Tutto cambia per restare com’era: slitta al 30 aprile il payback sui dispositivi medici


Articolo
Eleonora MAZZONI

Con il decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 11 gennaio, il governo ha fissato su tutto il territorio nazionale un nuovo termine per il ripiano dello sfondamento del tetto di spesa che grava in capo alle aziende del settore dei dispositivi medici. La proroga interviene in deroga alle disposizioni sinora vigenti e limitatamente agli anni 2015, 2016, 2017 e 2018, rinviando al 30 aprile 2023 il termine entro il quale le aziende fornitrici di dispositivi medici sono tenute a adempiere all’obbligo di ripiano attraverso i relativi versamenti in favore delle singole regioni e province autonome. Il payback nel settore della sanità resta uno strumento controverso e ampiamente dibattuto.

Introdotto inizialmente nel 2008 con applicazione al settore farmaceutico, lo strumento è ormai lapalissiano produrre effetti distorsivi e limitativi della capacità di programmazione degli investimenti delle imprese (soprattutto quelle che fanno ricerca e innovazione). È infatti foriero di una significativa imprevedibilità, oltre che di costi aggiuntivi. Le esternalità negative provengono dalla caratterizzazione del payback, anche definito come una forma di tassazione occulta che interviene a contenimento della spesa dal lato dell’offerta, piuttosto che, come più opportuno, dal lato della domanda tramite una adeguata valutazione del valore ed appropriatezza degli investimenti e del consumo, e dall’incertezza del diritto, noto fattore di disincentivo per gli investimenti da parte delle imprese.

La norma sul payback nel settore del biomedicale, analoga a quella in vigore per il settore farmaceutico e anch’essa nel tempo contestata e più volte modificata, era stata introdotta nel 2015 ma di fatto rimasta lettera morta fino al decreto “Aiuti bis” nel 2022. Lo strumento del payback per i dispositivi medici è nato, infatti, nel 2011, con il d.l. 98/2011 poi convertito nella Legge 111/2011, che all’art.17 ha stabilito che la spesa per dispositivi medici sostenuta dal Servizio Sanitario Nazionale dovesse essere fissata entro tetti stabiliti annualmente dai decreti ministeriali. La stessa norma prevedeva che in caso di sforamento dei tetti stabiliti, gli eventuali ripiani fossero a carico delle regioni che avessero concorso allo sforamento. Solo poi, nel 2015 a punto, il decreto-legge 78/2015, poi convertito nella Legge 125 dello stesso anno, ha previsto che una parte dello sfondamento annuale del tetto per l’acquisto dei dispositivi medici da parte del ricadesse in capo alle aziende fornitrici, introducendo così di fatto il cosiddetto payback. Il testo prevede che “ciascuna azienda fornitrice concorre alle predette quote di ripiano in misura pari all’incidenza percentuale del proprio fatturato sul totale della spesa per l’acquisito di dispositivi medici a carico del Servizio sanitario regionale”. Le soglie percentuali per il calcolo dell’ammontare del ripiano a carico delle aziende fornitrici venivano contestualmente stabilite al 40% per il 2015, al 45% per il 2016 e al 50% dal 2017 in poi. Inoltre, per il riparto delle somme tra le aziende debitrici il testo rinviava a delle Linee guida del Ministero della Salute. Solo con la Legge di Bilancio 2019 è stato precisato che la definizione del superamento del tetto di spesa deve essere certificata attraverso un decreto del Ministero della Salute, di concerto con il MEF, entro il 30 settembre di ciascun anno di riferimento.

Nella realtà dei fatti le previsioni relative al payback per il settore dei dispositivi medici sono rimaste a lungo inattuate, fino al 2022. Il d.l. 115/2022, poi convertito nella Legge 142 dello stesso anno, è infatti intervenuto a modificare il testo normativo del 2015, accelerando l’attuazione del payback. L’ultima norma ha introdotto, in particolare, il comma 9-bis e previsto l’adozione da parte del Ministero della salute, di concerto con il MEF, del decreto atto a certificare il superamento del tetto di spesa per i dispositivi medici, entro il 30 settembre 2022. Il decreto è stato in effetti adottato e pubblicato in gazzetta lo scorso 15 settembre, certificando gli scostamenti per gli anni dal 2015 al 2018. A questo punto mancavano ancora, però, le linee guida per la redazione delle richieste di ripiano alle aziende produttrici di dispositivi medici. È servito quindi un altro decreto del Ministero della Salute, pubblicato ad ottobre dello scorso anno, per adottare le Linee Guida propedeutiche all’emanazione dei provvedimenti regionali e provinciali in tema di ripiano del superamento del tetto dei dispositivi medici per ogni anno del citato periodo. Nel frattempo, già il decreto emanato a settembre prevedeva che le regioni adottassero entro 90 giorni dalla sua pubblicazioni, i provvedimenti di richiesta di ripiano verso ciascuna azienda interessata. Ogni azienda fornitrice concorre all’obbligo di restituzione in proporzione all’incidenza del fatturato per ogni anno sul totale di spesa regionale, e i pagamenti devono essere effettuati entro 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento. Oltre questo termine i debiti per gli acquisti detenuti dalle regioni o dagli altri enti del SSN vengono posti in compensazione con i crediti maturati da ciascuna impresa.

Complessivamente la quantificazione dello sforamento è pari, per il periodo 2015 – 2018, a 2,2 miliardi di euro con un tetto complessivo del 4,4% del Fondo sanitario nazionale. Lo slittamento del termine per il ripiano, introdotto nei giorni scorsi, è stato accolto di buon grado dalle aziende, ed era necessario visto l’ampio contenzioso che la norma ha prodotto nel tempo.

Tuttavia continua a far discutere la legittimità del sistema, di cui si chiede da più parti il superamento. Il payback per il settore dei dispositivi medici presenta dei profili critici aggiuntivi rispetto all’analogo strumento in vigore per il settore farmaceutico (di cui, altrettanto, si chiede il superamento). I dispositivi sono infatti soggetti a gare ad evidenza pubblica espletate su una base d’asta, un tetto di spesa cioè già preventivato, fissato dalla committente. Si eccepisce, quindi, che il sistema addossi una responsabilità non legittima rispetto allo sfondamento in capo alle aziende fornitrici, quando questa sarebbe della gestione amministrativa delle Regioni che impone, ex ante, basi d’asta e quantitativi predeterminati di acquisto. Non molto cambia, ad un pensiero più approfondito, rispetto al mondo del farmaco, per il quale il prezzo rimborsato dal SSN viene altrettanto definito da una contrattazione con l’ente regolatore (l’AIFA) e su base di gare regionali per l’approvvigionamento, a valle.

In ogni caso, resta il rischio concreto che un tale strumento possa contribuire alla carenza di dispositivi come quelli chirurgici e diagnostici e, naturalmente, anche alle dinamiche di investimento e produzione delle imprese (il settore conta, peraltro, molte PMI), in un momento in cui la sanità dovrebbe ancora avere la massima attenzione da parte del decisore pubblico e senza contare la già estrema volatilità del contesto macroeconomico di recessione in cui opera attualmente l’industria.

Direttore Area Innovazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata in Economia Politica presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza, con una tesi sperimentale sulla scomposizione statistica del differenziale salariale tra cittadini stranieri ed italiani.

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