Le terre rare e la vulnerabilità europea


Approfondimento
Romolo Tokong

Il 12 gennaio scorso LKAB, un’importante società mineraria svedese che estrae più dell’80% del minerale di ferro europeo e lavora più di 30 minerali, ha annunciato l’individuazione di un potenziale giacimento di elementi di terre rare nei pressi di Kiruna, una piccola città situata nella parte più settentrionale della Svezia, oltre il circolo polare artico, nel profondo della Lapponia svedese. I risultati delle prime esplorazioni del nuovo giacimento denominato “Per Geijer” sono stati sorprendenti: gli studi mostrano la presenza di oltre 400 milioni di tonnellate di risorse minerarie ad alto contenuto di ferro, la presenza di fosforo sette volte superiore rispetto ai giacimenti già operativi presenti a Kiruna, ma soprattutto, si stima la presenza di più di un milione di tonnellate di metalli di terre rare.  Quest’ultima scoperta renderebbe “Per Geijer” il più grande giacimento di terre rare mai conosciuto in Europa.

GLI ELEMENTI DI TERRA RARA E I PAESI CHE BENEFICIANO DELLE LORO RISERVE

Ma cosa sono gli elementi di terre rare e perché la notizia della scoperta di questo nuovo giacimento ha avuto una elevata risonanza mediatica? Il termine “terre rare” che viene assegnato a questi specifici elementi chimici non è dovuto alla loro scarsa presenza sul Pianeta ma per via della loro difficile identificazione e per l’estrema complessità associata al processo di lavorazione ed estrazione. I metalli di terre rare (REE – “rare earth element”) sono un insieme di 17 elementi chimici contenenti lo scandio, l’ittrio e un gruppo di 15 lantanoidi. In questo ultimo gruppo, in particolare, ci sono tre elementi che vengono considerati di cruciale importanza per il contributo che possono dare nella realizzazione della transizione ecologica e digitale: il neodimio, il praseodimio e il disprosio.

Dal lato della transizione energetica verde, ad esempio, questi ultimi elementi vengono utilizzati per la costruzione del magnete permanente, componente fondamentale per garantire un’operatività efficiente nelle turbine eoliche off-shore. Vengono anche utilizzati per la fabbricazione del rotore di un motore elettrico, componentistica necessaria per mezzi di trasporto a trazione elettrica che oramai comprendono non solo la semplice automobile, ma anche mezzi più leggeri come la bicicletta, lo scooter o mezzi più pesanti come trattori agricoli e veicoli commerciali.

Per la transizione digitale, invece, gli elementi di terre rare hanno anche ampia applicazione nei settori della tecnologia avanzata e vengono utilizzati per la produzione di una ampia gamma di tecnologie che vanno dalle fibre ottiche agli schermi di desktop e smartphone, dalle apparecchiature di medicina avanzata alla realizzazione di radar per l’industria della difesa.

Ad oggi, secondo stime provvisorie del 2021 dell’istituto geologico degli Stati Uniti, su un totale mondiale di circa 125 milioni di tonnellate di elementi di terre rare sotto forma di riserva la Cina si presenta come il paese con la maggiore disponibilità possedendone circa il 35,2% (44 milioni di tonnellate). Seguono poi il Vietnam con il 17,6% (22 milioni di tonnellate), la Russia e il Brasile con il 16,8% (21 milioni di tonnellate) e poi l’india con il 5,6% (7 milioni di tonnellate) (Figura 1). La Cina si profila anche come il principale produttore mondiale di elementi di terre rare. Sempre secondo i dati forniti dall’istituto geologico americano, il paese asiatico produceva da solo il 60,6% (168 mila tonnellate) della produzione totale mondiale di terre rare (277.100 tonnellate), tenendo dietro gli Stati Uniti con il 15,5% (43 mila tonnellate), il Burma con il 9,3% (26 mila tonnellate) e l’Australia con il 7,9% (22 mila tonnellate) (Figura 2 e 3).

 

Fig.1: Le riserve di terre rare nel Mondo (tonnellata, 2021)

Fonte: Elaborazione I-Com su dati United States Geological Survey

 

