Emergenza salute mentale, l’onda lunga del Covid-19


Articolo
Maria Vittoria Di Sangro
salute mentale

Nell’ultimo anno il 62% degli italiani ha visto peggiorare la propria salute mentale, il 21% ha riportato sintomi ansiosi interferenti sulle proprie attività quotidiane e il rischio di depressione nei giovani è arrivato al 64%. Questi sono solo alcuni degli effetti che la pandemia e le restrizioni hanno causato in particolare sulle persone psicologicamente più fragili o più esposte alla crisi economica derivante dall’emergenza sanitaria.

Ci troviamo di fronte a un’emergenza “silenziosa“. In Italia, circa 1 persona su 3 soffre di un disturbo mentale, ma questo argomento è ancora un tabù. Gli studi realizzati da numerosi team di scienziati in tutto il mondo nel periodo del lockdown e delle restrizioni successive descrivono in maniera pressoché unanime il pesante impatto che la pandemia ha avuto sulla sfera psichica degli individui. Proprio rispetto a questa problematica da mesi i presidenti di vari ordini regionali degli Psicologi e degli Psichiatri stanno manifestando la necessità di un piano che permetta ai cittadini di accedere a terapie e supporto psicologico.

LA SITUAZIONE PRIMA DELLA PANDEMIA

Già prima dell’emergenza sanitaria, il contesto della salute mentale in Europa non era dei migliori. Le stime riferiscono di 84 milioni di persone, cioè 1 abitante su 6, sofferenti per un disturbo mentale e attribuiscono 165.000 morti all’anno a malattie della psiche o al suicidio. La salute mentale si posiziona al quinto posto tra le malattie non trasmissibili più comuni e al secondo tra le più invalidanti, rappresentando il 15% del carico di disabilità europeo. Numeri che già prima della pandemia avrebbero dovuto destare preoccupazione e attirare l’attenzione per promuovere azioni di contrasto, prevenzione e contenimento.

In Europa, le patologie più diffuse sono l’ansia, con 5.529 casi per 100.000 abitanti, e la depressione, con 4.367 casi ogni 100.000 abitanti, seguite da disturbo bipolare, da quello dello spettro autistico e dalla schizofrenia (337 per 100.000 persone). Il suicidio è la sesta causa di morte nell’Unione europea nella popolazione di età inferiore ai 70 anni e la quarta al di sotto dei 20. L’Italia fortunatamente non è ai vertici di questa classifica: registra 5,9 casi ogni 100.000 abitanti contro un massimo di 26 della Lituania e un minimo di 4 a Cipro.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLA SALUTE MENTALE E LE FASCE PIÙ COLPITE

Negli ultimi mesi, complici gli allarmi lanciati da numerosi attori del settore, si è acceso un dibattito sul tema che mira soprattutto a promuovere l’implementazione di un’azione programmatica per allargare l’accesso alle cure degli individui più a rischio, tipicamente i giovanissimi e i lavoratori che versano in uno stato di precarietà e che, causa bassi stipendi, hanno difficoltà ad accedere privatamente a terapie psicologiche.

Più in generale l’intera popolazione è stata scossa dall’incertezza, ossia “l’elemento che scombina l’attività principale del cervello: quella previsionale, basata sulle esperienze e sull’algoritmo che per vivere costruiamo nella nostra testa“, ha dichiarato il presidente della Società italiana di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf) e direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano Claudio Mencacci. Secondo il professore, “poiché siamo animali sociali, abitudinari e programmati come specie a dare risposte molto capaci in emergenza, l’adattamento a questa situazione, prolungato a tempo indefinito, provoca uno svuotamento emotivo“.

La pandemia ha fatto insorgere sintomatologia psicologica in chi non aveva mai avuto episodi, ha esacerbato situazioni pre-esistenti, ha reso più difficile l’accesso ai servizi di supporto psichiatrico o psicologico e, in un circolo vizioso, ha fatto sì che la popolazione fosse meno propensa a usufruirne.

A questo proposito, molte ricerche (sia italiane che internazionali) hanno tentato di quantificare la magnitudo degli effetti della pandemia sulla sfera psicologica ed emozionale della popolazione e i risultati vanno tutti nella stessa direzione: la qualità della salute mentale della popolazione ha risentito pesantemente degli eventi.

