Accelerare la digitalizzazione, semplificare gli iter burocratici, creare un legame tra università e imprese e puntare sui giovani. Sono queste le quattro priorità per uscire il più velocemente possibile dalla crisi resa sempre più acuta dalla diffusione del Covid-19. Parola dell’esperto di politiche tecnologiche, imprenditore, saggista e distinguished visiting professor all’Università di Bologna, Alec Ross. Con un passato come consulente per l’Innovazione di Hillary Clinton, quando era segretario di Stato, e coordinatore per il comitato Technology & Media Policy durante la campagna elettorale di Barack Obama nel 2008. In occasione della sua lectio magistralis durante l’edizione 2021 della Milano Digital Week, Ross ha consegnato a “la Lettura” del Corriere della Sera un vero e proprio manifesto per costruire quell’Italia digitale a cui tanto aspiriamo (e che non può più aspettare).
QUELLA SVOLTA NECESSARIA
La prima dinamica che secondo Ross governo, imprese, mondo accademico e cittadini devono affrontare è la digitalizzazione. Viviamo in un’epoca in cui essere online determina il successo di numerose attività, soprattutto commerciali. La visione dell’esperto è chiara: “Ogni Paese e ogni azienda – che commercializzi software o verdure – deve scegliere se digitalizzarsi o morire“. Basti pensare che “solo cinque anni fa i dispositivi connessi alla rete erano 17,5 miliardi nel mondo“, ha spiegato. Oggi, a livello globale, ce ne sono oltre 35 miliardi, nel 2023 saranno 51 miliardi e nel 2025 si stima raggiungeranno quota 75 miliardi. Si tratta di numeri che a prima vista potrebbero sollevare qualche perplessità ma “non stiamo digitalizzando il mondo mettendo più telefonini nelle nostre tasche“. Piuttosto, ha specificato Ross, “stiamo introducendo codici informatici in settori economici storicamente non associati al digitale come l’agricoltura, il settore alimentare, i trasporti, la moda e per finire l’industria manifatturiera avanzata tipica dell’Italia settentrionale e centrale“. Da questo punto di vista andiamo a rilento e paghiamo un caro prezzo. Prima di tutto, quindi, secondo il professore, “è necessario affrontare gli ostacoli strutturali che frenano la digitalizzazione e la potenziale ricchezza” del nostro Paese. A partire dalla burocrazia.
MISSIONE SBUROCRATIZZARE
La lentezza dell’Italia nel rivedere le regole amministrative e burocratiche mina non solo il benessere e l’occupazione, ma pure la possibilità di investire e innovare. “Così come gli imprenditori furono incoraggiati a creare nuove attività economiche dopo la Seconda guerra mondiale“, ha raccontato Ross, “oggi in Italia occorre facilitare la nascita di nuove aziende, e perché questo accada il governo deve digitalizzare e snellire la burocrazia“. Una modernizzazione che deve passare per queste due direttrici, dunque, per rendere appetibili gli investimenti esteri. Ad avviso dell’esperto di politiche tecnologiche, nel nostro Paese “il talento e le idee ci sono, ma la legge sembra pensata per complicare la vita degli imprenditori italiani“. A tal proposito, se diamo uno sguardo all’edizione del 2020 dell’indice Doing Business elaborato dalla Banca Mondiale, l’Italia si colloca al 58° posto su 190 Paesi, in calo di sette posizioni rispetto al 2019 e di ben dodici dal 2018. Un risultato, quello italiano, che di certo non attira gli investimenti dall’estero. Invece, ha continuato nel suo piano il professore, una soluzione potrebbe essere “modificare le leggi per consentire alle start-up di godere della flessibilità che esiste negli Usa“, ad esempio, in base alla quale è permesso “acquisire o mettere in liquidazione aziende rapidamente, senza investire anni in processi normativi e giudiziari“. Già sarebbe un grande passo in avanti.
QUEL LINK TRA UNIVERSITÀ E IMPRESE CHE SERVE ALL’ITALIA
Non è una novità che negli Stati Uniti sono molte le eccellenze aziendali che nascono nei campus universitari: da Stanford al Mit, passando per Harvard e la John Hopkins University. In Italia oggi non è ancora così, ma sarebbe possibile: “Occorre creare un legame più stretto tra imprese e atenei“. È questa la ricetta di Ross, secondo cui un esempio è rappresentato dalla Bologna Business School, che “ha costruito legami profondi con i leader dell’industria motoristica nella Terra dei Motori, ma anche con l’agricoltura, la meccanica e la robotica“. Tutti settori di riferimento per un ateneo che voglia promuovere l’imprenditorialità e allineare le competenze dei propri studenti alle esigenze del mondo di domani. O meglio, di oggi. “L’Italia ha istituti di ricerca eccezionali“, ha riconosciuto Ross, che nella lettera al Corriere ha ricordato che troppo spesso queste realtà “sono scollegate dalle comunità imprenditoriali circostanti“. Una mancanza che accomuna molti istituti italiani, dunque, e che può essere colmata solo se l’Italia avrà il coraggio di puntare sulle nuove generazioni e sugli imprenditori di domani.
I GIOVANI E IL MONDO POST-COVID
“Così come nel dopoguerra una nuova generazione è andata a formare l’élite economica, oggi è necessario che l’Italia faccia emergere i giovani imprenditori“, ha scritto Alec Ross nelle conclusioni del suo piano. Riportando un esempio concreto: il fondo di capitale di cui è socio ha investito circa un miliardo di dollari in oltre 20 società, ciascuna delle quali con un amministratore delegato più giovane di lui, che di anni ne ha 49. Alla luce di ciò, “penso che in Italia le cose siano sbilanciate“, ha ammesso. Da questo punto di vista, l’esperto è dell’idea che nel nostro Paese, a eccezione di alcuni casi, “i giovani debbano aspettare troppo a lungo prima di ottenere un incarico di responsabilità“. È necessario, invece, abbandonare questo paradigma perché se è vero che a causa dell’inesperienza possono commettere più facilmente errori, è vero pure che guardano il mondo con una lente diversa. Con occhi nuovi. E “questi occhi nuovi e questa ambizione sono necessari per costruire l’Italia del mondo post-Covid“.