La tecnologia gioca un ruolo chiave nel settore agroalimentare, un’industria da 7,8 bilioni di dollari responsabile di nutrire il pianeta e di impiegare ben oltre il 40% della popolazione mondiale. Tuttavia, il ritmo dell’innovazione non ha tenuto il passo con quello registrato in altri comparti e oggi l’agricoltura resta il settore meno digitalizzato.
La crescita della popolazione globale, il cambiamento climatico, la degradazione ambientale e le preferenze dei consumatori in continuo cambiamento sono solo alcune delle pressioni a cui l’industria agroalimentare è sottoposta. Senza considerare pure una serie di vincoli sempre più stringenti e altri fattori come, ad esempio, le risorse naturali limitate, la questione dello spreco di cibo, i problemi di salute dei consumatori e le malattie croniche, che la rendono una delle industrie meno efficienti.
L’innovazione e la tecnologia nell’agrifoodtech sono più che mai necessarie e rappresenterebbero un’opportunità per gli imprenditori di rivoluzionare il settore e creare nuove efficienze a vari livelli della catena del valore. In questo contesto, le start-up del settore mirano a risolvere tutta una serie di sfide che vanno dai rifiuti alimentari alle emissioni di CO2, dai residui chimici alla siccità, dalla carenza di manodopera alla sicurezza alimentare, dall’inefficienza delle aziende agricole alla produzione di carne insostenibile.
Il 2020, soprattutto a causa dell’emergenza epidemiologica, è stato un anno terribile per la stragrande maggioranza delle attività economiche. Per il comparto dell’agrifoodtech, un segmento piccolo (ma in crescita) dell’universo delle imprese innovative e del venture capital, è stata, invece, un’ottima annata. Le start-up hanno raccolto 26,1 miliardi di dollari – un aumento del 15,5% anno su anno – e secondo le previsioni di AgFunder, questa cofra aumenterà tanto da superare i 30 miliardi di dollari.
In particolare, gli investimenti a monte sono aumentati del 68% fino ad arrivare a 15,8 miliardi di dollari e hanno superato per la prima volta in 7 anni quelli a valle (14,3 miliardi). Complessivamente, rappresentano il 10% di quelli di venture capital totali. Invece, gli investimenti in start-up attive nell’Innovative Food sono raddoppiati a 2,3 miliardi di dollari, destinati principalmente a imprese innovative di proteine alternative.
L’agrifoodtech non è più un settore di nicchia, sperimentale e rischioso. La crescita della dimensione mediana delle operazioni di venture capital segnala la maturità della prima ondata di innovazione: per quanto riguarda i round di crescita, la dimensione media delle operazioni è cresciuta del 29%, mentre quanto ai round dell’ultimo stadio, l’incremento annuo è del 17%.
La pandemia ha messo in evidenza l’importanza di catene di approvvigionamento efficienti e di modi alternativi di coltivazione, lavorazione, trasporto e vendita di cibo ai consumatori. Le innovazioni a metà strada – tra agricoltore e rivenditore – hanno ottenuto un boom di investimenti. Il food delivery ha guadagnato nuovo terreno per ovvie ragioni e lo stesso si può dire del campo delle tecnologie Cloud Retail.
Tuttavia, a fronte di questa enorme rilevanza del settore, l’Italia sconta un forte ritardo: si pensi che le start-up agrifood nel 2020 rappresentavano il 6,8% del totale globale ma hanno raccolto appena lo 0,1% del venture capital mondiale. Un ritardo che rischia di mettere all’angolo un Paese che è attualmente tra i primi tre produttori agrifood a livello europeo per la sua incapacità di stare al passo con i mutamenti strutturali a livello globale nei metodi produttivi e nella domanda.
Per evitare questo, occorrerebbe intanto attirare maggiori capitali e poi creare centri di eccellenza con una massa critica tale da poter competere a livello globale. Un’altra idea potrebbe essere quella di introdurre voucher e incentivi per l’adozione nel mercato professionale delle soluzioni esistenti di precision farming, food delivery, D2C, online grocery, dove le start-up italiane sono già in grado di esprimere significative posizioni di eccellenza.