Lo scorso 21 settembre si è celebrata la giornata mondiale dell’Alzheimer, la forma più comune di demenza, tanto che ne rappresenta tra il 50 e l’80% dei casi.
Si tratta, purtroppo, di una malattia che è destinata ad aumentare nei prossimi anni. Secondo il recente rapporto “Global status report on the public health response to dementia” dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono oltre 55 milioni le persone affette da demenza nel mondo. Un numero, che per via dell’invecchiamento della popolazione, è destinato a salire. Le stime parlano di 78 milioni di malati nel 2030 e addirittura 139 milioni nel 2050.
Attualmente non esiste una cura in grado di rallentarne la progressione ma solo farmaci con benefici limitati e molto costosi per i sistemi sanitari. Nel 2019 il costo globale della demenza è stato stimato in 1.300 miliardi di dollari e sulla base del previsto aumento di persone che ne saranno colpite nei prossimi 10 anni, potrà raggiungere i 2.800 miliardi entro il 2030.
Tuttavia, la ricerca non si ferma. Un recente studio sulla PIN1, una proteina presente all’interno delle cellule cruciale per diversi processi fisiopatologici, sembrerebbe creare nuove opportunità dal punto di vista farmacologico, in grado di prevenire o migliorare il decorso di malattie dell’invecchiamento come l’Alzheimer.
Secondo l’Oms, bisogna però fare di più in quanto gli articoli pubblicati su riviste specializzate relativi alle demenze sono ancora 14 volte meno numerosi di quelli su altre malattie, come i tumori, il diabete o le cardiopatie. Pertanto, l’organizzazione si è posta l’obiettivo di raddoppiare il numero di pubblicazioni scientifiche su questi temi entro il 2025.
Oltre che sulla ricerca, è fondamentale puntare sulla prevenzione. Secondo un articolo pubblicato sulla rivista Lancet, il numero di casi di demenza potrebbe essere ridotto del 40% intervenendo sui 12 fattori di rischio, tra cui fumo, ipertensione, inattività fisica, obesità, consumo di alcool e inquinamento atmosferico, che giocano un ruolo principale nello sviluppo di queste patologie.
Anche in Italia il peso della malattia è ingente. Si stimano a oggi circa 1.200.000 casi di demenza, di cui circa 700.000 di Alzheimer. Pure nel nostro Paese la situazione è destinata a peggiorare. Basti pensare che oltre il 60% della popolazione è over 65.
Dunque, per non dimenticare l’Alzheimer e per tutelare le migliaia di pazienti e famiglie colpite, in occasione della giornata mondiale l’Associazione italiana malattia di Alzheimer (AIMA) e la Società Italiana di Neurologia (SIN) hanno presentato sette proposte, di seguito riportate.
La prima prevede un piano di interventi strutturali per colmare le lacune del sistema. Grazie alla ricerca, nel prossimo futuro potrebbe essere possibile cambiare il corso della malattia di Alzheimer partendo dalle sue primissime fasi caratterizzate da un decadimento cognitivo lieve. Questa nuova prospettiva investe la dimensione organizzativa e le dotazioni strutturali del Servizio sanitario nazionale. Occorrerà dunque programmare per tempo questo cambio di paradigma e i relativi investimenti (alcune indicazioni sono presenti in “Barometro Alzheimer”). A partire dal Fondo per l’Alzheimer e le demenze, previsto dalla legge di Bilancio 2021, si potranno individuare specifiche linee di investimento per le necessità dell’Alzheimer.
La seconda proposta ha a che fare con la prossimità. Le Case della Comunità previste nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, se adeguatamente organizzate, potrebbero includere anche alcuni Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD), avvicinando i servizi fondamentali per il paziente e per la sua famiglia grazie al contributo multidisciplinare di specialisti (medici e professionisti sanitari), medici di medicina generale e assistenti sociali. Per fare ciò sarà necessario portare in prossimità le competenze specialistiche (neurologiche e geriatriche) oltre che i servizi assistenziali e quelli sociali dei comuni. Il CDCD, quando non già presente all’interno di strutture ospedaliere, è chiamato a integrarsi con la rete ospedaliera e tutti gli operatori coinvolti per valorizzare la presa in carico olistica del paziente. In parallelo a questa transizione, sarà comunque necessario potenziare le risorse umane specializzate presso gli ambulatori di medicina generale al fine di favorire l’individuazione dei pazienti in fase prodromica e l’indirizzamento presso i CDCD, e rafforzare i centri diurni sul territorio dove svolgere trattamenti psicosociali, educazionali e riabilitativi nella demenza, destinati ai pazienti e relativi caregiver nelle fasi di malattia lieve-moderata.
La gestione della complessità dei pazienti Alzheimer dovrà prevedere dei veri e propri setting di cure “intermedie”: gli ospedali di comunità potranno contribuire alle risposte territoriali dei bisogni del malato e della famiglia. È questa la terza proposta dell’AIMA e della SIN. Sia nei processi di invio dal territorio che in quelli di dimissione dall’ospedale, il recupero delle condizioni di equilibrio psico-fisico potrà essere conseguito anche attraverso modelli di cure intermedie
Il quarto suggerimento, invece, riguarda l’infermiere di famiglia e di comunità, una figura a supporto dei pazienti affetti da Alzheimer che potrebbe avere un orientamento forte nel fornire supporto assistenziale e sanitario nelle situazioni di maggiore fragilità sociale di quei nuclei e di quelle persone che affetti dalla malattia vedono indebolire il loro contesto di riferimento e le forme di inclusione.
La quinta proposta, intitolata “Oltre l’ADI. L’ADI Alzheimer“, prevede la creazione di un’assistenza domiciliare integrata per questa patologia. Già presente negli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che intende rafforzarla per il 10% delle persone over 65, in questo campo l’ADI potrebbe rappresentare un modello di servizio che porta al domicilio competenze specialistiche multidisciplinari nonché attività riabilitative, psico-educazionali e di sostegno, anche in via digitale.
L’Italia non è allineata rispetto al quadro normativo di altri Paesi europei che riconoscono il
ruolo del caregiver anche attraverso specifiche tutele. Secondo la sesta proposta dell’AIMA e della SIN, occorre prendere in considerazione in modo diretto questa figura, dando piena attuazione alle disposizioni di legge che già negli anni scorsi hanno previsto uno stanziamento in questo senso.
Infine, l’ultimo suggerimento riguarda la formazione dei caregiver professionali e il sostegno a quelli familiari. La complessità della gestione della persona con malattia di Alzheimer prevede competenze che le famiglie imparano sul campo. Eppure, il lavoro di cura non si improvvisa e molto può essere fatto per sviluppare interventi specifici nell’accudimento quotidiano. Altro tema è quello della formazione dei badanti con competenze e tecniche specifiche nella gestione di quelle pratiche assistenziali che per il paziente con Alzheimer diventano più critiche.
È necessario un insieme di conoscenze e competenze che rafforzino il contesto all’interno del quale il malato vive, fatto di sostegni ai soggetti quotidianamente coinvolti nella sua cura anche attraverso iniziative di coproduzione e di community building.