Nel 2022 oltre 4 milioni di italiani, il 7% della popolazione, hanno rinunciato alle cure di cui avevano bisogno. Nel 2021 il dato era peggiore, ma ovviamente influenzato dal Covid (11,1%). Tuttavia siamo ancora distanti dal 6,3% della fase pre Covid. Per la prima volta però, a frenare gli italiani, sono le liste di attesa più che i motivi economici. L’Istat avverte che la principale barriera all’entrata è diventata l’attesa per il servizio medico. Nel 2022 la quota di persone che ha effettuato visite specialistiche si è ridotto (dal 42,3% nel 2019 al 38,8% nel 2022) come per gli accertamenti diagnostici (dal 35,7% al 32,0%). La sanità digitale potrebbe essere una soluzione?

Sia l’Ocse nel 2020, sia la Commissione Europea hanno evidenziato come il problema dei tempi di attesa fosse un tema di preoccupazione considerevole nella maggior parte dei paesi dell’Unione Europea. In Italia non esiste un sistema centralizzato di raccolta sistematica e pubblicazione dell’andamento delle prestazioni sanitarie, l’onere di pubblicare e rendere consultabili i dati sulle liste d’attesa è lasciato alle regioni. Gli ultimi numeri disponibili sono stati raccolti nel 2017 da CREA Sanità con riferimento a quattro SSR: Lombardia, Veneto, Lazio e Campania. Tuttavia questo studio mostrato dal grafico 1.1 è sufficiente per denotare il fenomeno dei tempi di attesa del servizio sanitario pubblico, a differenza del privato che può permettersi un servizio più efficiente.
Il portale di Agenas contiene anche i dati delle singole regioni sul rispetto dei tempi di attesa per gli interventi di classe di priorità A (30 giorni) per l’area cardiologica e per i tumori maligni mettendo anche a confronto il pubblico con il privato accreditato. Nel privato per l’area tumori si rispettano i tempi di attesa di 30 giorni l’82,5% delle volte, mentre solo il 72% delle volte nel pubblico, nell’area delle malattie cardiovascolari invece il dato per il primo è 88% e 78% per il secondo.
È evidente dunque come esista un problema strutturale del sistema sanitario nazionale, che ha ovviamente varie ripercussioni, prima di tutto sulla qualità della cura e sulla prevenzione e diagnostica delle patologie. Tuttavia uno dei fenomeni che emerge dall’ultima analisi Istat è il ricorso al cosiddetto “out of pocket”. Aumenta soprattutto la quota di persone che dichiara di aver pagato interamente sia per le visite specialistiche (dal 37% al 41,8% nel 2022) che per gli accertamenti diagnostici (dal 23% al 27,6% nel 2022). Nel 2021 la spesa sanitaria privata ha superato la soglia dei 37 miliardi (+20%) raggiungendo livelli mai visti prima della pandemia. A questi si aggiungono i 4,5 miliardi della Sanità integrativa sempre a carico dei cittadini. Mentre la spesa pubblica sta scendendo rapidamente e si attesta quest’anno al 6,3%, ormai il 25% è a carico dei cittadini.

MIGRAZIONE SANITARIA

Un altro fenomeno causato dalle liste di attesa è quello della migrazione sanitaria, i dati infatti mostrano come i tempi di attesa siano notevolmente più lunghi nel Meridione e che questo costringa milioni di italiani a spostarsi per ottenere cure migliori. Nel corso del 2021 il valore della mobilità interregionale dei ricoveri è di poco al di sotto dei 2,5 miliardi di euro.

Il fenomeno dell’esodo da Sud a Nord per curarsi non si arresta. Sono ben 14 le regioni che hanno infatti saldi negativi. Fanalini di coda sono la Campania che nel 2021 registra un saldo negativo di 185,7 mln. A seguire la Calabria (-159,5 mln), la Sicilia (-109,6 mln), la Puglia (-87,6 mln), la Liguria (-60,7 mln), l’Abruzzo (-49,5 mln), la Basilicata (-40,3 mln), la Sardegna (-34,4 mln), le Marche (-21,1 mln), l’Umbria (-9,8 mln), la Valle d’Aosta (-7,1 mln), il Friuli Venezia Giulia (-6,8 mln), la Pa di Bolzano (-4,3 mln) e la Pa di Trento (-0,03 mln). In attivo a guadagnarci di più dalla mobilità è nel 2021 l’Emilia Romagna che scalza la Lombardia dal vertice con un saldo attivo di 293,9 mln. Lombardia che segue con un +274,9 mln. In attivo anche il Veneto (+102 mln), la Toscana (+38,1 mln), il Lazio (+34,2 mln), il Piemonte (24,8 mln) e il Molise (+8,7 mln).
Su queste problematiche si è già espresso il ministro Orazio Schillaci: “Le lunghe attese e le rinunce dei cittadini sono il sintomo di un sistema che ha nelle sue cause la disorganizzazione ed è qui che interverremo. Stiamo studiando la possibilità di un incremento delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive, soprattutto riguardo alle ulteriori prestazioni richieste per l’abbattimento delle liste di attesa”.