LA VULNERABILITÀ EUROPEA E LA DIPENDENZA VERSO LA CINA

La duplice assenza di riserve e di lavorazione mineraria nella zona europea, affiancata dal duplice dominio del dragone asiatico sul mercato delle terre rare, ha costretto l’Unione Europea in questi ultimi anni ad affidarsi interamente alla Cina per l’approvvigionamento di questi minerali. La figura 4 mostra dati Eurostat sull’andamento nel corso del tempo del tasso di affidamento alle importazioni (rapporto percentuale tra importazioni nette e il consumo materiale interno) per tre categorie di materie prime: il legname industriale, i minerali metallici e minerali non metallici. La figura mostra che l’Unione Europea è completamente autosufficiente per il legname e quasi autosufficiente per minerali non metallici, mentre ciò non avviene per i minerali metallici. Dal 2010 al 2020 la dipendenza dalle importazioni di minerali metallici ha oscillato tra il 28% e il 39% attestandosi al 35,1% nel 2020. La figura 5, che raccoglie dati della Commissione europea del 2017, rappresenta invece in forma disaggregata la distribuzione del tasso di dipendenza alle importazioni per alcuni minerali metallici. Si può notare che l’indicatore è estremamente eterogeneo tra i vari minerali metallici, ad esempio il cobalto ha un tasso pari al 32%, lo zinco si attesta al 61% mentre ci sono numerosi elementi che hanno un tasso equivalente al 100%, tra questi gli elementi di terre rare. Questo ultimo dato era abbastanza prevedibile visto quello che è stato analizzato in precedenza: in Europa, fino ad ora, non vi è stata alcuna estrazione di elementi di terre rare. Tale situazione ha costretto il continente europeo a rivolgersi interamente all’estero per reperire questi preziosi metalli, in particolare alla Cina. Il fatto che in Cina si concentri oltre il 60% della produzione globale dei minerali REE, considerata anche la presenza di pochi produttori all’interno del mercato e la possibilità di politiche protezioniste tramite barriere commerciali, ha reso il rischio di approvvigionamento dei REE molto elevato.

 

*I dati del 2020 e 2021 del consumo materiale interno nella Figura 4 sono stime provvisorie di Eurostat

 

LO SCENARIO FUTURO

L’Unione Europea, per ottemperare all’ambizioso obiettivo del raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, ha puntato molto sulla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, da coniugare alla elettrificazione dei consumi finali (settore industriale, dei trasporti e residenziale). A testimoniare ciò c’è la funzione propulsiva del pacchetto “REPowerEU”, che spinge affinché la capacità rinnovabile totale sia di 1236 GW entro il 2030, contro i 511 GW totali misurati nel 2021 GW (IRENA, 2021). Inoltre, a fianco di questo obiettivo, va di pari passo la transizione digitale che punta, come enfatizzato dalla comunicazione europea “Shaping Europe’s digital future”, a mettere la tecnologia al servizio delle persone, ponendo tra i vari obiettivi il potenziamento delle competenze digitali e la diffusione della banda ultra-larga nella popolazione. In questo framework la crescita della domanda futura di alcuni prodotti come le turbine eoliche, i rotori dei motori elettrici, dispositivi tecnologici e fibre ottiche sarà inevitabile. Simultaneamente aumenteranno non solo l’esigenza di avere una continua disponibilità di minerali critici come i REE ma anche la necessità di evitare il rischio che la domanda possa cogliere impreparata l’offerta. Per ora l’Europa, per via degli elevati numeri sul tasso di dipendenza alle importazioni visti in precedenza, sembra non essere nelle condizioni di saper affrontare questa eventualità, con il pericolo che si possano formare delle strozzature di bottiglia nelle filiere produttive e conseguente innalzamento del prezzo della materia prima, dei beni intermedi e quindi dei beni finali. Questi ultimi eventi, sintomi di un mercato in scarsità, se riferiti a beni strategici come la macchina elettrica, i dispositivi tecnologici o la turbina eolica, possono costituire un serio ostacolo alla transizione energetica e digitale. La disponibilità tempestiva di tali materiali determina la possibilità di corrispondere gli obiettivi climatici europei.

CONCLUSIONE

La scoperta del nuovo giacimento in Svezia ricco di elementi di terre rare è una buona notizia: potrebbe aiutare a ridurre il tasso di affidamento alle importazioni di REE e potrebbe diminuire il rischio di mancato approvvigionamento di questi minerali. Tuttavia, prima che si inizi veramente ad estrarre i minerali, come affermato dalla stessa società LKAB, si dovrà ancora attendere circa 10-15 anni a causa dei procedimenti burocratici legati all’ottenimento delle autorizzazioni. Il nuovo giacimento, perciò, dinanzi ad una transizione ecologica e digitale in pieno progresso, non può costituire la soluzione all’estrema vulnerabilità dell’Europa sulla disponibilità di materie prime critiche, ma si devono intraprendere altre misure. Nel 2020 la Commissione europea, già consapevole del problema, aveva presentato l’“Action Plan on Critical Raw Materials” con il quale intende ridurre la dipendenza da paesi terzi, spingere la diversificazione delle fonti di approvvigionamento (laddove possibile) e migliorare l’efficienza e la circolarità dell’uso delle risorse. Sempre nel 2020, la Commissione europea ha anche annunciato l’istituzione di una alleanza industriale (ERMA) per favorire la cooperazione tra i principali stakeholder delle catene di valore, con il fine di garantire un approvvigionamento sostenibile delle materie prime, con speciale attenzione a quelle critiche. Ma ciò non sembra bastare. Infatti, la commissione per l’industria, la ricerca e l’energia del Parlamento europeo (ITRE) nel dicembre scorso, con uno studio, ha evidenziato che mettere in atto politiche di stoccaggio strategico di prodotti contenenti materie critiche può aiutare a mitigare eventuali interruzioni di fornitura di materie prime e componenti nelle catene di valore, rafforzando così la sicurezza di approvvigionamento. A questo punto sorge spontaneo domandarsi se avremo risorse sufficienti per sostenere la necessaria transizione energetica e digitale.

 

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