Lo smart working nell’anno della pandemia in Italia e in Europa. I dati Eurostat


Articolo
Giorgia Pelagalli
smart working

Il numero di persone che lavorano in smart working è aumentato in conseguenza della pandemia. Nel 2020 la percentuale di occupati tra i 15 e i 64 anni di età che ha dichiarato di lavorare spesso in modalità agile si è attestata al 12,3% nell’Unione Europea.

L’indagine pubblicata da Eurostat il 17 maggio in occasione della “Giornata mondiale delle telecomunicazioni e della società dell’informazione” mostra come il fenomeno del telelavoro sia stato protagonista di una crescita esponenziale nell’anno dell’emergenza sanitaria. Nel 2020 il lockdown e le misure di contenimento del contagio hanno forzato l’economia nazionale ed europea ad accelerare il processo di digitalizzazione e dunque a fare sempre maggiore affidamento su soluzioni smart, anche per quanto riguarda le modalità di lavoro.

Gli occupati che lavorano “spesso” da remoto sono coloro che dichiarano di svolgere a casa attività produttive relative al loro impiego per almeno metà dei giorni lavorativi su un periodo di quattro settimane. Questa categoria ha rappresentato nell’arco degli ultimi 15 anni una percentuale stabile della forza lavoro, che si aggirava intorno al 5%, per poi fare un salto nel 2020. Se vengono considerati anche coloro che hanno lavorato “a volte” da remoto, ovvero per almeno un’ora in quattro settimane, si può individuare nelle dinamiche di crescita dello smart working, un incremento stabile negli ultimi 15 anni che ha portato la percentuale dei lavoratori agili a salire dal 10,1% del 2006 fino al 14,4% del 2019. L’impatto del 2020 sul trend è tuttavia evidente anche quando si tiene conto di entrambe le categorie congiuntamente, infatti la percentuale degli occupati che hanno usufruito di modalità agile di lavoro è aumentata di circa 6 punti percentuali in un unico anno.

Tra coloro che spesso ricorrono allo smart working, la percentuale di lavoratori autonomi è stata significativamente più alta di quella dei lavoratori dipendenti negli anni. Nel 2019 i primi ricorrevano al lavoro agile per il 19,4%, mentre i secondi solo per il 3,2%. Tuttavia, nel 2020 lo scarto si è ridotto di molto a causa del drastico aumento della diffusione del telelavoro tra i dipendenti, la cui percentuale è salita di 7,6 punti percentuali, di contro all’aumento più modesto di 2,6 punti rilevato per la categoria dei lavoratori autonomi.

Sono state inoltre rilevate alcune differenze a seconda del sesso e dell’età dei lavoratori. Durante gli ultimi 15 anni, la percentuale di donne che ha fatto spesso ricorso allo smart working è sempre stata superiore, sebbene di poco (meno di un punto percentuale) rispetto a quella degli uomini, ma nell’anno della pandemia il gap si è allargato. La quota di donne spesso in smart working è infatti passata dal 5,7% del 2019, al 13,2% del 2020, mentre quella degli uomini da 5,2 a 11,5. Tuttavia, se si considerano gli occupati che solo “a volte” lavorano in smart, gli uomini rappresentano una quota maggiore delle donne dal 2006 al 2020. Facendo il confronto con altre fasce di età, è meno probabile che i giovani lavorino da remoto. Nel 2020 solo il 6,3% degli occupati tra i 15 e i 24 anni ha dichiarato di ricorrere spesso al lavoro agile, percentuale che sale al 13% per coloro di età compresa tra i 25 e i 49 anni e 12,4% per coloro tra i 50 e i 64.

Per quanto riguarda le singole realtà nazionali, l’Italia si piazza al di sotto della media europea, con il 12,2% di occupati che spesso ha fatto ricorso allo smart working nel 2020. In cima alla classifica vi sono Finlandia (25,1%), Lussemburgo (23,1%) e Irlanda (21,5), mentre in coda troviamo Croazia (3,1%), Romania (2,5%) e Bulgaria (1,2).

Nata a Formia nel 1996 e adottata da Roma nel 2015, ha conseguito la laurea triennale in Scienze economiche presso La Sapienza di Roma con una tesi sperimentale sull’Indice di Sviluppo Umano. Attualmente è borsista presso il Collegio Universitario dei Cavalieri del Lavoro “Lamaro Pozzani” e studentessa del Master of Science in Economics presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.

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