La ripresa dell’Italia tra crescita economica e rilancio delle imprese


Approfondimento
Thomas Osborn
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Credit: Pixabay

“Il 2021 è stato un anno di forte ripresa. Anche i dati del 4° trimestre sono positivi e nel complesso la crescita annua dovrebbe avvicinarsi al 6,5%”. Con queste parole il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco ha confermato i risultati positivi per l’economia italiana che erano già stati registrati nei primi tre trimestri dell’anno appena concluso. Come rilevato in autunno dall’Istat, già allora il prodotto interno lordo italiano aveva messo a segno una ragguardevole crescita del +6,2% rispetto al 2020, un dato addirittura aumentato con le rilevazioni di fine anno.

I buoni risultati dell’economia del nostro Paese vengono confermati anche in termini relativi: in un confronto tra i dati Pil dei primi tre trimestri del 2021, gli indici Ocse posizionano l’Italia al terzo posto tra i Paesi del G20 per crescita, con un aumento in termini reali del +5,7% rispetto all’ultima rilevazione del 2020, dietro solo a Turchia (+6,8%) e Arabia Saudita (+5,9%). Un dato estremamente positivo, soprattutto se consideriamo che nello stesso periodo gli Stati Uniti sono cresciuti “solo” del 3,8%, la Cina dell’1,6, mentre in Europa la Francia del 4,4, la Spagna del 2,5 e la Germania dell’1,8%.

È interessante notare che, sebbene l’Italia avesse visto il proprio Pil diminuire più di quello tedesco e francese nel 2020 a causa del Covid-19 e dei lockdown, oggi sembra recuperare il divario rispetto al quarto trimestre 2019 più o meno con ritmi simili a quelli degli altri Paesi europei. Nel dettaglio, rispetto ai livelli pre-pandemia, all’Italia manca solamente un 1,2% per recuperare il terreno perso: si tratta di una situazione molto simile a quella tedesca (1,1%) e molto più rassicurante di quella di numerose grandi potenze internazionali (al Canada manca ancora un 1,4%, al Giappone e al Regno Unito il 2%) ed europee (la Spagna deve ancora recuperare il 6,6%).

CRESCE IL NUMERO DI IMPRESE

Nel miglioramento delle prospettive economiche dell’Italia sembra senza dubbio aver giocato un ruolo di traino la ripresa del tessuto produttivo. Gli ingenti finanziamenti provenienti dall’Europa, accompagnati da una considerevole dose di fiducia internazionale nei confronti del nostro Paese, sembrano aver avuto gli effetti desiderati, come confermato dai dati rilasciati nel nuovo report di Movimprese per Unioncamere e Infocamere. Nonostante non si sia ancora tornati ai valori pre-pandemici, il Registro delle imprese delle Camere di commercio ha rilevato una forte crescita delle nuove attività: il 2021 si è chiuso con un ritrovato slancio imprenditoriale che, tra gennaio e dicembre, ha fatto registrare 332.596 nuove iscrizioni, ovvero il 14% in più rispetto all’anno precedente. L’aumento, oltretutto, non è stato accompagnato da un incremento nel numero di cancellazioni dai registri camerali. Le 246.009 cessazioni di attività rilevate nel corso dello scorso anno costituiscono in realtà il valore più basso degli ultimi quindici anni, determinando dunque un saldo annuale positivo.

SALDO POSITIVO IN TUTTE LE REGIONI, CON SORPRESE AL SUD

Il saldo annuale è pari a 86.587 nuove imprese per l’anno da poco concluso, con un tasso di crescita medio italiano di poco meno di +1,5% contro lo 0,32% che si era registrano nel 2020. Tutte le regioni hanno registrato performance positive da questo punto di vista, con valori particolarmente alti per quelle del centro e del Mezzogiorno. Come sottolineato dal presidente di Unioncamere Andrea Prete, “i risultati dell’analisi mostrano che l’andamento delle iscrizioni è certamente correlato alle prospettive dell’economia ma anche determinato da andamenti settoriali diversificati e dalle politiche di aiuti pubblici. Appare poi incoraggiante il significativo contributo dato dalle regioni del Mezzogiorno alla crescita del tessuto produttivo”. Sotto quest’ultimo profilo, il Mezzogiorno è l’area del Paese che ha registrato nel 2021 il maggior numero di iscrizioni (109.000 le nuove imprese nate lo scorso anno, a fronte di circa 72.000 cessazioni), mentre invece la macroarea che ha segnato una ripresa più contenuta è il Nord Est con 60.000 iscrizioni e 51.000 cessazioni.

