Public procurement in sanità. Criticità e sfide per un futuro resiliente


Articolo
Maria Vittoria Di Sangro
patologie

Il sistema di acquisti pubblici in sanità, anche detto “public procurement”, è uno strumento cardine attorno al quale ruota l’intero Servizio sanitario nazionale, ma soprattutto la salute dei cittadini. Solo nel 2020 il nostro Servizio sanitario ha speso in farmaci circa 18,3 miliardi di euro, di cui 10,7 miliardi per acquisti diretti. Si tratta di una porzione di spesa pubblica che richiede una gestione efficiente, non solo per stimolare la capacità di innovazione da parte del mercato ma anche per rispondere alle necessità delle strutture sanitarie, e quindi al fabbisogno di cure dei cittadini.

Durante la crisi e nonostante le forti difficoltà iniziali, il procurement sanitario ha dimostrato in alcuni casi di poter essere utilizzato più agevolmente rispetto al passato. Con il Covid-19 gli acquisti sanitari non sono più ambito di interesse di pochi, tanto che oggi è più diffusa la consapevolezza della loro strategicità e di come le scelte di cosa, come e quando acquistare possano fare la differenza.

Negli ultimi vent’anni il public procurement in sanità è stato oggetto di un’estesa attività legislativa non solo a livello nazionale, ma anche europeo e locale. Questa incredibile proliferazione normativa ha determinato asimmetrie informative e un sistema caratterizzato da una forte complessità di lettura e applicazione. L’attuale quadro presenta più di qualche area di miglioramento per lo snellimento delle procedure, ferma restando l’importanza di una capillare regolamentazione in questo ambito.

Questi sono solo alcuni degli spunti e dei dati contenuti nel Policy BriefIl public procurement in sanità. Le sfide per un modello di approvvigionamento strategico”, elaborato dall’Istituto per la Competitività (I-Com).

Ma quali sono le principali criticità emerse dal Policy Brief di I-Com? Sicuramente, di varia natura. Tra queste viene annoverata la pratica diffusa dell’utilizzo del criterio del miglior prezzo per l’aggiudicazione delle gare, usato nella stragrande maggioranza dei casi (oltre il 95%) e soprattutto quando l’oggetto della gara sono forniture di farmaci (in quanto beni standardizzabili). Inoltre, i prezzi posti a base d’asta vengono fissati in alcuni casi in base al prezzo dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) al netto dello sconto obbligatorio di legge (ovvero al prezzo “ex factory” di cessione alla distribuzione) in altri, in ragione del miglior prezzo ottenuto nella gara precedente.

L’insieme di queste dinamiche ha spinto le aziende a una competizione esasperata in una spirale al ribasso che ha danneggiato notevolmente la libera concorrenza. A questo proposito si è già espressa l’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), che ha sottolineato la necessità di predisporre preliminarmente alle procedure di gara un accurato studio di fattibilità che permetta alla stazione appaltante di definire un prezzo a base d’asta corrispondente al reale valore di mercato dei prodotti e di promuovere, quindi, il più ampio confronto competitivo in gara.

Dobbiamo sempre tenere a mente che, come abbiamo visto durante la pandemia, i prezzi delle materie prime subiscono le dinamiche di un mercato ormai globale e sono, di conseguenza, soggetti a forti e improvvise fluttuazioni. Per un sistema di procurement resiliente, non è possibile non integrare nel funzionamento della macchina degli acquisti una maggiore attenzione a questi fattori.

Un’altra criticità emersa dal documento I-Com è sicuramente l’utilizzo strumentale della tutela giurisdizionale. Negli innumerevoli ricorsi l’amministrazione è risultata perdente solamente nel 20% circa dei casi. Nonostante un tasso di soccombenza relativamente limitato, è doveroso riconoscere come i ricorsi siano da un lato frutto dell’incertezza dei tempi mentre dall’altro contribuiscano ad alimentarla. In un contesto in cui i tempi di aggiudicazione, e quindi la cadenza con cui vengono bandite le gare e la durata stessa dei contratti, non sono prevedibili, chi si aggiudica la gara è incentivato a ricorrere per mantenere le proprie rendite di posizione, e i competitor a contestare l’aggiudicazione nella speranza di ribaltare il risultato. Inoltre, la mancanza di certezza e stabilità giuridica amplifica le complessità correlate all’indizione e allo svolgimento delle procedure di gara, aumentando potenzialmente l’insorgenza di vizi procedimentali.