SANITÀ DIGITALE: LA TECNOLOGIA A SUPPORTO DELLA MEDICINA

Oltre il normale finanziamento però potrebbero esistere nuovi mezzi tecnologici per cambiare la sanità e combattere a sua volta la problematica della sostenibilità del sistema sanitario nazionale.

La telemedicina:

L’epidemia COVID ha dimostrato sia la validità che la necessità di soluzioni di telemedicina, mediante le quali assicurare a distanza cure ed assistenza ai pazienti specialmente se fragili, cronici ed affetti da patologie di lunga durata evitando il rischio di affollamenti e di contagi sia per i sanitari che per i pazienti stessi. Nella diversità delle patologie affrontate e delle prestazioni effettuate fino adesso, è stato stimato che la televisita rappresenti una valida alternativa per oltre il 50% delle visite di controllo, in cui l’obiettivo principale è quello di verificare con il paziente l’evoluzione del suo stato di salute, prendere visione di esami ed accertamenti compiuti nel periodo e dare indicazioni sul prosieguo della terapia e del trattamento.

La sanità digitale:

L’analisi predittiva dei big data può aiutare gli ospedali e le cliniche a stimare i tassi di ricovero futuri, consentendo di allocare il personale adeguato a occuparsi dei pazienti, per esempio ridefinendo gli orari e la turnazione del personale. Ciò consente di risparmiare denaro e ridurre i tempi di attesa al pronto soccorso. Una grande struttura sanitaria si può trovare nella condizione di dover pianificare, realizzare, gestire e proteggere svariate postazioni, ma anche di non avere personale a sufficienza da poter dedicare a tali operazioni.

Ricorrere a una soluzione basata su Micro Data Center potrebbe aiutare a ridurre le tempistiche. Un esempio concreto di struttura sanitaria data driven è quella dell’Humber River Hospital (HRH) di Toronto, il primo ospedale completamente digitale del Nord America. Il suo Command Centre consente di tenere sotto controllo, in tempo reale, tutti i dati dell’ospedale: dai parametri vitali di ogni singolo paziente alla disponibilità dei posti letto, può eseguire analisi tramite algoritmi di machine learning per rendere noto al personale cosa sta succedendo in ospedale e a cosa è necessario prestare attenzione, consentendo di prevedere e prevenire i problemi ben prima che accadano.

La pandemia ha accelerato in modo evidente l’adozione della sanità digitale, utilizzata in più del 30% delle applicazioni mediche contro il 10% del periodo pre-Covid. Sebbene sempre più diffusa tra i professionisti del settore, la telemedicina continua a essere poco adoperata dai pazienti. Tuttavia la fiducia e l’interesse sono in continua crescita.

Dunque i punti di forza della sanità digitale sono molti, può diminuire le differenze geografiche e territoriali, riduce i costi per la collettività, può migliorare sia l’esperienza dei pazienti e il loro rapporto con le cure sia l’efficienza generale dei sistemi sanitari regionali.

Dopo la laurea triennale in "Scienze politiche e relazioni internazionali" all'università Sapienza, ha conseguito la magistrale con lode in "Economia e politiche per la sostenibilità globale" nella medesima Università. La sua tesi sperimentale, in valutazione delle politiche pubbliche, si è focalizzata sull'utilizzo dell'energia nucleare per l'efficientamento del mix energetico, integrata da uno studio di sentiment analysis. Durante il percorso accademico ha avuto l'opportunità di arricchire la propria formazione frequentando l'Aix Marseille Université e l'Université Savoie Mont Blanc in Francia, oltre all'Universidad Autonóma de Madrid, alimentando il suo interesse per l'economia e le politiche pubbliche. Dal 2023 è ricercatore presso l'Istituto per la Competitività (I-Com), dove si occupa di tematiche legate alla salute pubblica, italiana ed europea, al settore farmaceutico e alle questioni occupazionali e sociali.