“Sarà un governo all’insegna della transizione ecologica“. Era questa una delle poche indiscrezioni circolate, prima del debutto ufficiale in Parlamento, in merito all’agenda del nuovo presidente del Consiglio Mario Draghi. “Il nostro sarà un governo ambientalista, qualsiasi cosa faremo – a partire dalla creazione di posti di lavoro – deve andare incontro alla sensibilità ambientale e non andare a gravare la situazione”, il virgolettato attribuito al neo-premier a margine del primo Consiglio dei Ministri che si è svolto subito dopo la cerimonia della campanella con Giuseppe Conte.
Rumors che hanno trovato piena conferma nelle comunicazioni di Draghi al Senato, in cui le politiche di contrasto al cambiamento climatico e di transizione ecologica hanno rivestito parte rilevante. “Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta”, ha affermato il presidente del Consiglio. Dichiarazione che pronunciata da un ex banchiere centrale vale doppio. Nell’ottica espressa da Draghi, l’impegno per lo sviluppo sostenibile va inquadrato sia nel contesto emergenziale che in una visione di lungo periodo. Nel primo caso, si evidenzia come, similmente alla pandemia, il climate change impatti negativamente determinati settori produttivi senza parallelamente creare un’espansione favorevole in altri comparti. Spetta, pertanto, alle istituzioni attivare una risposta espansiva di fronte ai fenomeni pandemici e climatici ricorrendo a un mix di policy strutturali per l’innovazione, di politiche finanziarie di accesso al capitale e al credito e di politiche monetarie e fiscali che favoriscano gli investimenti e amplino la domanda per beni e servizi sostenibili.
Anche in questo caso, svolgerà un ruolo centrale la definizione e l’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, e non solo in quanto la Commissione europea ha stabilito sin da subito che la maggioranza relativa dei fondi del Recovery and Resilience Facility (il 37% per l’esattezza) fosse destinato alla transizione energetica e ha recentemente previsto, nelle nuove linee guida per la redazione dei Recovery Plan, che gli investimenti contemplati non danneggino l’ambiente e che, anzi, siano accompagnati da un’analisi di impatto ambientale.
L’articolazione del Pnrr che sarà varato dal governo Draghi manterrà la stessa struttura in missioni dell’ultima bozza dell’esecutivo Conte, che tuttavia andranno incontro a rimodulazioni e accorpamenti e, soprattutto, vedranno rafforzata la propria “dimensione strategica”. In questa direzione, saranno riviste le iniziative che riguardano la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e delle acque, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli elettrici e la produzione e distribuzione di idrogeno. I progetti nei settori citati dovranno essere selezionati sulla base della coerenza con target strategici al 2026, al 2030 e al 2050, su tutti l’obiettivo della neutralità climatica da conseguire entro la metà del secolo.
Il primo Consiglio dei Ministri ha altresì dato il via all’iter per l’istituzione del ministero della Transizione ecologica, guidato da Roberto Cingolani, che si intende concludere nell’arco di dieci giorni. Cavallo di battaglia nel giro di consultazioni del Movimento 5 stelle, richiesto a gran voce da alcune organizzazioni ambientaliste, accolto con preoccupazione da altre, questo nuovo dicastero risulterà probabilmente in un potenziamento considerevole del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, a cui verranno assegnate nuove competenze nell’ambito della politica energetica, oggi in capo al ministero dello Sviluppo economico, oltre che la gestione di progetti e fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza relativi alla transizione ecologica. Sarà da valutare se il ministero in via di istituzione sottrarrà competenze anche al ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e al ministero dell’Agricoltura, per gli ambiti relativi alla sostenibilità (se al ministero della Transizione ecologica si dovesse affidare anche la parte del Recovery Plan relativa alle infrastrutture per la mobilità sostenibile, esso vanterebbe poco più della metà dei finanziamenti complessivi). Si esclude, in ogni caso, un accorpamento in un unico super ministero del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e del ministero dello Sviluppo Economico, come era potuto sembrare dalle indiscrezioni dei giorni delle consultazioni.
