Salute, le abitudini e le paure degli italiani nell’Italia delle riaperture


Articolo
Maria Vittoria Di Sangro
Salute

Settimana di riaperture, quella appena trascorsa, per gran parte delle regioni italiane: sul fronte della salute l’andamento della curva dei contagi è decrescente da alcune settimane, e anche negli altri Paesi europei si registra questo trend da metà aprile. Ma come sappiamo ci troviamo in un’emergenza con la quale dovremo convivere ancora per molto. Intanto la variante indiana del virus fa sempre più paura: il ministro Roberto Speranza ha firmato un’ordinanza che vieta l’ingresso da India, Bangladesh e Sri Lanka. L’unica speranza di un ritorno stabile alla normalità la rappresentano i vaccini: la campagna vaccinale è ormai entrata nel vivo, al 28 aprile il 22,5% della popolazione risultava aver ricevuto almeno la prima dose a fronte di una media europea del 22,90%.

In questo contesto, nell’ultimo anno ormai abbondante segnato così in profondità dalla pandemia, il Servizio sanitario nazionale – com’è inevitabile che sia fortemente concentrato sul Covid-19 – ha faticato a riprendere appieno le proprie funzionalità. La recente indagine dal titolo “Gli italiani e il Covid-19. Impatto socio-sanitario, comportamenti e atteggiamenti della popolazione italiana” promossa dalla Fondazione Italia in Salute (ne ha scritto qui Maria Rosaria Della Porta) evidenzia come 35 milioni di italiani nel 2020 non siano riusciti a usufruire di servizi sanitari e prestazioni mediche per le patologie non-Covid: si tratta del 52% della popolazione.

Ma quali sono in materia di salute i servizi a cui la popolazione italiana ha dovuto rinunciare di più? Nel 69,7% dei casi sono mancate visite specialistiche e al secondo posto (27,5%) si è trattato di visite dal proprio medico di base. A poca distanza (26,2%) seguono le analisi cliniche non fatte. Gli interventi ospedalieri fatti in day hospital, rinviati o cancellati, hanno coinvolto quasi il 10% della popolazione.

E’ ragionevole pensare che una parte delle rinunce ai servizi sanitari possa derivare dal timore della popolazione di frequentare le strutture sanitarie. Per quanto riguarda i cambiamenti nell’atteggiamento degli italiani, questa paura è piuttosto forte, ancora a un anno dall’inizio della pandemia: solo il 13,8% della popolazione non ha nessun timore a frequentare strutture di tipo sanitario, mentre il resto, cioè l’86,2%, ne ha in vario grado timore.

Ampliando il discorso a tutti gli ambiti della scelte di vita della popolazione, si è riscontrato un calo straordinario e inevitabile della vita sociale: il 71% della popolazione ha ridotto spontaneamente qualunque uscita con altre persone e altrettanti hanno rinunciato a frequentare o a invitare qualunque tipo di persone a casa propria. C’è poi il capitolo degli spostamenti e dei trasporti: il 63,3% evita di prendere qualunque mezzo pubblico e il 59,3% qualunque tipo di viaggio. La frequentazione dei luoghi pubblici, dei negozi e dei ristoranti, anche se parzialmente aperti, è stata azzerata dal 53,5% della popolazione. Anche la pratica sportiva ha avuto un crollo, perché il 29,1% della popolazione vi ha rinunciato spontaneamente.

Sono soprattutto i residenti al Sud che hanno subìto l’impatto psicologico e comportamentale più profondo, sebbene sia stato diffuso dovunque in Italia.

I dati sono preoccupanti: quasi la metà della popolazione, esattamente il 49%, afferma di aver accresciuto il proprio nervosismo e di avvertire un certo stress (ovviamente collegato alla pandemia); il 43,9% fa meno attività fisica o ha smesso del tutto di farla; il 28,8% degli italiani sostiene di dormire di meno o di avere più difficoltà a prendere sonno; il 25,7% afferma che mangia di più e/o ha smesso di seguire regole alimentari che aveva prima. Si tratta di cambiamenti enormi per la loro diffusione nella popolazione.

Con la consapevolezza che ogni prestazione mancata o rinviata porterà nel futuro a breve termine l’intera popolazione a risentire degli effetti indiretti della pandemia sulla salute e la qualità della vita, questi dati possono rappresentare uno spunto per i decisori politici per pianificare un rientro alla normalità che non lasci indietro nessuno.

Nata a Roma nel 1997, Maria Vittoria Di Sangro ha iniziato i propri studi mossa dalla curiosità per le lingue e le culture straniere. Una passione, questa, che l’ha portata a vivere numerose esperienze formative all’estero.

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