La pandemia da Covid-19 e le sue implicazioni più ampie hanno portato novità in quasi tutti i settori dell’economia nazionale ed europea nel corso dell’ultimo anno e mezzo. Tra queste, grande enfasi è stata data soprattutto alla sfida della transizione digitale, intesa come processo propedeutico a garantire non solo benessere sociale ed economico, ma anche maggiore tutela e migliori garanzie concorrenziali per l’Unione europea. In questo mutato scenario globale, le istituzioni europee hanno nuovamente posto l’attenzione sui temi della sovranità digitale, un fenomeno chiave non solo nel campo economico, ma anche in quello geopolitico e tecnologico. A ricordarlo è pure il recente paper dal titolo “The multisided path to European digital sovereignty and the future of EU-US relations” pubblicato da PromethEUs, il network di think tank specializzato sui temi del digitale e costituito da quattro centri di ricerca del Sud Europa: oltre all’Istituto per la Competitività (I-Com) – che lo coordina – ne fanno parte il Real Instituto Elcano (Spagna), lo IOBE – Foundation for Economic and Industrial Research (Grecia) e l’Institute of Public Policy (Portogallo).
Con l’ulteriore espansione dei mercati di Cina e l’India, unita alla ripresa degli investimenti in Europa e al rilancio delle economie occidentali dopo due anni di crisi, il 2022 sembra già prospettarsi come l’anno chiave per i temi relativi al controllo delle tecnologie digitali strategiche.
DEFINIRE LA SOVRANITÀ DIGITALE
Sebbene il concetto di sovranità digitale (o sovranità tecnologica) sia diventato centrale nel dibattito in materia di policy nel campo tecnologico, non c’è una definizione chiara di cosa significhi effettivamente in termini di normative e scelte strategiche. Se generalmente per si riferisce alla capacità degli Stati di agire autonomamente nel campo del digitale, è riconosciuto che questo sia in realtà un concetto molto ampio, che comprende la privacy, le politiche sulla concorrenza, lo sviluppo infrastrutturale ed economico, nonché le preoccupazioni geopolitiche.
Nel recente paper firmato da PromethEUs, la sovranità digitale viene articolata come la capacità degli Stati di avere il controllo o di agire autonomamente riguardo alle infrastrutture digitali di cruciale importanza e alle supply chain, al quadro concernente l’economica digitale, ai dati sensibili dei cittadini e del governo e, infine, alla sicurezza informatica e alla disinformazione. Nel contesto europeo, a questi temi si aggiungono anche riferimenti alla cornice etico-valoriale alla base dell’Unione stessa, per la quale la sovranità in questi campi si riferisce in particolare alla capacità di regolare i mercati e le piattaforme digitali secondo una serie di valori fondamentali e condivisi, uniti al potere di far rispettare questa regolamentazione agli attori non conformi.
Nei giorni scorsi anche il presidente del Consiglio dei ministri Mario Draghi, nel corso della conferenza stampa congiunta con il presidente francese Emmanuel Macron tenutasi a valle della firma del trattato del Quirinale, ha caratterizzato la sovranità europea in modo simile, definendola come la “capacità di indirizzare il futuro come vogliamo noi”. Secondo la posizione dell’ormai ex cancelleria federale tedesca Angela Merkel, tuttavia “essere digitalmente sovrani non significa ricorrere a misure protezionistiche o fare tutto da soli. Essere digitalmente sovrani significa, nel quadro del diritto applicabile, prendere decisioni sovrane sui settori in cui l’indipendenza è desiderata o necessaria“. Questa visione insiste dunque sull’idea, largamente diffusa, che il successo economico dell’Ue e dei suoi Stati membri non possa provenire da scelte che intendono rendere il Vecchio continente indipendente dagli sviluppi tecnologici all’estero, ma piuttosto da politiche mirate a renderlo competitivo e pronto al dialogo con le potenze economiche mondiali attraverso i propri strumenti, le proprie competenze, ma anche con collaborazioni internazionali – soprattutto con gli Stati Uniti.