Se in Italia già oggi esiste, all’interno del ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, un dipartimento per la Transizione ecologica e gli investimenti verdi, a cui sono affidate “le competenze del ministero in materia di economia circolare, contrasto ai cambiamenti climatici, efficientamento energetico, miglioramento della qualità dell’aria e sviluppo sostenibile, cooperazione internazionale ambientale, valutazione e autorizzazione ambientale e di risanamento ambientale”, un ministero della Transizione ecologica non è un unicum nella dimensione europea, tutt’altro. Dicasteri simili, ognuno con le proprie specificità, esistono in Francia, Spagna e Portogallo.
A riguardo della Francia, emerge che il proposito di un ministero dell’Ambiente dalle competenze ampie è vivo da molti anni nel dibattito politico. Già nel 2007 Nicolas Sarkozy aveva provveduto a riunire le competenze spettanti ai ministeri delle Infrastrutture e dell’Ambiente. Pochi anni dopo, ritroviamo nel Governo francese un dicastero dal nome alquanto complesso, il “Ministero dell’ecologia, dell’energia, dello sviluppo sostenibile (che i francesi chiamano “sviluppo durevole”) e del mare, responsabile delle tecnologie verdi e dei negoziati sul clima. Sotto la presidenza Hollande, è Ségolène Royal, personalità di spicco della politica francese, a guidare il ministero dell’Ecologia e dell’Energia e a promuovere la “legge sulla transizione energetica per la crescita verde”, che comprendeva un vasto spettro di misure. Con la Presidenza Macron, invece, nasce il ministero della Transizione ecologica e solidale, che introduce l’esigenza di considerare fattori di giustizia sociale all’interno di nuovo modello di sviluppo. Pertanto, questo dicastero unisce alle politiche ambientali ed energetiche quelle abitative e dei trasporti, con una dotazione nell’ordine dei 50 miliardi di euro annui.
Tuttavia, l’instabilità politica ha segnato finora il ministero della Transizione ecologica (che in ultimo ha perso l’appellativo di “solidale”) che ha visto avvicendarsi quattro ministri in poco più di tre anni. È, inoltre, da una decisione assunta da questo ministero – l’aumento del prezzo dei carburanti fossili e del diesel, in particolare – che ha preso il via il movimento dei “gilets jaunes”, che ha comportato migliaia di arresti e feriti a causa di violente proteste di massa.
La Spagna, invece, si è dotata di un “ministerio para la Transición Ecológica y el Reto Demográfico”, che coniuga le misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, le politiche energetiche e le iniziative di contrasto al calo demografico. Anche il Portogallo vanta un “ministério do Ambiente e da Transição Energética”. In Svizzera dal 1998 è attivo un dipartimento federale (l’equivalente elvetico dei ministeri) dell’ambiente, dei trasporti, dell’energia e delle comunicazioni, il DATEC. Sono otto, inoltre, gli Stati membri dell’Unione europea che hanno accorpato, sotto varie formulazioni, le competenze in materia di clima ed energia. Sette sono i Paesi che hanno un ministero dedicato esclusivamente alle politiche energie. Nei restanti, le deleghe all’energia sono affidate a vari ministeri, dall’Industria alle Infrastrutture. Si segnala anche il caso tedesco (non il solo Paese europeo in realtà), che ha un ministero per l’Economia e l’Energia.
L’esigenza di ricondurre a un’unica cabina di regia le prerogative relative alle politiche di transizione energetica e sviluppo sostenibile era variamente sollecitata nel nostro Paese. Le modalità suggerite erano diverse, da un coordinamento ministeriale all’affidamento di dicasteri diversi a un solo titolare (allo stesso modo in cui Corrado Passera aveva guidato nel governo Monti il ministero dello Sviluppo Economico e il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) alla forma più radicale: l’istituzione di un ministero ad hoc. Che si sia scelta quest’ultima strada, unitamente alle parole del presidente Draghi in Parlamento, fa ben sperare per la rilevanza della transizione energetica nell’agenda dell’Esecutivo. D’altra parte, come la storia della pubblica amministrazione italiana dell’età repubblicana sta ampiamente a dimostrare, la riorganizzazione di direzioni, strutture e uffici presenta complessità non trascurabili nell’attuazione pratica, che possono comportare rallentamenti che non sarebbero perdonabili, considerate le sfide immediate, dall’elaborazione del Pnrr alla revisione del Pniec, da adeguare ai più ambiziosi impegni assunti.
L’Unione europea e la strategia per ridurre le emissioni di CO2 di Thomas Osborn