Le piccole e medie aziende e gli imprenditori sono stati senza dubbio duramente colpiti durante la crisi del Covid-19. Le risposte della politica sono state rapide e senza precedenti e hanno contribuito ad attutire il colpo e a mantenere a galla la maggior parte delle realtà produttive e degli imprenditori. Nonostante l’entità dello shock, i dati finora disponibili mostrano che vi è stata una buona nascita di start-up e addirittura un impulso all’innovazione nella maggior parte dei Paesi Ocse. Soprattutto, finora nessuna ondata di fallimenti è stata registrata, grazie ai sostegni finanziari che, uniti alle modifiche apportate alle procedure di insolvenza, hanno dato respiro in particolare alle imprese dei settori più impattati e con i cali più significativi di fatturato. È quanto si legge nell’Outlook 2021 su piccole e medie imprese e imprenditorialità pubblicato recentemente dall’Ocse.
Naturalmente, le aziende ci hanno messo del loro: hanno adattato i loro modelli di business e adottato in maniera più diffusa gli strumenti digitali. Il risultato è stato un 50% che ha aumentato l’adozione delle nuove tecnologie durante la pandemia, contribuendo così ad accelerare la transizione digitale. Secondo un sondaggio condotto in collaborazione da Facebook, OCSE e Banca mondiale, la gran parte di quelle che hanno aumentato l’utilizzo di questi strumenti durante la pandemia ha dichiarato che si tratta di modifiche permanenti.
Certo, via via che le campagne di vaccinazione prendono piede e le prospettive economiche si fanno più rosee, i governi devono lavorare sulle condizioni per uscire dalla crisi e ricostruire il nostro tessuto produttivo. Occorre, insomma, passare dalla mera sopravvivenza alla ripresa e alla crescita. I segnali positivi non mancano: dopo un calo iniziale, ad esempio, le start-up si sono riprese, con tassi di nascita pari (se non superiori) ai livelli pre-crisi in molti Paesi, supportate anche da un mercato del venture capital che ha raggiunto i massimi storici. Sono anche nate molte iniziative nell’ambito dell’innovazione sociale, non solo volte ad affrontare le sfide socio-economiche create dalla crisi, ma vere e proprie imprese sociali orientate al mercato per rispondere alle tendenze della società verso modelli di business e di consumo locali, inclusivi e sostenibili. È presto per dirlo ma, se durature, tali innovazioni e dinamiche porteranno plausibilmente a maggiore produttività, crescita e creazione di posti di lavoro.
Tuttavia, com’è normale che sia, l’emergenza pandemica ha portato con sé anche nuovi rischi e nuovi fattori di vulnerabilità. In prima istanza, il sostegno dei governi è stato meno efficace nel raggiungere i lavoratori autonomi, le imprese più piccole e più giovani, le donne e gli imprenditori di minoranza, ampliando così le disuguaglianze preesistenti. Inoltre, esistono significative differenze tra Paesi nella percentuale di piccole e medie imprese che ricevono sostegno statale, il che riflette i differenti contesti istituzionali, l’efficacia dei meccanismi di attuazione e le diverse capacità di bilancio. A ciò si aggiunga la preoccupazione per l’indebitamento delle imprese e la loro capacità di ripresa qualora le misure di sostegno venissero annullate in tempi stretti.
Diventa, dunque, necessario che i governi, per scongiurare i disastrosi effetti e l’ondata di fallimenti che potrebbero scaturirne, siano in grado di garantire una tempestiva ristrutturazione del debito per le aziende redditizie e l’attuazione di procedure di liquidazione efficienti, in modo che le risorse non vengano destinate in modo errato a realtà produttive strutturalmente non redditizie. In un simile contesto, particolare rilievo assume la tendenza a livello globale verso una finanza sostenibile e gli investimenti ESG, che offrono nuove opportunità, soprattutto di accesso a fonti di finanziamento più appropriate e diversificate.
Sebbene l’aumentata adozione degli strumenti digitali da parte delle piccole e medie imprese sia la benvenuta – visto che contribuirà a colmare divari di produttività di vecchia data -, la rapidità con cui ciò sta avvenendo ha anche reso molte piccole realtà vulnerabili agli attacchi informatici. Inoltre, molti continuano a rimanere indietro nella trasformazione digitale, in particolare i lavoratori autonomi e le microimprese, per cui i costi di adattamento rappresentano ancora un importante ostacolo. Inoltre, ricorda l’Ocse, si sono ulteriormente ampliati i divari tra le aziende nei settori ad alta intensità digitale e quelle nei settori a bassa digitalizzazione.
Occorre dunque affrontare questioni chiave come i gap di investimento e i lock-in tecnologici, così come improrogabile appare pure compiere uno sforzo ulteriore per migliorare le competenze digitali, la cultura dei dati e la cyver-security con l’obiettivo di sfruttare appieno il potenziale della trasformazione digitale per tutte le imprese.