L’EUROPA NELLE SFIDE DEL “DECENNIO DIGITALE”
In un contesto economico e sociale alle prese con sfide di scala globale, il concetto di sovranità digitale è tornato al centro delle discussioni non solo nell’Ue, ma anche nelle relazioni tra gli Stati membri e nelle relative strategie economiche e geopolitiche. Già con l’elezione di Ursula von der Leyen al vertice della Commissione europea, il tema dell’autonomia strategica aveva acquisito un’evidente centralità nel dibattito, in particolare rispetto alle superpotenze economiche, quali Stati Uniti e Cina, e ai loro colossi tecnologici. Su questo è intervenuto nelle scorse settimane anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, rimarcando il ruolo dello Stato e delle istituzioni sovrannazionali nel governare trasformazioni epocali come quella del digitale. Durante il suo intervento nel corso di un convegno Cotec alla presenza dei capi di Stato di Spagna e Portogallo, il presidente Mattarella ha ribadito che “la sovranità europea – una nostra sovranità – in campo tecnologico e digitale è un proposito determinante. Un’esigenza che diventa ogni giorno più pressante“.
Dal canto suo, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha ribadito più volte che stiamo vivendo il nostro “decennio digitale”, un lasso di tempo che porterà cambiamenti radicali nel modo in cui lavoriamo, impariamo e viviamo, e in cui l’Europa dovrà essere protagonista. In questa transizione dalla portata epocale data dalla crescita esponenziale del volume di dati creati e della loro distribuzione condivisa tra governi e colossi del settore privato, è pressante per la Commissione il bisogno migliorare la sicurezza dei dati e la privacy dei propri cittadini, senza tuttavia danneggiare le opportunità di innovazione e crescita per l’intera economia continentale. La data economy è in continua espansione, con previsioni che indicano un inarrestabile incremento del suo valore complessivo fino a superare i 550 miliardi di dollari nel 2025 (Fig. 1).
La ricerca dell’autonomia strategica in questi campi implica per l’Unione lo sviluppo di nuovi equilibri economici, normativi e culturali, mirati a migliorare la sovranità tecnologica e, al contempo, a promuovere la crescita economica, l’apertura nei campi dell’innovazione nell’ottica del mercato unico e di un nuovo framework legislativo che garantisca un mercato equo, sicuro e normato. Il rafforzamento della competitività della Ue nei confronti degli attori dominanti nel mercato digitale, in particolare Stati Uniti e Cina, punta inoltre a consolidare la posizione dell’Unione sullo scenario internazionale, favorendo una maggiore integrazione dei mercati e degli strumenti legislativi quantomeno con i partner dell’area Ocse e dell’alleanza transatlantica.
LE CARENZE STRUTTURALI DELL’UE
Più volte l’Unione ha riconosciuto i propri divari sia in termini di investimenti economici che di capacità e conoscenze, evidenziando un ritardo nella corsa globale per le nuove tecnologie, le infrastrutture legate ai servizi digitali e l’intelligenza artificiale. Da più parti si sono levati allarmi, aggravati ulteriormente a seguito degli effetti della pandemia, riguardo l’ampio affidamento che le pubbliche amministrazioni e le aziende continentali fanno su servizi e infrastrutture digitali extra-europei, impattando sulla possibilità dell’Unione di sviluppare tecnologie autonome ed esponendo i cittadini al trattamento e all’utilizzo dei propri dati da parte di Paesi stranieri in cui non vi sono garanzie di controllo e sicurezza.
Vi sono, in ogni caso, esigenze di investimenti aggiuntivi nella trasformazione digitale che, secondo le stime della Commissione, ammontano addirittura a un totale di 125 miliardi di euro all’anno (Fig. 2). Questo dato è calcolato prendendo la differenza tra l’ammontare degli investimenti dei competitor (USA e Cina) e quanto speso dall’Ue nell’insieme dei settori privati e pubblici. Particolari lacune si rilevano nei settori dei communication networks, dell’intelligenza artificiale, nel settore della fotonica e dei semiconduttori e nel cloud computing.
IL DOMINIO DI USA E CINA
Gli Stati Uniti, che con l’Ue formano il partenariato economico più forte del mondo, rimangono il primo partner commerciale dell’Europa anche per quel che concerne le tecnologie abilitati e servizi digitali. Tuttavia, come evidenziato dal paper PromethEUs, la Cina sta accrescendo la propria presenza digitale nell’Unione ritagliandosi il ruolo di leader mondiale del settore in coppia con gli USA. Secondi i dati riportati nell’analisi, in termini di produzione di apparecchiature elettroniche (come computer, smartphone e dispositivi di telecomunicazione) l’Ue è dietro agli Stati Uniti e alla Cina, attestandosi su una quota di mercato globale pari a solo il 6%. Uno scenario simile si ritrova anche nella produzione di semiconduttori, componente chiave di quasi tutti i dispositivi elettronici, in cui l’Ue rappresenta solo il 9% della produzione mondiale, che è ora concentrata in Asia orientale.
