamente alla globalizzazione e al cambiamento demografico, porta con sé la necessità di affrontare il problema sociale di come dotare le persone delle competenze necessarie. Attualmente milioni di persone rischiano di rimanere indietro a causa della volatilità dei mercati, degli effetti del Covid-19, o perché lavorano in industrie che verranno sostituite da nuovi settori. Tutto ciò richiede un improrogabile processo di riqualificazione e miglioramento delle competenze.

È di questo che tratta il rapporto di recente pubblicato dal World Economic Forum (WEF), dove si legge che investire su larga scala nell’aggiornamento delle competenze potrebbe aumentare il Pil mondiale di 6,5 bilioni di dollari entro il 2030. Naturalmente, i benefici saranno migliori in quelle regioni in cui maggiore è la carenza di competenze. In questi casi l’aumento di skills in linea con le nuove tecnologie mostra, pertanto, un potenziale ancora più grande. I guadagni più alti, ad esempio, dovrebbero avvenire in Cina, che nel 2019 si è impegnata a spendere 14,8 miliardi di dollari per formare 50 milioni di persone entro il 2022.

Il canale attraverso il quale la riqualificazione delle competenze genera un aumento del prodotto interno lordo è il miglioramento della produttività conseguente al miglior matching tra competenze e figure professionali create dalla quarta rivoluzione industriale: si stima che la produttività globale possa aumentare in media del 3% entro il 2030 e generare a sua volta un aumento di ricchezza. Secondo l’analisi del WEF, il 38% del Pil attribuibile all’upskilling sarà prodotto nell’ambito dei servizi alle imprese e dei settori manifatturieri, per oltre 1,2 bilioni. La riqualificazione delle competenze potrebbe favorire la transizione verso un’economia dove le mansioni umane sono sempre più integrate – piuttosto che sostituite – dalle nuove tecnologie, migliorando così la qualità del lavoro nel suo complesso.

Il numero dei lavori che richiedono creatività, innovazione ed empatia crescerà così come la necessità di competenze nel campo dell’information technology. Secondo le stime, entro il 2025 la percentuale di posti di lavoro che potrebbero essere sostituiti dall’automazione scenderà dal 15,4 al 9% della forza lavoro globale, mentre le nuove professioni cresceranno, nello stesso periodo, dal 7,8 al 13,5%. Inoltre, molte aziende ritengono che la mancanza di competenze sia tra le principali barriere all’adozione di nuove tecnologie capaci di aumentare la produttività. L’upskilling potrebbe così creare 5,3 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2030, di cui la maggior parte in Cina, India e Stati Uniti, ossia i Paesi con la più ampia forza lavoro.

Come è facile immaginare, la pandemia ha accelerato la necessità di agire attraverso un ambizioso programma globale di miglioramento delle competenze. Pur nella consapevolezza che non sarà possibile adottare un approccio ottimale universale per il finanziamento di una politica simile, appare importante la condivisione di iniziative nazionali che rappresentino best practice a livello mondiale.

Il rapporto conclude auspicando che tutti gli stakeholder coinvolti possano costruire un ecosistema forte e interconnesso che dia anche alle persone l’opportunità di partecipare. In tale contesto, i governi sono chiamati ad adottare un approccio agile nella promozione di iniziative nazionali, in collaborazione con imprese, organizzazioni non profit e settore dell’istruzione. Le aziende, dal canto loro, dovrebbero impegnarsi nel lungo periodo a rendere stabili all’interno delle loro organizzazioni gli investimenti in upskilling.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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