L’Ue alla prova dei chip. La proposta della Commissione e le ambizioni europee


Approfondimento
Silvia Compagnucci
chip

L’ultimo decennio è stato caratterizzato dalla proliferazione di servizi e opportunità che trovano nel digitale la loro origine e il loro sviluppo. Stiamo assistendo ormai da diversi anni al trasferimento in rete di molte attività socio-economiche secondo una tendenza che ha ricevuto dalla pandemia ulteriore slancio e vitalità in conseguenza della necessità di mettere in campo smart working, didattica e servizi sanitari a distanza e assicurare così l’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali che grazie al digitale sono riusciti a trovare comunque espressione. Il ripensamento dei modelli di business e dell’organizzazione del lavoro resi necessari soprattutto nelle fasi più difficili della pandemia (ma successivamente consolidati), seppur in misura diversa a seconda dei Paesi e dei settori, dimostra quanto la transizione digitale sia ormai indispensabile per imprese, cittadini e pubbliche amministrazioni.

Per il funzionamento dei prodotti e delle tecnologie digitali, finanche per l’operatività delle infrastrutture critiche nei settori della sanità, dell’energia, delle comunicazioni e dell’automazione e il funzionamento degli altri comparti industriali, è cruciale il ruolo dei chip. Sebbene l’Unione europea disponga di solide capacità nella progettazione e di numerose imprese che svolgono un ruolo essenziale lungo la catena di approvvigionamento, in termini di valore, la quota di produzione mondiale dei semiconduttori dell’Ue, secondo i dati forniti da Boston Consulting Group, è pari al 9%. Gli USA primeggiano nelle attività a più alta intensità di ricerca e sviluppo mentre l’Est asiatico fa il capofila nelle attività di fabbricazione. La Cina, in particolare, è leader nell’assemblaggio, nell’imballaggio e nei test, che sono relativamente meno impegnativi in termini di abilità e capitale. Allo stato attuale l’Ue risulta in una posizione di forte dipendenza dai fornitori di Paesi terzi quanto a progettazione, fabbricazione, imballaggio, prova e assemblaggio di chip in una fase storica in cui dalla capacità di approvvigionamento dei semiconduttori più avanzati dipenderà, in buona misura, la possibilità di guidare la trasformazione digitale.

LO EUROPEAN CHIPS ACT

In questo contesto generale, dando seguito alla comunicazione della Commissione “Aggiornamento della nuova strategia industriale 2020” del maggio 2021 che ha individuato aree di dipendenze strategiche che potrebbero comportare vulnerabilità come la carenza di approvvigionamento, l’8 febbraio scorso è stata presentata dall’esecutivo Ue una proposta di regolamento che istituisce un quadro di misure per rafforzare l’ecosistema europeo dei semiconduttori (European Chips Act) attualmente oggetto di consultazione pubblica (con termine finale fissato al 20 marzo 2022).

Si tratta di un’iniziativa straordinariamente rilevante che, partendo dalla constatazione dell’esistenza di un ritardo da colmare, focalizza in maniera chiara l’ambizione europea: raddoppiare il volume della propria quota di mercato raggiungendo il 20% nel 2030. Lo scopo è non solo di ridimensionare la dipendenza dai fornitori di Paesi terzi, ma anche di riuscire a beneficiare delle opportunità economiche connesse allo sviluppo del mercato globale dei semiconduttori, accrescendo la competitività dell’intero ecosistema e dell’industria in generale attraverso prodotti innovativi per i cittadini europei.

Tale proposta, in particolare, mira a rafforzare la leadership europea nella ricerca e nello sviluppo tecnologico verso chip più piccoli e più veloci, a rinforzare la capacità di innovazione nel design, manifattura e packaging di chips avanzati, a gestire lo skill gap esistente attraendo nuovi talenti e supportando l’emersione di forza lavoro qualificata e, infine, ad accrescere la comprensione della catena di fornitura globale dei semiconduttori.

