Con oltre 500 miliardi di euro di fatturato in Italia, la filiera agroalimentare rappresenta uno dei settori chiave dell’economia del nostro paese. La pandemia da Covid-19 ha fatto emergere ancora una volta il valore e la resilienza di questo mondo, con dati che dimostrano come la filiera sia stata capace di rivelarsi immune, o quasi, anche alla terribile crisi economica, sanitaria e sociale vissuta non solo dall’Italia negli ultimi quattordici mesi. E se è sicuramente vero che il cuore pulsante dell’Italia è a tavola, il nuovo Rapporto del Think Tank di Cassa Depositi e Prestiti guidato da Andrea Montanino fa emergere che anche la sfida della sostenibilità parte dal cibo.
LA FILIERA AGROALIMENTARE ITALIANA
Secondo i dati Istat del 2017, la filiera agroalimentare può essere considerata come il primo settore economico del nostro Paese, con un fatturato di oltre 500 miliardi di euro e un totale di quasi 4 milioni di occupati, pari al 17% della forza lavoro totale. Se presa nella sua interezza, questa si estende dalle attività di agricoltura e allevamento alle industrie alimentari e delle bevande, arrivando a coinvolgere anche tutto il comparto dell’intermediazione e di altri servizi legati al settore secondario dell’economia come quello della distribuzione e del commercio. L’ultimo anello della filiera, ma sicuramente non il meno importante (come stiamo vedendo per via della pandemia), è rappresentato dal settore della ristorazione, che pesa per circa l’8% del fatturato della filiera estesa, e, più in generale, dei servizi di ospitalità e catering necessari per far arrivare i prodotti al consumatore finale. Per avere un quadro complessivo dell’importanze di questo settore bisogna considerare che, intorno alla catena formata dai vari livelli della filiera, vengono poi a costruirsi rapporti diretti e indiretti che sussistono tra i differenti attori, con la creazione, ad esempio, delle numerose cooperative (più di 4700 nel 2016) che caratterizzano il tessuto nazionale italiano.
UN SETTORE IN CRESCITA, ANCHE GRAZIE ALL’EXPORT
Negli ultimi vent’anni la filiera agroalimentare italiana si è mostrata estremamente virtuosa e remunerativa. Secondo i dati riportati nel rapporto, prendendo in considerazione i soli comparti centrali del settore, ovvero quello agricolo e l’industria di trasformazione, nel 2019 l’Italia ha generato quasi 71 miliardi di dollari in valore aggiunto reale, pari a oltre il 4% del totale nazionale. Questi dati fanno dell’Italia una delle principali potenze agricole dell’Unione europea, con numeri in linea con quelli della Germania, della Francia e della Spagna.
Un ruolo fondamentale è svolto dalle esportazioni dei nostri prodotti, in crescita dell’89% tra il 2009 e il 2019 (la seconda miglior performance – dopo il farmaceutico – tra tutti i settori della manifattura italiana), che negli ultimi anni hanno comportato un’espansione di produzione, fatturato e attenzione in termini di marketing e sviluppo dei brand. Circa un quinto della produzione è destinato ai mercati esteri, sebbene si evidenzia come il made in Italy agroalimentare sia ancora poco intercontinentale. Difatti, secondo i dati Istat 2018, quasi il 90% dei prodotti agricoli e oltre il 70% di quelli alimentari esportati sono destinati ai soli mercati europei. Tra i prodotti più esportati il primato spetta al comparto vinicolo, pari a quasi il 20% del totale (ma ancora inferiore al dato francese), seguito dai prodotti della filiera zootecnica (intesa sia come animali vivi che come prodotti caseari) che rappresentano il 16%. Al terzo posto, con oltre il 13%, troviamo il comparto cerealicolo, in cui dominano pasta e derivati e subito dopo il settore della frutta fresca.
Un’altra eccellenza italiana, anch’essa legata alle esportazioni, sono i prodotti alimentari riconosciuti come di alta qualità. Il nostro Paese detiene il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine e a indicazione geografica riconosciuti dall’Unione europea (DOP, IGP STG). Con oltre 310 prodotti registrati nel 2020, l’Italia rappresenta oltre un quinto dei prodotti riconosciuti in Europa.
