I chip costituiscono il cuore pulsante di ogni apparato elettronico e non c’è oggetto connesso che non ne contenga uno: dai pc ai cellulari, dalle tv ai tablet, passando per le carte di credito, le tessere sanitarie, fino alle stesse auto (e persino le chiavi), senza contare la progressiva estensione verso l’industria dei dispositivi medici, l’aerospazio e la difesa.
Per tali ragioni, questi minuscoli apparati, e i materiali di cui sono composti, sono al centro di un’accesa competizione geopolitica, tra diversi Paesi e aree del mondo, che abbraccia in modo crescente l’intero comparto tecnologico e si allarga a tutti gli ambiti più strategici, dal 5G all’IoT, dalla mobilità all’intelligenza artificiale.
IL MERCATO MONDIALE DEI CHIP
Poiché i chip costituiscono la base per tutte le nuove tecnologie di connettività, non è sorprendente notare come le esportazioni di circuiti elettronici integrati generino un fatturato a livello mondiale di 993,5 miliardi di dollari. Il principale esportatore di chip a livello globale è Hong Kong, con oltre $211 miliardi, seguito da Taiwan ($155,9 miliardi) e dalla Cina ($155,3 miliardi). Questi tre paesi insieme realizzano un volume d’affari che supera la soglia di $500 miliardi. L’UE, che pure è rappresentata da ben 8 paesi nella Top 20, cuba complessivamente appena $41 miliardi di esportazioni, ovvero l’80% degli USA ($52,2 mld) e meno del 10% del totale delle zone di influenza cinese.
IL MERCATO DEI SEMICONDUTTORI E LA SUA STRATEGICITA’ A LIVELLO GLOBALE
La produzione di chip non può prescindere dai semiconduttori, materiali con caratteristiche particolarmente apprezzate nel campo dell’elettronica perché capaci di comportarsi come conduttori all’aumentare della temperatura e come isolanti a temperatura ordinaria.
La catena di produzione dei semiconduttori è estremamente complicata e segmentata fra diversi paesi, per cui nessuno può considerarsi completamente autonomo e indipendente. Tuttavia, alcuni giocano un ruolo particolarmente cruciale in determinati segmenti, rendendo più evidente l’estrema dipendenza globale della catena del valore dei semiconduttori nell’attuale (e futuro?) scenario geopolitico.
Per comprendere la portata mondiale dell’industria dei semiconduttori è utile analizzare gli ultimi dati diffusi dal World Semiconductor Trade Statistics (marzo 2022), che mostrano un giro d’affari globale attestato nel 2021 a quota $555,9 miliardi, e stimato in crescita del +10,4% nell’anno in corso (oltre quota $600 miliardi).
Il mercato principale è quello asiatico, che nel 2021 è giunto alla soglia di $343 miliardi. Se nelle Americhe i ricavi si sono collocati a $121,5 miliardi, in Europa hanno fatto registrare un totale di $47,8 miliardi nel 2021 e dovrebbero arrivare a $52,9 miliardi entro la fine dell’anno (+10,8%).
La strategicità dei semiconduttori si è rivelata in tutta la sua importanza durante la recente crisi che ha determinato la scarsità di chip a livello mondiale e la conseguente chiusura di stabilimenti in una serie di settori, dalle automobili ai dispositivi sanitari, insieme ad un cortocircuito nella catena di valore. Infatti, se da un lato la pandemia e il conseguente aumento di soluzioni come lo smartworking e la didattica a distanza hanno incrementato la domanda di dispositivi elettronici, i contemporanei rallentamenti – e a tratti interruzioni – nella produzione di chip hanno portato ad una generalizzata carenza di questi dispositivi a livello mondiale, che a sua volta ha danneggiato diversi settori.
LA PRODUZIONE DI SILICIO
In questo contesto, uno dei principali materiali semiconduttori utilizzati nei componenti elettronici è il silicio. Questo elemento, non difficile da reperire in natura, necessita di un lungo e complesso processo per essere trasformato in wafer, ovvero in fette sottilissime sulle quali vengono realizzati i chip elettronici. Il principale produttore di semilavorati in silicio è la Cina, con circa 6 milioni tonnellate annuali (fonte: rapporto Mineral Commodity Summaries del 2022 dello U.S. Department of the Interior). Il secondo produttore globale è la Russia, i cui rapporti commerciali con l’Europa si sono interrotti bruscamente a seguito dello scoppio della guerra con l’Ucraina (anche quest’ultima figurava tra i principali produttori con 49 mila tonnellate annuali). Tra i produttori UE, una modesta quantità di silicio è trattata in Francia (120 mila tonnellate), Spagna (58 mila tonnellate) e Polonia (42 mila tonnellate), volumi che non sembrano sufficienti a soddisfare le necessità sempre crescenti delle industrie del vecchio continente, in particolare quelle del comparto automotive.