In termini di crescita, la prestazione migliore è stata registrata nel Lazio dove, con quasi 14.201 nuove imprese, l’incremento è stato del 2,16%. Seguono la Campania con il +2,11% e la Puglia con il +2,06% mentre il valore più basso è stato rilevato nelle Marche (+0,50%) e in Molise (+0,42%). A livello provinciale, invece, il podio è occupato da Lecce (2,89%), Sassari (2,70%) e Napoli (2,57%), seguite subito dopo da Roma (2,38%), Brindisi (2,28%) e Milano (2,28%).

IL CALO DECENNALE

Come emerge pure dalla cautela usata nel comunicato Unioncamere-Infocamere, è probabilmente troppo presto per stabilire se questi dati siano effettivamente sufficienti per considerare definitivamente superata la crisi. Dopo la frenata del 2020, il rimbalzo della natalità imprenditoriale non ha coinciso con un pieno recupero del dato pre-pandemico, mantenendo un divario di circa 20.000 aperture in meno rispetto al 2019 e di circa 50.000 in meno rispetto alla media del decennio pre-Covid.

I dati sono ancora più preoccupanti se si tiene conto degli anni precedenti, che evidenziano come di fatto il settore sia in forte difficoltà sin dagli anni della crisi finanziaria del 2008, dalla quale le imprese italiane non sembrano essersi ancora riprese del tutto.

LE RETI D’IMPRESA: UNA RISPOSTA ALLA CRISI?

Un altro dato interessante collegato alla ripresa del mondo imprenditoriale riguarda l’andamento delle reti di impresa nel 2021. Nel terzo rapporto dell’Osservatorio nazionale sulle reti d’impresa realizzato da InfoCamere, Retlmpresa e il dipartimento di Management dell’Università Cà Foscari di Venezia, emerge come questi contratti di rete siano sempre più diffusi. Nella realtà sono percepiti dalle aziende come uno strumento di politica industriale strategico per la crescita e per l’intercettazione delle opportunità legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza. In totale, nel 2021 sono state più di 42.000 le imprese in rete, in crescita di circa il 10%. Come pure aumenta il numero di accordi stipulati che, con una crescita annua del +13,5%, hanno raggiunto un totale di 7.541.

Lo studio sottolinea come la messa in rete di più imprese, che comunque continuano a mantenere una propria indipendenza e individualità, sembri rafforzarle in termini di relazioni, di acquisizioni di nuove competenze digitali e tecnologiche, ma anche di transizione verso sistemi produttivi più sostenibili. Come ribadito anche dal presidente di RetImpresa Fabrizio Landi nel corso del convegno di presentazione del rapporto, “le reti non sono un aggregato causale, ci si unisce per cogliere le nuove opportunità, una complementarità che coinvolge grandi, medie e piccole imprese. La rete favorisce anche la crescita delle start-up”. Non a caso, i comparti più coinvolti sono proprio quelli maggiormente interessati dai cambiamenti radicali di questi anni: il maggior numero di realtà coinvolte opera nel settore agroalimentare (con oltre 8.816 unità, corrispondenti al 22% del totale), seguito a distanza dal commercio (14%), dalle costruzioni (12,1%) e dai servizi turistici (10,1%).

IL PRIMATO DEL LAZIO

Sebbene il 2021 segni la presenza di almeno un’azienda retista in tutte le province italiane, a livello di distribuzione geografica emerge un forte squilibrio: l’insieme delle prime cinque regioni per numero di imprese in rete supera abbondantemente la metà di tutte le realtà di questo tipo in Italia. Anche in questo caso, il primato in valori assoluti è registrato dal Lazio che, con 9.681 imprese aderenti a contratti di rete, concentra il 24,3% del totale nazionale, seguito a netta distanza dalla Lombardia con 4.173 (10,5%), il Veneto con 3.119 (7,8%) e la Campania che ne ospita 2.986 (7,5%).

Il dato laziale è spiegato dalla presenza di quattro province nella top-ten stilata nel rapporto: alle spalle di Roma, che con 6.184 imprese in rete occupa la prima posizione, e Milano (1.577), si trovano Viterbo (1.209), Salerno (1.148 imprese), Bari (1.100), Udine (1.074), Latina (1.067) e Frosinone (962). Seguono distaccate Napoli (936) e Torino (833). In termini relativi, invece, è il Friuli-Venezia Giulia a registrare la maggiore “vocazione retista” con un rapporto tra imprese e sistema imprenditoriale locale che sfiora le 200 aziende ogni 10.000 registrate, superando non di poco il Lazio (148), la Valle d’Aosta (113) e l’Umbria (95).

Dopo la laurea triennale in Economics and Business all’Università LUISS, ha conseguito la laurea magistrale in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi sperimentale in Economia del Lavoro su come l’introduzione di congedi di paternità influenzi gli esiti occupazionali ed economici delle madri.

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