Il potenziamento delle reti di telecomunicazione è un passo necessario nel percorso di rilancio del nostro Paese nell’era post Covid. La fibra e il 5G sono due strumenti fondamentali per la transizione digitale italiana in quanto abilitano, di fatto, l’utilizzo di tutte le nuove tecnologie informatiche come, ad esempio, l’intelligenza artificiale e il Cloud computing. Con la nomina di Vittorio Colao – manager di grande esperienza in ambito Tlc – a ministro dell’Innovazione tecnologica, il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi ha di certo confermato e sottolineato l’importanza delle reti nell’agenda del nuovo governo.
La prima e fondamentale questione di cui il neo ministro dovrà occuparsi sarà proprio l’allocazione dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nonostante i 46,3 miliardi di euro destinati alla missione “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura” (il 20,67% del totale), il PNRR ereditato dal governo Conte dava ben poco spazio alle reti, alle quali erano dedicati solo 3,3 miliardi. Se è vero che le risorse pubbliche non devono assolutamente sostituirsi a quelle private (e soprattutto a quelle del Recovery Plan), risulta evidente che un settore così importante per il rilancio industriale del Paese debba ricevere maggiore considerazione.
Dalle audizioni che si sono svolte in commissione Trasporti della Camera per discutere del piano è emersa la necessità (condivisa peraltro da più parti) di destinare maggiori risorse all’infrastrutturazione delle nuove reti. Secondo il presidente di Asstel Pietro Guindani qui (la nostra video-intervista alla direttrice Laura Di Raimondo), il fabbisogno di investimenti pubblici necessari a completare il dispiegamento delle reti VHCN (FTTH, FWA e 5G) entro il 2026, come previsto proprio dal PNRR, ammonterebbe a non meno 10 miliardi di euro. Guindani ha anche evidenziato come altri grandi Paesi europei, come Germania e Spagna, seppur con meno risorse a disposizione, abbiano destinato una quota molto più corposa al comparto delle Tlc. Si parla rispettivamente di 16 e 5,2 miliardi di euro.
Dello stesso avviso è l’amministratore delegato di Infratel Marco Bellezza: come sottolineato già sia in audizione alla Camera, sia in un articolo pubblicato su Agenda Digitale, il fabbisogno di investimenti pubblici necessario a completare la copertura fissa e mobile del Paese entro il 2026 ammonterebbe a 8,5 miliardi di euro. Tra il piano presentato dal precedente governo e le stime di Infratel intercorre, quindi, una differenza di 4,97 miliardi. Una somma, questa, che sarebbe necessario mettere sul piatto in fase di revisione della pianificazione.
Un’altra questione importante sollevata da Bellezza ha a che fare con la semplificazione normativa. I tempi di realizzazione delle infrastrutture, sia pubbliche che private, nel nostro Paese sono biblici. Secondo il rapporto Doing Business 2020 della Banca Mondiale, l’Italia occupa il 99° posto (su 186) per facilità nell’ottenimento dei permessi di costruzione. La realizzazione di un’infrastruttura nel nostro Paese richiede circa 14 certificazioni e i tempi per ottenerle non sono poi così rapidi dato che in media bisogna attendere 189,5 giorni. La via da seguire, dunque, sembra essere una: operare una semplificazione burocratica che metta in condizione i soggetti interessati a investire in Italia di agire in maniera rapida e chiara.