L’UNIONE EUROPEA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE
La posizione dell’Unione Europea è fortemente dipendente da fornitori esteri per l’approvvigionamento di semiconduttori. Non a caso, in Europa si producono appena il 10% dei chip realizzati a livello mondiale, principalmente per applicazioni industriali e automotive. Il vecchio continente esporta macchine per la produzione di semiconduttori verso Paesi leader nella produzione di chip (Cina, Taiwan e Corea del Sud), mentre importa le materie per la produzione di semiconduttori, soprattutto da Stati Uniti, Russia e Cina. La catena di approvvigionamento dipende quindi da attori dislocati al di fuori dall’Unione Europea, per un totale di circa l’80% di fornitori “extracomunitari”.
Per tali ragioni, le istituzioni UE hanno deciso di correre ai ripari, fissando l’obiettivo di raddoppiare la produzione di semiconduttori all’avanguardia e sostenibili, raggiungendo entro il 2030 almeno il 20% del valore della produzione globale.
In linea con tale obiettivo, la Commissione ha lanciato il “Chips Package”, che comprende diversi strumenti tra cui una Raccomandazione (per definire gli strumenti di monitoraggio dell’ecosistema dei chip), una Comunicazione (che illustra la strategia europea), una proposta di regolamento (il Chips Act, finalizzato a costruire un solido ecosistema europeo dei chip), e un’ulteriore proposta di regolamento del Consiglio (che modifica il regolamento 2021/2085).
Tra i principali obiettivi della strategia europea figurano, oltre al citato ampliamento della capacità produttiva, il rafforzamento della leadership europea nel campo della ricerca e della tecnologia (con particolare attenzione ai transistor di dimensioni inferiori ai 2 nm), la creazione di competenze nella progettazione, nella fabbricazione e nell’imballaggio di chip avanzati (e nella loro trasformazione in prodotti commerciali) nonchè l’attrazione di nuovi talenti e il sostegno alla creazione di forza lavoro qualificata.
Un ulteriore aspetto interessante riguarda il tema degli ordini classificati come prioritari. In questi casi, ove necessario per garantire il funzionamento di alcuni settori critici, la Commissione potrebbe imporre agli impianti di produzione integrata e alle fonderie aperte dell’UE di dare priorità a un ordine di prodotti di rilevanza per un’eventuale crisi dei chip. Questo dovrebbe prevalere su qualsiasi altro obbligo di esecuzione, anche per imprese (stabilite nell’Unione) che sono a loro volta soggette a misure di ordini classificati come prioritarie da parte di paesi terzi.
VANTAGGI E INTERROGATIVI APERTI
Data la delicatezza del contesto geopolitico mondiale e la complessità della catena di approvvigionamento internazionale dei chip, la strategia della Commissione ha il lodevole pregio di provare a implementare un’industria europea nel settore con una serie piuttosto articolata di interventi. Se i recenti accadimenti (si veda la crisi dei chip) e i possibili sviluppi futuri (su tutti le tensioni su Taiwan) mostrano l’opportunità di un intervento in materia, restano ancora una serie di interrogativi relativi all’ammontare del budget, ai possibili tempi di implementazione del nuovo ecosistema e alla complessità della catena del valore, che rischia di rimanere comunque piuttosto spezzettata. A ciò si aggiungono alcuni dubbi relativi ai rapporti con le altre superpotenze (si pensi agli ordini prioritari), ai rischi di eventuali interruzioni della catena di fornitura da un lato e, nel medio periodo, della possibile non concorrenzialità dei prodotti europei dall’altro.
La strada verso l’autonomia strategica europea appare ancora lunga e ricca di insidie su questo e su molti altri versanti tecnologici, e sarà sempre più inestricabilmente collegata alla posizione geopolitica e industriale che l’Europa deciderà di assumere nel complicato contesto internazionale, presente e futuro, per il quale sarà indispensabile un’avveduta lungimiranza.