Commercio globale, le performance dell’Italia durante la pandemia


Articolo
Giusy Massaro
commercio

La crisi globale provocata dalla pandemia, dalla quale ancora non siamo del tutto fuori, ha impattato fortemente sul commercio globale. Secondo l’Annuario statisticoCommercio estero e attività internazionali delle imprese” pubblicato lo scorso 16 luglio dall’Istat e dall’Ice (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) nel 2020 le attività commerciali di tutto il mondo hanno subito una contrazione del 7,5% rispetto al 2019. In questo scenario, l’Italia ha registrato una diminuzione particolarmente marcata del valore dell’export (-9,7%), con un calo ancor maggior delle merci importate (-12,8%). Il risultato è stato un incremento dell’avanzo commerciale (7,5 miliardi in più rispetto al 2019) che, nel 2020, è arrivato ad ammontare complessivamente a 63,6 miliardi di euro.

Anche la quota di mercato dell’Italia sulle esportazioni mondiali di merci ha registrato una lieve riduzione (da 2,87 a 2,85%), in misura più accentuata per quanto riguarda Oceania, Asia centrale, Paesi europei non Ue e Africa settentrionale, mentre un incremento è stato rilevato in Medio Oriente, America e altri Paesi africani.

Quanto alla destinazione delle nostre esportazioni, queste sono dirette prevalentemente in Germania e Francia (quasi un quarto del totale), seguite da Stati Uniti, Svizzera e Regno Unito, che insieme spiegano un ulteriore 21% circa. In quanto a provenienza, l’attività di export si conferma concentrata prevalentemente nelle regioni del Centro-Nord (89,1%) – in particolare, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, che sono quelle col maggior numero di operatori e da sole spiegano oltre la metà del totale nazionale – mentre solo uno scarso 10% parte dalle regioni del Mezzogiorno.

Nel 2020, sono stati 126.275 gli operatori economici che hanno effettuato vendite di beni all’estero (-8% rispetto al 2019), di cui quasi il 60% sono “micro esportatori”, ossia imprese con un fatturato all’esportazione non superiore ai 75.000 euro. Questi spiegano solo lo 0,3% delle esportazioni totali, mentre oltre il 71% proviene dalle 4.276 imprese con un fatturato esportato superiore ai 15 milioni di euro. Un segmento, quest’ultimo, che ha realizzato il 71,2% delle vendite complessive sui mercati esteri. D’altronde, nel 2020 il mercato dell’export è diventato anche più concentrato, con una quota in aumento per i primi mille operatori (dal 51,7% al 52,6), ma anche per i primi 100 (dal 25,5% al 26,1).

A risentire maggiormente della crisi sono state le aziende più grandi (fatturato superiore ai 50 milioni di euro), che hanno subito una flessione dell’11,2%, e quelle particolarmente piccole, come i micro esportatori, le cui vendite all’estero nel 2020 sono diminuite del 12,4%. Per quanto riguarda i settori, il maggior numero di operatori si registra nel comparto dei macchinari. Seguono articoli in gomma e plastica, metalli e abbigliamento, pelli e accessori.

Nella manifattura la propensione all’export appare particolarmente elevata: solo tra le micro-imprese è pari al 27,7%, e cresce poi al crescere della dimensione d’impresa arrivando a superare il 40% per le aziende medie e grandi. Il rapporto infine, sottolinea come la produttività del lavoro, misurata dal valore aggiunto per addetto, sia sensibilmente più elevata per le imprese esportatrici, e questo vale per tutte le classi dimensionali.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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