Assistenza territoriale, cosa prevede la prima bozza della riforma


Articolo
Maria Vittoria Di Sangro
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Il gruppo di lavoro dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) ha redatto la prima bozza di riforma per una nuova assistenza territoriale in Italia che definisce standard e modelli da adottare per assicurare la capillarità del Servizio sanitario nazionale.

Tra le principali misure, il documento prevede che ogni 100.000 abitanti sia istituito un Distretto Socio-Sanitario, all’interno del quale dovranno essere presenti un minimo di quattro Case della Comunità (di cui una “hub” aperta 24/7), un servizio di Unità speciale di continuità assistenziale (Usca), due ospedali di Comunità, un Hospice e una Centrale operativa territoriale. Inoltre, verrà attivato il numero verde unico europeo “116117” tramite il quale sarà possibile gestire sia l’assistenza domiciliare che altri servizi integrati come la salute mentale, i servizi sociali e i consultori.

La bozza è stata presentata alla Cabina di regia per il Patto per la Salute, che prevede la definizione di nuovi standard per le cure territoriali. Ma è chiaro che al suo interno vengono inserite anche le novità introdotte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il confronto, è bene precisarlo, è ancora nella fase embrionale e sulla prima stesura del testo le regioni hanno mostrato più di una perplessità. Resta pure il fatto che il modello previsto rappresenta il primo tentativo di definire una cornice per i servizi territoriali entro cui le regioni, poi, saranno libere di organizzarsi secondo le specificità dei propri territori.

Il primo tassello della bozza preliminare, tanto necessaria quanto complessa, è il Distretto Socio-Sanitario, che avrà il compito di programmare, organizzare ed erogare direttamente i servizi. La programmazione del Distretto dovrà prevedere una Casa della Comunità “hub” e tre Case della Comunita “spoke” (tutte le aggregazioni dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta avranno sede fisica o comunque un collegamento funzionale di riferimento con le Case della Comunità), un infermiere di comunità ogni 2.000/2.500 abitanti, un’Unità Speciale di Continuità Assistenziale (formata da un medico e un infermiere) ogni 100.000 abitanti. E ancora, due Ospedali di Comunità (con venti letti ogni 50.000 abitanti), un Hospice con dieci posti all’interno della rete aziendale di cure palliative e una Centrale Operativa Territoriale (ogni 100.000 abitanti).

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Organizzazione di un Distretto tipo in un’area urbana di 100 mila abitanti

Nella bozza viene specificato che “in questa fase di innovazione e sviluppo del Servizio sanitario nazionale, inoltre, è dirimente garantire l’autonomia regionale nel vagliare la configurazione più opportuna in termini di tipologia e numerosità delle strutture e dei servizi di assistenza territoriale, sulla base delle caratteristiche geografiche e della popolazione di riferimento”.

Il fulcro dell’assistenza territoriale, tuttavia, sarà rappresentato dalla Casa della Comunità, per cui nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono stati stanziati 2 miliardi di euro. Secondo la definizione contenuta nella bozza, è “il luogo fisico di prossimità e di facile individuazione dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria e socio-sanitaria”. Inoltre, “la Casa della Comunità promuove un modello organizzativo di approccio integrato e multidisciplinare attraverso équipe territoriali. Costituisce la sede privilegiata per la progettazione e l’erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale”.

Le Case della Comunità (CdC) offriranno moltissimi servizi. Tra questi, la presenza medica (in caso di CdC hub sarà 24/7, in caso di CdC spoke sarà di12 ore per sei giorni su sette), il Punto Unico di Accesso (PUA) sanitario e sociale, il punto prelievi, i programmi di screening, i servizi per il monitoraggio delle cronicità e assistenza domiciliare di base e i servizi ambulatoriali specialistici per le patologie a elevata prevalenza (cardiologo, pneumologo, diabetologo, ecc.). Ma pure un sistema integrato di prenotazione collegato al CUP aziendale e servizi infermieristici, sia in termini di prevenzione collettiva e promozione della salute pubblica.

Un’altra figura professionale ultimamente molto discussa è proprio quella dell’infermiere di famiglia e comunità. Nella bozza è definito come “un professionista con un forte orientamento alla gestione proattiva della salute”. Questa figura “opera rispondendo ai bisogni di salute della popolazione di uno specifico ambito territoriale e comunitario di riferimento, favorendo l’integrazione sanitaria e sociale dei servizi”. Nella bozza è previsto un infermiere di famiglia e di comunità ogni 2.000-2.500 abitanti (per un totale di circa 30.000 figure professionali).

La sua funzione è orientata a una presenza continuativa e proattiva nella comunità territoriale di riferimento facilitando il percorso della presa in carico e della continuità dell’assistenza, favorendo l’integrazione e la collaborazione tra le figure professionali e i servizi socio-sanitari presenti sul territorio, in un vero e proprio lavoro di équipe territoriale.

Entrando maggiormente nel dettaglio del distretto, troviamo l’Hospice. Questa struttura di natura socio-sanitaria, secondo la bozza presentata, dovrà essere in grado di garantire la presa in carico globale dell’assistito e del suo nucleo familiare, integrandola con quella dell’ospedale e domiciliare. L’Hospice è una struttura rivolta a soggetti affetti da patologie croniche, neurodegenerative, oncologiche e in stadi avanzati, candidati a terapie di supporto. Come già citato in precedenza, lo standard è di un Hospice (fino a 10 posti letto) per 100.000 abitanti.

Finalmente la revisione dell’assistenza territoriale comincia a prendere forma, per quanto preliminare. Rimane incerto però il destino degli studi privati dei medici di famiglia e pediatri. Nella bozza viene ribadito da un lato che questi ultimi sono “referenti del caso in quanto titolari del rapporto di fiducia con il singolo cittadino in tutta la sua globalità e in tutte le fasi della vita” e dall’altro che “tutte le strutture fisiche territoriali oggi esistenti devono utilmente rientrare nella progettazione della nuova geografia dei servizi e strutture territoriali e quindi delle Case della Comunità e dei servizi correlati in rete.”

Il piano di sviluppo dei servizi territoriali di ogni singolo contesto regionale deve quindi tendere a una progettazione dei servizi in rete, con una precisa selezione delle infrastrutture fisiche esistenti da valorizzare, ristrutturare, riorientare con altre vocazioni e servizi o dismettere.

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