Anche secondo i risultati di uno studio realizzato dal dipartimento di Scienze Biomediche di Humanitas University, la pandemia di Covid-19 ha impattato in maniera significativa la sfera psicologica degli italiani. L’indagine ha rilevato che nel periodo di pandemia sono state molte le persone che hanno notato un peggioramento dei rapporti con il partner o con i figli, rispettivamente il 21 e il 13%. Ma c’è di più. La metà del campione ha dichiarato di affaticarsi di più durante l’orario di lavoro mentre il 70% degli studenti ha riscontrato una riduzione della concentrazione nelle ore di studio.

La fase più dura dell’emergenza sanitaria ha spinto molte le persone a ricorrere ai farmaci. Nello specifico, il 14% degli intervistati ha dichiarato di aver iniziato ad assumere ansiolitici o sonniferi e il 10% ha fatto ricorso ad antidepressivi, mentre chi invece già faceva uso di questi farmaci prima della pandemia ha dovuto ricorrere a un aumento di dosaggio (19%). E ancora, il 21% ha riportato sintomi ansiosi clinicamente significativi, il 10% ha avuto almeno un attacco di panico nel mese precedente l’indagine, il 20% ha riportato sintomi clinicamente significativi di disturbo post-traumatico da stress (PTSD) in relazione a esperienze legate alla pandemia, mentre il 28% ha lamentato sintomi ossessivo-compulsivi disturbanti e interferenti con il proprio funzionamento quotidiano.

Ovviamente, le categorie più fragili (come bambini e adolescenti) presentano i dati più preoccupanti e meritano un’attenzione specifica. “Senza salute mentale non si va da nessuna parte“, ha dichiarato il docente e direttore della Scuola di Neuropsichiatria infantile della Cattolica e primario di Neuropsichiatria infantile al Bambino Gesù di Roma Stefano Vicari. Che a proposito di bambini e adolescenti ha lanciato nei mesi scorsi un appello: “Al Paese serve un Piano per l’infanzia e l’adolescenza mirato al benessere fisico e psicologico. Solo con la seconda ondata dall’autunno scorso abbiamo registrato un +30% di ricoveri in psichiatria per atti di autolesionismo e tentativi di suicidio”.

Solo all’ospedale pediatrico Bambino Gesù le ospedalizzazioni per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio sono passate dal 17% a gennaio 2020 al 45% del totale a gennaio 2021. Poi sono esplosi i disturbi del comportamento alimentare, solo per l’anoressia un +28% di richieste di aiuto. E per tutti i disturbi l’età media scende dai 15 ai 13 anni, dato che preoccupa ulteriormente.

Secondo la ricerca “Headway 2023 – Mental Health Index” che scatta una fotografia multidimensionale della salute mentale nei Paesi europei, anche la qualità della vita dei giovani adulti, oltre che di bambini e adolescenti, ha sofferto notevolmente gli effetti negativi della pandemia. Tra questi la chiusura delle università o la perdita del posto di lavoro hanno giocato un ruolo cruciale.

Durante la pandemia una percentuale di giovani (18-24 anni) nettamente superiore alla media ha riportato la presenza di sintomi di ansia e/o depressione (56%). Se si confrontano i dati per ragazzi e adulti, i giovani riportano maggiormente di aver utilizzato sostanze stupefacenti (il 25% contro il 13% degli adulti) e di aver avuto pensieri suicidi (il 26% contro l’11% degli adulti).

Già prima della pandemia, molte ricerche (principalmente legate alle crisi economiche) avevano dimostrato che la perdita del lavoro è associata ad aumento di depressione, ansia, angoscia e bassa autostima e che può portare a tassi più elevati di disturbo da uso di sostanze e pensieri suicidi. Di fatti, durante la pandemia gli adulti in famiglie con redditi più bassi hanno riportato tassi più elevati di sintomi di malattia mentale rispetto a quelli che non hanno avuto una perdita di reddito (il 53% contro il 32%).

Le ricerche svolte hanno evidenziato situazioni preoccupanti anche per la salute mentale e il benessere delle famiglie con figli. Il disagio ha riguardato in particolare le madri, soprattutto a causa della chiusura delle scuole e della mancanza di assistenza per l’infanzia. Le donne con bambini hanno mostrato maggiori probabilità di riportare sintomi di ansia e/o disturbo depressivo rispetto agli uomini con bambini (49% vs. 40%).

