Il personale del Servizio Sanitario Nazionale rappresenta il fattore produttivo più importante per sé e per le sue aziende. Durante la pandemia, in condizioni di allentamento dei vincoli e di riscoperta della missione, è emerso ancora di più il potenziale e il valore insostituibile delle risorse umane che vi lavorano.
Secondo la fotografia scattata da Agenas, dal 2019 al 2021 il personale del SSN è cresciuto di circa 21 mila unità raggiungendo quota 670.566 addetti, avvicinandosi ai 673 mila del 2012. Negli anni precedenti, a seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni, negli ultimi anni il personale a tempo indeterminato del SSN era fortemente diminuito. Al 31 dicembre 2018 era inferiore di circa 25.000 unità rispetto a quello del 2012 (circa 41.400 rispetto al 2008). Tra il 2012 e il 2017 il personale (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) dipendente a tempo indeterminato in servizio presso le Asl, le Aziende Ospedaliere, quelle universitarie e gli IRCCS pubblici è passato da 653 mila a 626 mila unità, diminuendo del 4%.
Negli anni 2020-2021 si è assistito a un incremento di personale, che è avvenuto per effetto dei decreti emergenziali del 2020, portando il numero delle unità in servizio al 2021 ad essere quasi sovrapponibile a quello del 2012.
Da un punto di vista economico però l’incidenza dei costi legati al personale rispetto al totale della spesa sanitaria continua a diminuire. Il personale del SSN rappresenta una componente fondamentale dell’organizzazione del sistema e, nello stesso tempo, la voce di costo più importante nei conti economici. Il “Monitoraggio della Spesa Sanitaria” della Ragioneria Generale dello Stato lo conferma. Dal 2012 al 2021 la spesa sanitaria è stata composta in media per quasi un terzo (31,7%) dai costi per il personale dipendente. L’incidenza di questa voce sul totale ha seguito però, come anticipato, una costante diminuzione, passando dal 33,5% nel 2012 al 29,9% nel 2021.
Secondo i dati diffusi dall’Agenas nel suo ultimo rapporto sul personale del SSN, il numero di medici di medicina generale è diminuito in pressoché tutte le regioni italiane. Dal 2019 al 2021 i MMG si sono ridotti di 2.178 unità e quello dei PLS (pediatri di libera scelta) di 386 unità. La Calabria registra una diminuzione particolarmente elevata, che raggiunge quasi il 30%. Tutte le altre regioni presentano cambiamenti sicuramente meno drastica ma comunque non trascurabile. In Campania si registra una diminuzione del 10%, in Basilicata dell’8, in Liguria del 7%. Le uniche due regioni che non presentano tassi di variazioni negative sono la Toscana e la Provincia Autonoma di Bolzano.
Nonostante rappresentino un esempio lampante, i medici di medicina generale costituiscono però solo una parte del personale del SSN. I medici in servizio nel SSN al 2021 corrispondono a 108.250 mentre gli odontoiatri corrispondono a 137 unità di personale. Il personale sanitario dirigente ammonta a 127.424 unità, portando il personale di ruolo sanitario dirigente e non dirigente a 476.359 unità. Gli infermieri costituiscono con un numero assoluto di 279.837 unità, il 41,7% del totale del personale del SSN. Il personale sanitario non dirigente di profili diversi da quello infermieristico è costituito da 69.098 unità, che sommato al personale sanitario infermieristico arriva a un totale di 348.935 unità.
Come sappiamo, la Missione 6 “Salute” del PNRR prevede una serie di investimenti sia nella sanità territoriale sia in quella ospedaliera che richiederanno (tra le altre cose) la disponibilità di un numero significativo di infermieri.
Il numero totale dei medici per abitante in Italia è superiore alla media dell’UE (4,0 rispetto al 3,8 per 1.000 abitanti), mentre sono impiegati meno infermieri rispetto a quasi tutti i paesi dell’Europa occidentale, con un gap di 2,6 ogni 1000 abitanti rispetto alla media europea. All’appello mancherebbero quindi 148.366 infermieri.
Le nuove case della comunità, gli ospedali di comunità, il potenziamento dell’assistenza domiciliare, le centrali operative territoriali e il completamento della nuova rete delle terapie intensive ospedaliere richiederanno 30.485 infermieri in più rispetto alla dotazione attuale.
Nell’ottica della realizzazione della riforma dell’assistenza territoriale, le prime questioni legate alle risorse di personale sono emerse in seguito alla mancata intesa in Conferenza Stato-Regioni sullo schema di decreto. Le riforme e gli investimenti del PNRR, al netto di riorganizzazione e ridistribuzione, stando agli standard di personale individuati dall’allegato allo schema di D.M., necessiterebbero di un surplus di personale tale da richiedere un investimento di risorse aggiuntive a partire dal 2026, di circa il 25%.
Stima di infermieri necessari per l’attuazione del PNRR | ||||||||||||||||
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Fonte: Elaborazione F.Pesaresi su dati della documentazione del Governo inviata all’UE a corredo del PNRR (2021), del Ministero della Salute (2020) e della Corte dei Conti (2021)
Nonostante i ministeri interessati, nel corso dell’interlocuzione con le regioni, abbiano cercato di rispondere a tale criticità, non si è raggiunta alcuna soluzione.
Dal momento che l’attuale monte-risorse è stato elevato essenzialmente per ragioni emergenziali (cioè gli incrementi sono correlati alle maggiori spese sostenute per contrastare la pandemia), il problema non è da sottovalutare. Anche ipotizzando che le risorse aggiuntive della pandemia possano diventare strutturali, resterebbero da finanziare le spese derivanti dai nuovi standard territoriali.
Inoltre, a queste stime è necessario aggiungere il personale che sostituirà gli infermieri che andranno in pensione nei prossimi anni. La documentazione a corredo del PNRR e inviata all’UE fornisce una stima dei pensionamenti degli infermieri che è stata calcolata sulla base degli infermieri di età superiore ai 60 anni, e assumendo che questi vadano tutti in pensione a 67 anni. Nel PNRR viene stimato che il 7,83% del totale degli infermieri andrà in pensione nel periodo 2021-2026 (per un totale di 26.018 infermieri). Verosimilmente però le dinamiche saranno diverse rispetto a quelle riportate. Gli infermieri, mediamente, vanno in pensione a 63 anni circa. Ecco perché risulta più probabile che il numero di infermieri che andrà in pensione nel periodo 2021-2027 sarà circa doppio rispetto a quello stimato dai documenti del Piano.
Stima delle necessità di nuovi infermieri al 2027 | ||||||||
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Fonte: Elaborazione F.Pesaresi su dati della documentazione del Governo inviata all’UE a corredo del PNRR (2021), del Ministero della Salute (2020) e della Corte dei Conti (2021)
Nel contempo, proprio nel 2021, per la prima volta il numero degli infermieri neolaureati è sceso sotto quota 10.000.
Le università al momento possono accogliere solo 15.000 posti all’anno rispetto ad una domanda dei giovani che è almeno di 18.000 candidature. In questa situazione, il numero dei neolaureati non copre neanche le necessità legate al pensionamento del personale infermieristico.
Il fabbisogno di formazione infermieristica programmato dal Governo probabilmente sarà insufficiente rispetto alle necessità di nuovi infermieri richiesti dall’attuazione del PNRR e a garantire il turn-over. Il rischio, particolarmente vivo, è quello di far permanere il SSN in grave carenza di personale infermieristico (ancor più intensa di quella attuale) per svariati anni.