Preoccupa l’aumento autunnale delle bollette dell’energia che, nelle parole del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, si tradurrebbe in una crescita del 40% della tariffa dell’elettricità e del 31% di quella del gas (non sul costo finale, ma sulla materia energia, che costituisce quasi il 60% della spesa). L’impatto dei rincari ha alimentato una discussione pubblica in cui sono intervenuti tutti i principali leader politici, da Matteo Salvini a Enrico Letta, da Giorgia Meloni a Giuseppe Conte.
Se l’entità effettiva dei rincari sarà chiara solo al primo ottobre, quando l’Arera procederà con l’aggiornamento periodico, è comunque comprensibile l’inquietudine che si percepisce attorno alla questione, vista la durissima crisi economica e considerato che la povertà energetica in Italia riguarda già l’8,8% delle famiglie e non accenna a diminuire. Se è vero che l’Italia tradizionalmente figura nella top ten dei Paesi europei con bollette più care per famiglie e imprese, le ragioni del balzo di questi mesi sono tutt’altro che nazionali. Al contrario, hanno dimensione europea e internazionale e vi convergono una pluralità di fattori. Molto si deve (si stima per l’80% circa) ai prezzi record del gas naturale, di gran lunga la principale delle fonti del mix elettrico italiano e, come noto, quasi del tutto oggetto di forniture estere. Sotto la spinta della ripresa economica, complici il traino della domanda dell’Asia Pacifico, dove si fa incetta di GNL, il calo dell’export russo e la riduzione degli stoccaggi, le quotazioni internazionali del metano sono raddoppiate rispetto a un anno fa. Anche i mercati più grandi e liquidi dell’Europa continentale non sono esenti da un aumento vertiginoso dei prezzi. A contribuire al rincaro delle bollette (per un 20% circa) è anche l’incremento del prezzo della CO2. I permessi dell’ETS per l’Unione europea, infatti, hanno segnato un record storico, superando la soglia dei 60 euro a tonnellata.
Fatto sta, quindi, che sulla borsa elettrica del Gestore dei Mercati Energetici (GME) il prezzo del megawattora supera i 140 euro, quando un anno fa si collocava sotto i 50. La scadenza del 1° ottobre risulta ancora più pesante, in quanto ha inizio l’anno termico, il periodo contrattuale di fornitura industriale dell’energia. I contratti a rinnovo annuale pertanto saranno inevitabilmente soggetti all’aumento di prezzo.
Le soluzioni allo studio per evitare il salasso dei consumatori italiani sono principalmente due. Da un lato, si ripeterebbe quanto già fatto nel luglio scorso, quando il governo ha finanziato con 1,2 miliardi di euro la riduzione degli oneri generali di sistema per il trimestre luglio-settembre, ricorrendo a una parte del gettito delle aste ETS. Nello specifico, venivano contenuti gli oneri riguardanti il supporto alle fonti rinnovabili (la componente Asos della bolletta) e di conseguenza l’aumento complessivo risultava di poco inferiore al 10% anziché al 20. Gli oneri (dei quali da molto tempo e da più parti si sollecita una riforma generale), nel terzo trimestre del 2021 hanno rappresentato per il consumatore domestico tipo una quota pari al 10,7% della bolletta. In questo caso, lo stanziamento dell’esecutivo più che raddoppierebbe rispetto a quello di luglio.
L’altra opzione al vaglio è la riduzione dell’IVA, sterilizzandola sulla differenza del costo dell’energia tra il primo ottobre e il primo luglio. Con l’ultimo aggiornamento dell’Arera, la componente fiscale costituisce il 12,6% del prezzo lordo totale per il consumatore domestico tipo. Tuttavia, una soluzione in tal senso è più probabile che arrivi nell’ambito della manovra finanziaria.