A questo riguardo, sarebbe sicuramente utile rafforzare la conoscenza del mercato dei fornitori e delle esigenze degli utilizzatori finali dei beni acquistati, in primo luogo attraverso un migliore utilizzo dello strumento (già previsto dalla normativa) delle consultazioni preliminari di mercato. In questo modo si potrebbero anticipare le impasse decisionali e i motivi di ricorso, risolvendoli possibilmente in una fase preliminare alla gara. Come sottolineato nel Policy Brief, “nel settore degli acquisti sanitari, dove è fondamentale la tempestività, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa, anche un legittimo freno all’esercizio distorto e strumentale della tutela giurisdizionale contribuirebbe al complessivo miglioramento del sistema degli acquisti“.

L’insieme delle tante criticità esistenti determina sempre di più un aumento del numero di gare non aggiudicate per assenza di requisiti. Alcune – addirittura – vanno deserte. E sono i dati a parlare: solamente dal 2005 al 2016 l’incidenza dei lotti aggiudicati è calata dall’87,1 al 72,6%, mentre l’incidenza delle gare deserte, invece, è passata dal 12,5 al 25,4% e le gare non aggiudicate per assenza di requisiti sono aumentate dallo 0,4 all’1,9%.

La considerazione che gli acquisti sanitari non riescano a operare come volano per l’innovazione, né per gli operatori economici, né per i pazienti, dipende da diversi fattori. Indubbiamente, vi è una programmazione sanitaria regionale che vive il procurement come una mera procedura e non come funzione strategica in grado di costituire un punto di raccordo con un mercato che avrebbe tutte le competenze (se adeguatamente stimolato) per fornire risposte piuttosto che semplici beni e servizi.

La pubblica amministrazione sembra non essere ancora in linea con il momento storico che stiamo vivendo, in cui il perseguimento del public value ricopre un ruolo sempre di più strategico per le imprese. Come rilevato nel Policy Brief, “questa miopia è esaltata e alimentata da un quadro regolatorio instabile e frammentato, che ha reso il contenzioso non un’eccezione, ma una sorta di cronicità dei processi di acquisto, rafforzando l’orientamento alla conformance anziché alla performance e generando così costi nascosti“.

Inoltre, è d’obbligo considerare il fatto che la continuità terapeutica, l’equità di accesso alle cure e la libertà prescrittiva dipendono in larga misura da come è impostato il sistema di acquisti. Anche la gestione delle cronicità, una delle grandi sfide che il nostro Servizio sanitario nazionale deve affrontare, è strettamente correlata al procurement sanitario e a come questo viene impostato. Ne è un esempio la rilevanza che i Tribunali amministrativi regionali hanno assunto nel panorama nazionale. I Tar hanno acuito le già presenti differenze inter e intra regionali che, inevitabilmente, si riverberano nelle possibilità di accesso dei cittadini ai farmaci.

Dunque, il nostro sistema di approvvigionamento di beni e servizi sarà chiamato a essere sempre più in grado di contribuire a obiettivi di maggior efficacia e di sostegno al disegno e all’implementazione della programmazione regionale.

Non si tratta più, quindi, di comprare gli stessi beni e servizi del passato a un prezzo unitario più basso, ma di riqualificare il portafoglio degli approvvigionamenti e di vincolare i pagamenti a obiettivi di outcome/esito sanitari predefiniti.

Tra le proposte elaborate da I-Com tese al miglioramento del sistema pubblico di acquisti in sanità vi sono: il rafforzamento delle sinergie tra pubblico e privato (che consentirebbe di convertire la domanda pubblica di beni e servizi in uno strumento strategico di politica industriale), l’implementazione di sistemi di gestione agile degli appalti (inserendo, ad esempio, approcci di Outcome Based Contract e il criterio della costo/efficacia nella valutazione delle offerte), l’investimento nelle competenze delle stazioni appaltanti (che garantirebbe una migliore pianificazione dei fabbisogni della popolazione), e infine, la tutela delle filiere italiane, pesantemente danneggiate dall’utilizzo esclusivo del criterio del miglior prezzo, a discapito della qualità.

Nata a Roma nel 1997, Maria Vittoria Di Sangro ha iniziato i propri studi mossa dalla curiosità per le lingue e le culture straniere. Una passione, questa, che l’ha portata a vivere numerose esperienze formative all’estero.

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