In cifre, gli Stati Uniti nel 2018 hanno esportato in Europa servizi nei settori della tecnologia, dell’informazione e della comunicazione per un valore complessivo ben 213 miliardi di dollari. Di questi, la maggior parte (vale a dire 175 miliardi di dollari) riguardavano nello specifico i servizi Ict, settore in cui il paper PromethEUs rivela una forte dipendenza europea anche dalla Cina. Nel 2020, l’Ue ha registrato un deficit commerciale totale di alta tecnologia con la Cina di circa 84 miliardi di euro, un dato dovuto principalmente alle importazioni di computer e altre apparecchiature elettroniche e di telecomunicazione a cui è riconducibile un disavanzo commerciale di 50 miliardi di euro.
LA SFIDA DEL CLOUD: INFRASTRUTTURE NAZIONALI E GAIA-X
Insieme alle lacune in termini di quantità di investimenti infrastrutturali, è opinione diffusa non solo tra i policy-maker dell’Ue ma anche tra numerosi studiosi, che gran parte dello svantaggio europeo sia dovuto a una loro eccessiva frammentazione. Si tratta ad ogni modo di una situazione che causa un’adozione insufficiente delle nuove tecnologie sia nel settore privato che in quello pubblico.
Esempi di ciò sono dati dal tentativo, non sempre caratterizzato da esiti di successo, da parte di diversi Stati membri di adottare strategie indipendenti di autonomia digitale. Casi di questo tipo sono stati introdotti in Francia, nel Regno Unito, ma anche in Italia, dove la sottosegretaria alla Transizione digitale Assuntela Messina ha annunciato l’impegno del governo nella definizione delle tappe per la realizzazione del cloud nazionale. “Procediamo nel solco di un cronoprogramma dettagliato di interventi individuati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Entro i primi giorni del 2022 prevediamo di poter pubblicare il bando di gara per l’assegnazione del Polo strategico nazionale. Entro la fine del 2022 il collaudo dell’infrastruttura. Tra la fine del 2022 e il 2025 stimiamo di completare la migrazione dei dati”.
Un approccio diverso, e più in linea con gli attuali obiettivi europei, riguarda il progetto cloud Gaia-X, un’infrastruttura di dati federata e trasversale nell’Ue che consentirebbe all’Unione di garantire determinati standard di privacy e sicurezza e, al contempo, di sfruttare al meglio le opportunità economiche derivanti dal mercato dei dati. A un anno dal lancio ufficiale dell’iniziativa, nata da 22 aziende tra Francia e Germania e che oggi riunisce oltre le 310 realtà, l’auspicio dell’amministratore delegato Francesco Bonfiglio è quello di fare del 2022 l’anno in cui realizzare e lanciare progetti concreti.
L’idea di Gaia-X è quella di contrastare l’attuale tendenza per la quale imprese e amministrazioni pubbliche del Vecchio continente utilizzano servizi cloud forniti da operatori extra-europei, in particolare statunitensi o cinesi, costituendo un’alleanza tra governi, rappresentanti del mondo delle imprese e studiosi nel campo delle scienze e delle tecnologie. Secondo Bonfiglio, si tratta di “riprendere il controllo delle tecnologie digitali, di disporre di un sistema che permetta la governance delle tecnologie esistenti, in particolare gli stack cloud, che oggi non hanno la trasparenza o l’interoperabilità necessaria, che è completamente inclusivo, che permette a chiunque di essere conforme a Gaia-X, purché apra i propri servizi e tecnologie per essere verificato e reso trasparente“.
LA SOLUZIONE NEL DIALOGO
Come sostiene il paper curato da PromethEUs, affinché l’Europa sfrutti al meglio le opportunità di crescita e per evitare che la sovranità digitale europea conduca a non auspicabili posizioni protezionistiche, insieme a un cambio di passo sul piano degli investimenti, un ruolo fondamentale potrà essere esercitato anche da nuovi forum di dialogo a livello internazionale. Tra questi sembra poter apportare un contributo significativo il Trade and Technology Council, iniziativa Ue-USA fortemente voluta dal presidente americano Joe Biden e dalla presidente Von der Leyen che è stata inaugurata alla fine di settembre a Pittsburgh. L’ambizione dell’Europa deve essere quella di acquisire un maggior peso sulla scena globale anche grazie a una proficua collaborazione con altre aree e Paesi del mondo, a partire dagli Stati Uniti, indiscutibilmente tornati a essere il principale alleato dell’Ue.