La pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e prodotto conseguenze rilevanti non solo sulla gestione dei pazienti affetti dal virus ma anche sull’accesso alle visite e ai trattamenti delle persone non contagiate. Tanti i controlli rimandati, tante le attività di screening sospese, tanti gli accessi alle strutture sanitarie limitati, anche per le urgenze.
Secondo l’ultima indagine di Cittadinanzattiva pubblicata a ottobre 2021, sono numerose le prestazioni sanitarie rinviate e ancora da recuperare, nonostante i fondi destinati a tale scopo dal decreto legge del 14 agosto 2020, numero 104.
Ad esempio, in Friuli Venezia Giulia solamente lo 0,7% delle prestazioni specialistiche ambulatoriali è stato recuperato, insieme all’1% dei ricoveri. In Sicilia, invece, sono oltre 3 milioni le prestazioni ambulatoriali e 63.000 i ricoveri non erogati, ma non si sa quanti di questi ad oggi siano stati recuperati. Stessa situazione in Molise, dove su circa 10.000 prestazioni mancate, fra specialistica e diagnostica, e circa 1.100 ricoveri sospesi, non si conosce bene il dato di quelli che effettivamente sono stati riprogrammati. Va meglio sicuramente in Valle d’Aosta, dove è stato possibile recuperare il 32% dei ricoveri, il 49% degli screening oncologici e il 39% delle prestazioni specialistiche ambulatoriali. Nella provincia di Trento, invece, la quota di visite riprogrammate ha raggiunto il 73% delle prestazioni ambulatoriali ma solo il 39 degli screening oncologici e appena l’1% dei ricoveri. In Abruzzo il 64% degli screening oncologici sospesi è stato poi erogato, assieme al 43% delle prestazioni ambulatoriali e a circa il 25% dei ricoveri.
Dunque, il blocco dell’assistenza sanitaria ha arrecato un danno (attualmente non ancora quantificabile) che ha colpito pesantemente molte delle patologie non Covid, tra cui anche le malattie rare, la cui prevalenza in Italia, non è affatto trascurabile. Secondo la rete Orphanet Italia, nel nostro Paese i malati rari sono circa 2 milioni e nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica.
L’IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLE MALATTIE RARE
L’ambito delle malattie rare sembra essere tra quelli più danneggiati dalla crisi sanitaria ancora in atto. Da un lato, sconta di per sé importanti problemi di (ritardo di) diagnosi, dall’altro, invece, ha pagato il prezzo delle carenze dell’assistenza domiciliare, vitale per questo tipo di pazienti. Da questo punto di vista, sono stati molti i malati rari che hanno dovuto attendere mesi e mesi per una visita di controllo o per rimodulare la propria terapia.
Uno studio di IQVIA, realizzato con il contributo non condizionante di Farmindustria, ha messo in luce i ritardi diagnostici per alcune patologie rare rappresentative delle principali aree (oncologica, metabolica, neurologica, oftalmica ed ematologica): leucemia mieloide acuta, atrofia muscolare spinale, malattia di Fabry, neuropatia ottica di Leber, morbo di Gaucher, glicogenosi, mucopolisaccaridosi e, infine, emofilia A e B.
Per quanto riguarda la leucemia mieloide acuta, nel 2020 si è osservato un calo significativo rispetto all’anno precedente delle nuove diagnosi (-9%), dei nuovi trattamenti (-6%) e dei trapianti (-16%): la forte contrazione di diagnosi e cure osservata durante i primi mesi dell’anno non è stata recuperata alla fine del 2020.
Inoltre, nei soli primi tre mesi della pandemia, tra marzo e maggio 2020, si è rilevato un calo significativo dei trattamenti, pari al 12%, per le malattie rare afferenti alle aree metaboliche, neurologiche e oftalmiche (Fabry, Gaucher, Leber, Glicogenosi, Mucopolisaccaridosi, SMA), parzialmente recuperato nel secondo semestre dell’anno.
Infine, nell’area emofilia si è registrata una contrazione dei trattamenti ancora più significativa del 14% rispetto all’anno precedente.
Dunque, i malati rari sono stati molto penalizzati dalla pandemia e molti di loro hanno denunciato problemi relativi alla continuità assistenziale o terapeutica, difficoltà a usufruire della consegna a domicilio di farmaci ospedalieri e difficoltà nell’assistenza domiciliare.
Pertanto, alla luce di queste difficoltà, sarebbe opportuno sperimentare nuovi modelli di presa in carico e gestione del paziente che vadano nella direzione di garantire migliore assistenza sanitaria e qualità di vita per le persone affette da malattie rare.
LE MALATTIE RARE NEL PNRR E LE PROPOSTE DI OSSFOR
Tuttavia, le malattie rare nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono citate soltanto nell’intervento C2.2, investimento 2.1 “Valorizzazione e potenziamento della ricerca biomedica del Ssn” e, sebbene la somma a esse destinata sia significativa (200 milioni di euro), non sembra tale da poter essere risolutiva nel rilancio della ricerca biomedica nel settore.
Inoltre, ci sarebbero altri ambiti del Pnrr in cui le malattie rare potrebbero rientrare e usufruire dunque dei relativi fondi. Secondo il 5° Rapporto Annuale di Osservatorio Farmaci Orfani-Ossfor, gli ambiti in qualche modo “promettenti” potrebbero essere i finanziamenti di investimento per la transizione digitale in sanità, il potenziamento dell’assistenza domiciliare, il mantenimento dell’autosufficienza, l’housing sociale, il ripensamento delle RSA (questi peraltro nella missione 5, Inclusione, e non in quella Sanità) e la creazione di ospedali di comunità e case di comunità.
Nello specifico, l’Osservatorio Farmaci Orfani (Ossfor), nato da una iniziativa congiunta del Centro per la ricerca economica applicata in sanità (C.R.E.A. Sanità) e della testata Osservatorio malattie rare (OMAR), individua alcune priorità per poter soddisfare al meglio i bisogni dei malati rari e di cui si dovrebbe tener ben conto nell’applicazione del piano di ripresa. Tra questi, l’individualizzazione del Fascicolo sanitario elettronico, l’integrazione e il coordinamento dei Registri delle malattie rare, il potenziamento del teleconsulto in funzione della continuità assistenziale, con l’integrazione dei servizi di prossimità con il monitoraggio dei Centri di riferimento. E ancora, il potenziamento dell’assistenza domiciliare, l’ammodernamento delle attrezzature di altissima specialità, lo sviluppo delle tecnologie che possono essere portate al domicilio del paziente e, infine, gli interventi sulle residenze, ivi compreso l’adeguamento dei domicili dei “malati rari”, come anche le forme di housing sociale, finalizzate al mantenimento di margini di autosufficienza dei pazienti afetti da queste patologie.