Sia coloro che hanno recentemente sperimentato disturbi di salute mentale o abuso di sostanze, sia chi aveva già ricevuto una diagnosi prima della pandemia, avrebbero avuto diritto a servizi psicologici, pischiatrici e di assistenza sociale, ma proprio a causa del Covid la possibilità di accesso è stata limitata e scoraggiata dalla paura del contagio.

L’IMPATTO ECONOMICO

L’importanza e la necessità di un miglioramento generale della salute mentale è stata confermata da recenti studi dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse): si stima che i costi totali correlati alle malattie mentali ammontino al 4% del Pil europeo (si tratta di più di 600 miliardi di euro). Gli effetti economici totali non sono composti solo dalle spese sanitarie dirette ma anche da altre voci indirette.

Nel dettaglio:

  • 190 miliardi di euro (1,3% del Pil) per le spese sanitarie dirette;
  • 170 miliardi di euro (1,2% del Pil) per i programmi di previdenza sociale;
  • 240 miliardi di euro (1,6% del Pil) sono relativi i ai costi indiretti nel mercato del lavoro, causati da minori tassi di occupazione e ridotta produttività dovuti alle malattie mentali.

Come sottolineato dall’Ocse, nonostante la loro importanza, i dati sono ancora
sottostimati in quanto non sono stati considerati diversi altri costi, come la spesa sociale relativa ai disturbi mentali e il fatto che curare una malattia fisica nei pazienti affetti da queste patologie comporti costi sanitari molto più elevati.

Secondo la direttrice del dipartimento di salute mentale e uso di sostanze dell’Organizzazione mondiale della sanità Devora Kestel, a livello mondiale la perdita economica legata ai disturbi mentali è attorno a mille miliardi di dollari. A questo bisogna anche aggiungere il sottofinanziamento del comparto medico: le risorse destinate alla salute mentale sono molto basse e costituiscono in media il 2% delle spese sanitarie nazionali e lo 0,4% dei fondi per l’assistenza allo sviluppo internazionale.

A questo proposito, in Italia un primo passo è stato fatto con l’approvazione della mozione a prima firma della deputata del Partito democratico ed ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin, concernente iniziative in materia di salute mentale. Nella mozione è anche riportato che, stando ai dati Eurostat, “i letti per le cure psichiatriche in Europa nel 2018 erano in media 73 ogni 100.000 abitanti (nel 2004 erano 79) con notevole differenza fra i Paesi al primo posto, Belgio (135 posti) e Germania (128) e il fanalino di coda, l’Italia, con solo 9 letti ogni 100.000 abitanti (dietro Cipro con 18, e l’Irlanda con 34). Questo genera un problema oggettivo nell’assistenza ai malati psichiatrici e nella tutela dei più giovani. L’Istat ha stimato 4.000 suicidi complessivi ogni anno nel nostro Paese, di questi, oltre il 5 per cento riguarda i giovani sotto i 24 anni“.

Secondo la Società Italiana di Psichiatria, appurato che l’1,5% degli italiani usufruisce dei servizi di salute mentale, pari a circa 900.000 persone, si stima che quasi 4,5 milioni di persone (5% della popolazione) ne avrebbero bisogno ma non riescono ad avere accesso ai servizi di cura. Si tratta di un dato altrettanto preoccupante.

Ricordiamoci che l’’Italia risulta uno degli ultimi Paesi europei, sopra solo a Estonia e Bulgaria, per percentuale di spesa sanitaria destinata alle malattie mentali: nel nostro Paese solo il 3,5% delle risorse viene destinato in modo specifico a questo tipo di malattie, un valore modesto rispetto alla Germania (11,3%), Svezia (10%) e Regno Unito (9,5%).

È arrivato il momento di intervenire per rispondere a questa nuova ondata di domanda di cure dei cittadini, che altrimenti rischierebbe di rimanere sepolta, con conseguenze estremamente negative per l’economia e la società nel suo insieme. Una vera e propria bomba a orologeria. È un dovere tenere in considerazione che la salute mentale costituisce un elemento fondamentale per uno sviluppo socioeconomico sostenibile. Gli appelli delle società e degli attori del settore arrivano e, al momento, il nostro Servizio sanitario non è pronto a rispondere.

Nata a Roma nel 1997, Maria Vittoria Di Sangro ha iniziato i propri studi mossa dalla curiosità per le lingue e le culture straniere. Una passione, questa, che l’ha portata a vivere numerose esperienze formative all’estero.

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