LA SFIDA DELLA SOSTENIBILITÀ
All’interno del quadro dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo Sviluppo Sostenibile, il report Cdp evidenzia come la sfida principale del settore agroalimentare sia quella di essere in grado di garantire la giusta alimentazione, sia in termini di qualità e nutrimento che dal punto di vista della quantità, preservando l’ecosistema e le risorse naturali, come ad esempio l’acqua. La filiera alimentare è pienamente coinvolta e affetta dai fenomeni legati ai cambiamenti climatici, all’incremento delle temperature e alle percentuali elevate di gas serra nell’aria. Particolarmente inquinanti e dannose in termini di sostenibilità sono le pratiche che hanno caratterizzato la filiera a livello mondiale negli ultimi anni, quali le piantagioni intensive e mono-coltura, l’esaurimento e l’erosione del suolo, l’utilizzo massivo di pesticidi e fertilizzanti e gli imponenti allevamenti intensivi di bestiame. Tutti questi fenomeni hanno un impatto diretto sulle produzioni, generando mutamenti nelle quantità e nelle qualità nutrizionali dei generi alimentari. Producono, inoltre, cambiamenti nelle esigenze dei processi di lavorazione, come ad esempio in termini di irrigazione e di programmazione delle produzioni stagionali.
In riferimento a ciò, il settore dell’agricoltura italiana ha mostrato negli ultimi anni performance particolarmente brillanti, soprattutto in termini di crescita delle quantità prodotte e della produzione biologica. Secondi i dati Cdp, il Made in Italy agroalimentare è leader sia nei prodotti certificati biologici, sia nelle produzioni a Indicazione Geografica IG. Grazie alla diffusione delle Organic Farm come modello produttivo alternativo, nel 2018 le “Aziende biologiche” italiane coprivano circa il 15,2% delle aree agricole, un valore doppio rispetto alla media europea (7,5% la media EU27).
Positivi sono anche i dati che riguardano le emissioni derivanti dalla filiera. Tra il 2010 e il 2018 le emissioni del settore dell’Agricoltura, Silvicoltura e Pesca si sono ridotte in Italia dell’1,1%, a fronte di una crescita nell’EU27 pari a circa l’1,6%, con il settore dell’agricoltura italiana che nella sua interezza mostra un’intensità emissiva tra le migliori a livello europeo. La tendenza a diminuire l’intensità emissiva del settore è ulteriormente migliorata negli ultimi anni, registrando una riduzione del 5% nel periodo 2009-2018, a fronte di una contrazione più contenuta (- 3,3%) a livello europeo.
E IL COVID?
La pandemia da Covid-19, pur rappresentando una pesante battuta d’arresto per molti comparti connessi alla filiera, ha colpito il settore agroalimentare in maniera relativamente ridotta, con una diminuzione del 4% del valore aggiunto rispetto al 2019. Anche sul fronte export la crisi ha causato un rallentamento limitato per il settore agroalimentare che ha registrato, comunque, nel 2020 un aumento sia per il comparto agricolo (+0,7%) che per l’industria alimentare (+2%). Da segnalare che si tratta degli unici settori, insieme al farmaceutico, protagonisti di una crescita rispetto al 2019, a fronte di una diminuzione complessiva dell’export nazionale prossima al 10%.
Il rapporto di Cdp fa emergere le qualità resilienti del comparto, evidenziando come ci sia ampio spazio per una ripartenza dinamica del settore. Per l’agroalimentare italiano “c’è spazio per una ripartenza dinamica, facendo leva sulle eccellenze, anche in termini di sostenibilità. Le evidenze mostrano che la filiera agroalimentare italiana presenta infatti alcuni risultati incoraggianti in termini di sviluppo sostenibile, testimoniando un’attenzione crescente alla gestione dei rischi e delle opportunità derivanti dai cambiamenti in atto a livello globale”, spiegano gli economisti del pool Andrea Montanino, Simona Camerano, Alberto Carriero, Davide Ciferri, Eleonora Padoan, Laura Recagno e Carlo Valdes.
Una forte mano in questo senso potrebbe essere data dagli 8 miliardi di euro previsti per l’agricoltura nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), pari (solo) a circa l’1% delle risorse totali del piano. Secondo Cdp, questa cifra basterebbe per generare un aumento degli occupati di circa 50mila unità, e potrebbe garantire ulteriori passi avanti in termini di innovazione e sostenibilità quali l’aumento dell’utilizzo di fonti rinnovabili nel mix di produzione e consumo, oppure un’ulteriore riduzione delle emissioni inquinanti e una maggiore attenzione al tema del consumo e dell’erosione del suolo e delle risorse idriche.