Net-Zero Industry Act e neutralità climatica: c’è spazio per il nucleare?


Articolo
Angela Zanoni

Il Net-Zero Industry Act comunicato dalla Commissione Europea il 16 marzo scorso è la risposta dell’Unione alla crescente competitività internazionale sulla frontiera della decarbonizzazione e dell’indipendenza energetica. Similmente all’Inflation Reduction Act redatto negli USA, l’obiettivo è quello di porre le basi per un sistema produttivo resiliente e innovativo, con la consapevolezza che rimettere la produzione europea al centro della transizione verde e digitale globale richiede innanzitutto uno sforzo di “autonomia strategica” negli approvvigionamenti di materie prime e nelle forniture di energia. Proprio quest’ultimo aspetto è il cuore del Net-Zero Industry Act, che ha l’ambizione di dettare le condizioni (e predisporre i conseguenti finanziamenti) perché la capacità produttiva complessiva dell’Unione attraverso tecnologie a zero emissioni raggiunga almeno il 40% del suo fabbisogno energetico entro il 2030. 

Nei mesi precedenti la comunicazione c’è stato un certo fermento rispetto a quali tecnologie si sarebbero considerate “a zero emissioni” e, dunque, avrebbero goduto di supporto in sede europea. Una questione non banale, soprattutto alla luce del dibattito sull’uso dell’energia nucleare che agita l‘opinione pubblica di diversi Stati membri. La Commissione ha infine deciso per una soluzione intermedia: tra le tecnologie pulite coperte dalle misure del Net-Zero Industry Act si annoverano anche le “tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con scorie minime nel ciclo del combustibile, small modular reactors e relativi combustibili di prima qualità” 

Questa decisione ha diverse implicazioni. La prima, e la più ovvia, è che la Commissione prende atto del contributo che il nucleare può portare al processo di decarbonizzazione europeo. La menzione specifica di tecnologie “avanzate”, poi, sembra voler incoraggiare l’installazione di nuovi impianti, rispondenti ai più alti standard di sicurezza ed efficienza.   

D’altro canto, secondo alcuni, proprio questo discrimine finirà per avvantaggiare le multinazionali estere (in particolare coreane, inglesi e statunitensi), già attive in Europea da alcuni anni, perlopiù in Polonia: si configurerebbe così il rischio di esporre il fianco ancora una volta alla dipendenza da potenze estere per la fornitura energetica.  

Certo è che escludere del tutto le energie nucleari dallo schema avrebbe presentato serie problematicità legate alle regole di competizione all’interno del mercato unico europeo. Infatti, se è vero che in diversi Paesi, tra cui l’Italia, la questione nucleare è estremamente controversa, va tenuto conto del fatto che quasi la metà degli Stati membri impiega la tecnologia nucleare per soddisfare parte più o meno consistente del proprio fabbisogno energetico. In Germania, dove pure il dissenso è forte, il nucleare copre il 6% del consumo domestico; in Spagna il 12%. Nei Paesi meno popolosi, la quota di nucleare è comparativamente ancora maggiore: in Svezia, il 25% dell’energia consumata proviene da impianti nucleari; in Slovacchia il 23%, in Bulgaria il 22%, in Slovenia il 20%, in Belgio il 19%, in Repubblica Ceca il 18% e in Finlandia il 16%. La Francia merita una menzione a parte: i suoi impianti nucleari producono quasi 100 milioni di tonnellate di petrolio equivalente di energia, a soddisfare il 41% dei consumi energetici nazionali. Anche grazie all’incremento dell’attività dei suoi reattori nucleari, a inizio 2023 la Francia era la prima esportatrice di energia d’Europa.

Produzione energetica da fonte nucleare, ktoe (2021)

Fonte: Eurostat

A fine 2021 il 25% dell’elettricità prodotta in Europa derivava da processi nucleari. Il maggior produttore è stato, appunto, la Francia (52% della produzione totale di elettricità da energia nucleare dell’UE), seguita da Germania (9%), Spagna (8%), Svezia (7%) e Belgio (7%).

Guardando al quadro complessivo del consumo energetico europeo, emerge che il nucleare copre il 13% dell’energy mix UE. Si tratta di una percentuale non distante da quanto generato da tutte le fonti rinnovabili e i biocarburanti messi insieme (il 18% dell’energy mix). Per il 69% i Paesi UE dipendono ancora da fonti fossili.  

Energy mix del consumo interno lordo nella UE (2021)

Fonte: Eurostat

Negli anni precedenti la pandemia da Covid-19 i consumi energetici domestici alimentati da processi di fissione nucleare si sono contratti dell’1% tra 2000 e 2010, del 15% tra 2010 e 2019. La crisi energetica, aggravata dal conflitto russo-ucraino, ha dettato un leggero recupero (+5%) nel biennio 2019-2021. Tuttavia, nel 2022 si è pagato il prezzo dell’obsolescenza di molti dei reattori continentali e della siccità che ha messo in dubbio la disponibilità idrica per il loro raffreddamento: il risultato è che, nel 2022, la quota di elettricità prodotta dal nucleare è calata del 22%.

A determinare l’inserimento del nucleare tra le tecnologie finanziate dal pacchetto Net-Zero Industry sono state sia ragioni di natura politica sia considerazioni di natura ambientale. Infatti, la comunità scientifica ha per lungo tempo sottolineato il ruolo chiave della produzione energetica nucleare negli scenari di decarbonizzazione; tanto è vero che il nucleare, pur non essendo classificato come fonte energetica rinnovabile, rientra tra le fonti energetiche “pulite” in virtù della bassa quantità di emissioni derivanti dal processo di fissione. Secondo IEA, l’Unione Europea è il continente in cui l’impiego delle reazioni nucleari per la produzione energetica ha comportato il maggiore risparmio di emissioni di gas serra tra 1971 al 2018: oltre 22 CtCO2, un livello eguagliato a livello mondiale solo dagli Stati Uniti. 

L’ultimo decennio ha visto la fine del trend di discesa della produzione energetica nucleare globale, avvenuto a partire da fine anni ‘80: tra 2011 e 2020 si sono prodotti nel mondo 3,6 GW di potenza in più rispetto al decennio precedente (+129%). Questo tasso di crescita, già elevato, dovrebbe essere superato perché il nucleare possa contribuire debitamente agli obiettivi di neutralità climatica. Infatti, secondo IEA, la generazione energetica nucleare dovrebbe raggiungere quasi i 17GW al 2030 nello scenario Net-Zero, aumentando dunque del +165%. Una tale progressione difficilmente può avvenire in assenza di precise politiche di ricerca e sviluppo: ciò è vero in particolar modo in Europa, dove, come si è visto sopra, la produzione di energia nucleare è complessivamente in calo a causa dell’età elevata dei reattori in funzione. 

Incremento della capacità nucleare globale nello scenario Net-Zero, 1971-2030

Fonte: IEA

Alla luce degli impegni ambientali dall’Unione per il 2050, il nucleare è considerato senz’altro un nodo con cui confrontarsi. In questo senso il Net-Zero Industry Act rappresenta, più che un’apertura netta a queste tecnologie, una presa di coscienza dell’apporto che il nucleare già sta dando al percorso di transizione e un incoraggiamento ad approfondire la ricerca nel settore. Il delinearsi di scenari futuri di approvvigionamento energetico in risposta agli squilibri geopolitici in corso potrebbe spostare l’ago della bilancia ulteriormente in questa direzione. 

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