Rispetto agli strumenti da utilizzare e le risorse da impiegare la proposta individua una serie di misure. Nello specifico, si tratta dell’iniziativa “Chip per l’Europa” che, istituita per la durata del quadro finanziario pluriennale 2021-2027, persegue cinque obiettivi operativi: lo sviluppo di capacità avanzate di progettazione su larga scala per le tecnologie integrate dei semiconduttori, il potenziamento delle linee pilota avanzate esistenti e la realizzazione di nuove linee, l’ampliamento di capacità tecnologiche e ingegneristiche avanzate per accelerare lo sviluppo innovativo di chip quantistici e la creazione di una rete di centri di competenza in tutta l’Unione. E ancora, la realizzazione di attività, da descrivere collettivamente come attività del “fondo per i chip”, per facilitare l’accesso al finanziamento del debito e tramite capitale proprio da parte di start-up, scale-up e piccole e medie imprese e altre società nella catena del valore dei semiconduttori, attraverso un meccanismo di finanziamento misto nell’ambito del fondo InvestEU e tramite il Consiglio europeo dell’innovazione. Per raggiungere tali finalità la proposta prevede la possibilità di istituire un consorzio europeo per l’infrastruttura dei chip (European Chips Infrastructure Consortium, “ECIC”) e di una rete europea di centri di competenza in materia di semiconduttori.

Un’altra misura individuata dalla proposta ha a che fare con la definizione dei criteri per riconoscere e sostenere gli impianti di produzione integrata e le fonderie aperte dell’Ue che promuovono la sicurezza dell’approvvigionamento di semiconduttori nel Vecchio continente e la previsione di procedure nazionali accelerate di rilascio delle autorizzazioni per la progettazione, la costruzione e il funzionamento di impianti di produzione integrata e di fonderie. Infine, il testo prevede l’istituzione di un meccanismo di coordinamento tra gli Stati membri e la Commissione per monitorare l’approvvigionamento di semiconduttori e la risposta alle crisi in caso di loro eventuali carenze.

Per quanto concerne il modello di governance proposto, si prevede la creazione del Consiglio europeo dei semiconduttori, un organo composto da rappresentanti degli Stati membri e presieduto, invece, da uno della Commissione con funzioni di assistenza e consulenza in favore dell’esecutivo europeo. Sotto questo profilo, inoltre, gli Stati Membri dovranno designare un punto di contatto unico nazionale incaricato di esercitare un ruolo di collegamento al fine di garantire la cooperazione transfrontaliera con le autorità nazionali competenti degli altri Stati membri, con la Commissione e con il Consiglio europeo dei semiconduttori. A presidio dell’osservanza degli obblighi definiti nel regolamento, la proposta prevede un sistema di sanzioni e ammende (con limite fissato a trecentomila euro), la cui applicazione è affidata alla Commissione e definisce la procedura attraverso la quale esercitare il diritto a essere auditi prima dell’adozione della decisione relativa alla specifica sanzione.

Ci troviamo dunque di fronte al lancio di una strategia chiara con obiettivi ambiziosi che, insieme all’Alleanza industriale per i semiconduttori varata dalla Commissione nel luglio 2021, persegue il fine di accrescere la competitività dell’Ue e di ridurre quella dipendenza che attualmente si registra rispetto ai fornitori di Paesi terzi e che rischia di impattare negativamente sulla transizione digitale in atto.

Le numerose misure proposte mirano a sviluppare un fiorente ecosistema di semiconduttori e una catena di approvvigionamento resiliente, definendo procedure tese a preparare, anticipare e rispondere alle possibili interruzioni delle forniture. Si tratta di iniziative che produrranno effetti nel breve, medio e lungo periodo, a partire dal rafforzamento della capacità dell’Ue di anticipare e fronteggiare le crisi dei chip fino ad arrivare a un incremento importante della produzione e a rafforzare la leadership tecnologica dell’Europa. Una posizione, quest’ultima, che le consentirà di imporsi, negli auspici, anche nei mercati a valle.

Vicepresidente dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Giurisprudenza presso l’Università di Tor Vergata nel 2006 ha partecipato, nel 2009, al master di II Livello in “Antitrust e Regolazione dei Mercati” presso la facoltà di Economia della medesima università conseguendo il relativo titolo nel 2010, anno in cui ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

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