Un bambino che nasce nel Mezzogiorno, nel primo anno di vita, ha il 40% in più del rischio di morire rispetto a quelli nati nel Nord-Est. Ma ha anche una probabilità del 70% più elevata rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord di dover migrare in altre regioni per curarsi.
Sono solo alcuni dei dati emersi da uno studio che per la prima volta valuta la mobilità attiva e passiva nei bambini e ragazzi di età minore o uguale ai 14 anni tra le varie regioni italiane. Tra le altre cose, la ricerca conferma la critica situazione dell’assistenza pediatrica in alcune aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno.
Lo studio, intitolato “Pediatric interregional healthcare mobility in Italy” e pubblicato sull’Italian Journal of Pediatrics, è stato curato da Mario De Curtis, Francesco Bortolan, Davide Diliberto e Leonardo Villani.
I dati di partenza dell’indagine sono stati ottenuti dal “Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero – Dati SDO 2019” pubblicato dal ministero della Salute, che rappresenta lo strumento di raccolta delle informazioni relative a tutte le prestazioni di ricovero erogate negli ospedali pubblici e privati accreditati presenti sul territorio nazionale.
Rispetto a quelli del Centro-Nord, i bambini residenti nel Sud del Paese vengono curati più frequentemente in altre regioni (l’11,9% contro il 6,9%) soprattutto quando si considerano i ricoveri ad alta complessità, (il 21,3% contro il 10,5% del Centro-Nord). In questi casi la migrazione extra-regionale dal Mezzogiorno ha rappresentato l’87% dei ricoveri totali e il 95 di quelli ad alta complessità.
Sempre secondo le evidenze presentate, i bambini e i ragazzi meridionali si ricoverano più frequentemente in ospedale e si trasferiscono più assiduamente in altre regioni per curarsi. L’entità di questo trasferimento verso le strutture del Centro-Nord per alcune regioni ha un costo molto elevato e per altre, come la Calabria, supera un quarto di tutte le spese per l’assistenza per questa fascia di popolazione.
Altri dati allarmanti emersi dallo studio riguardano il costo della mobilità passiva, che è stato di 103,9 milioni di euro per le regioni del Mezzogiorno (15% della spesa totale dei ricoveri), l’87% dei quali (90,5 milioni di euro) ha riguardato la mobilità verso gli ospedali del Centro-Nord.
“La migrazione sanitaria dei minori lontano da casa determina profonde sofferenze per il distacco dal luogo di origine, problemi economici per le famiglie per le spese del trasferimento e difficoltà di lavoro dei genitori per l’allontanamento dalla loro sede“, ha dichiarato il presidente del Comitato per la Bioetica della Società Italiana di Pediatria Mario De Curtis, secondo il quale “le regioni meridionali, a causa della migrazione sanitaria, si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove”.
Una parte di questi costi potrebbe invece essere investita localmente in strutture e professionalità per migliorare la situazione. La mobilità sanitaria, pur interessando tutte le regioni italiane, è particolarmente rilevante nel Mezzogiorno ed è indice di una carenza di assistenza pediatrica, che dovrebbe essere rafforzata attraverso la creazione di servizi, attualmente non equamente distribuiti sul territorio.
Particolare attenzione va posta ai bambini con malattie croniche e rare, che sono tra i soggetti che più contribuiscono alla mobilità sanitaria interregionale. “La minore presenza di centri di riferimento per patologie complesse nelle regioni meridionali ne è una causa, che accentua le diseguaglianze sociali in quanto incide notevolmente sui bilanci familiari, già mediamente più bassi, con le spese per viaggi, trasferimenti, soggiorni fuori sede, assenza dal lavoro, etc.”, ha sottolineato il professore ordinario di Pediatria all’Università di Palermo ed editor in chief dell’Italian Journal of Pediatrics Giovanni Corsello. Che ha poi continuato: “La pandemia ha inciso negativamente sullo stato di salute di questi bambini, riducendo la qualità delle cure, il calendario dei controlli e delle prestazioni di recupero e abilitazione. È nettamente aumentato il numero di soggetti disabili o con malattie croniche ricoverato in situazioni di urgenza in ospedale, per complicanze dovute a mancati controlli, o per esordio non intercettato in modo precoce ed efficace”.
In questo senso il Next Generation Eu rappresenta un’opportunità irripetibile per cercare di correggere, o quantomeno diminuire, le tristemente famose differenze regionali che da anni ormai caratterizzano il nostro Servizio sanitario nazionale. In questa direzione va anche l’appello dei pediatri italiani. Secondo la presidente della Società Italiana Pediatria Annamaria Staiano “l’idea che nascere e vivere in un particolare territorio del nostro Paese possa offrire una maggiore o una minore probabilità di cura e di sopravvivenza semplicemente non è accettabile. Questi dati ci mettono di fronte alla necessità di esigere un cambiamento, una repentina inversione di rotta“. Oggi – ha concluso Staiano – “abbiamo la straordinaria possibilità di usufruire dei fondi previsti dal Next Generation Eu, quale migliore settore sul quale investire se non il mondo dei bambini? Quale migliore occasione per iniziare a limare il divario Nord-Sud se non partendo dal bambino nella prima infanzia?”.