La pandemia ha dato vita al fenomeno della sanità sospesa e ha, di conseguenza, creato la necessità di recuperare le prestazioni sanitarie che sono state rimandate o cancellate durante l’emergenza. La gran parte delle risorse sanitarie è stata infatti destinata ad affrontare l’alto numero di casi di Covid-19. Questo ha ridotto la capacità di erogare altre prestazioni sanitarie e ha reso necessario il recupero successivo per affrontare il ritardo accumulato. Le unità di terapia intensiva, le attrezzature mediche e il personale medico sono stati utilizzati in modo prioritario per la gestione dei pazienti Covid, rallentando le altre attività sanitarie. Ma non solo. A causa del rischio di contrarre il virus molte persone hanno evitato di cercare assistenza sanitaria per altre condizioni mediche. Inoltre, le restrizioni di viaggio e le misure di distanziamento sociale hanno limitato l’accesso alle strutture sanitarie, specialmente per i pazienti con condizioni non urgenti.
Ora che lo stato di emergenza ha visto la fine, la ripresa delle prestazioni sanitarie non svolte durante la pandemia rappresenta un tema cruciale per garantire che le persone ricevano l’assistenza necessaria e per mitigare gli effetti a lungo termine della pandemia sulla salute pubblica.
Ma quante prestazioni sanitarie sono state evitate a causa della pandemia? Secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2020 – rispetto al 2019 – in Italia sono stati oltre 1,57 milioni i ricoveri programmati in meno; per gli screening oncologici sono saltati oltre 4,1 milioni di inviti e sono stati effettuati 2,53 milioni di screening in meno. Infine, sono mancate oltre 112 milioni di prestazioni ambulatoriali, tra visite specialistiche, esami di laboratorio e strumentali.
Al fine di affrontare il problema, sono state allocate risorse specifiche per il recupero delle prestazioni sanitarie. La Legge di Bilancio 2022 ha stanziato 500 milioni di euro, in aggiunta a quanto previsto dal DL 104/2020, che le Regioni non avevano utilizzato completamente.
Nel gennaio 2022 il Ministero della Salute ha emesso le “Linee di indirizzo per il recupero delle prestazioni sanitarie non erogate in ragione dell’epidemia da SARS-CoV-2” identificando tre categorie di prestazioni prioritarie: ricoveri per interventi chirurgici programmati, inviti e prestazioni per le campagne di screening oncologici e prestazioni ambulatoriali (riconoscendo formalmente il fenomeno della sanità sospesa).
Seguendo le direttive ministeriali, ogni Regione ha sviluppato un Piano Operativo Regionale (POR) in cui ha definito strategie e modalità organizzative per il recupero delle prestazioni non erogate durante il periodo pandemico.
Entrando nel dettaglio delle prestazioni che sono state rimandate e recuperate nel 2022, gli inviti agli screening presentano tutto sommato buoni tassi di recupero. La media nazionale è dell’82%. Molte regioni hanno recuperato la totalità delle prestazioni prefissate. Tra queste il Lazio, il Piemonte, il Molise, la Basilicata, l’Emilia-Romagna e la Toscana. Al contrario, alcune regioni presentano tassi di recupero estremamente bassi, per esempio la Calabria con il 34%, la Campania (21%), la Liguria (20%) e, infine, il Friuli Venezia Giulia solamente il 14% di inviti agli screening oncologici recuperati nel 2022.
Percentuale di recupero degli inviti a screening oncologici (2022)
Nei POR si era previsto di recuperare oltre 5 milioni di inviti e quasi 2,84 milioni di prestazioni effettive. La rendicontazione ministeriale riporta un recupero stimato di quasi 4,2 milioni di inviti (82%) e poco più di 1,9 milioni di prestazioni di screening (67%).
Le regioni che hanno recuperato la totalità degli screening sono la Toscana, la PA di Trento, il Piemonte, la Basilicata. Al contrario, in alcune regioni il tasso di recupero è inferiore al 25%: le Marche si sono fermate al 20%, la Campania al 16%, la Calabria e il Lazio al 9%.
Percentuale di recupero degli screening oncologici (2022)
Senza dubbio le peggiori performance per il recupero attengono all’area dei ricoveri programmati. Complessivamente le Regioni hanno inserito nei POR oltre 512 mila ricoveri programmati da recuperare, per le quali il Ministero della Salute riporta un recupero nazionale medio stimato di poco più di 338 mila (66%). Anche in questo caso si registrano percentuali di recupero molto variabili tra le regioni. Nessuna regione tocca il 100%. Si avvicinano Piemonte (92%), Basilicata (91%) e Toscana (90%). Le peggiori performance sono invece della Liguria (14%), della PA di Bolzano (21%) e della Campania (22%).
Percentuale di recupero interventi chirurgici (2022)
Ad aprile 2023 si è conclusa l’attività di audit del Ministero della Salute sull’utilizzo delle risorse stanziate. La spesa rendicontata al 31 dicembre 2022 sfiora i 348 milioni di euro, ovvero quasi il 70% di quella stabilita, con notevoli differenze regionali. Si passa dal 100% della Liguria, con alcune regioni (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia e Piemonte) che superano il 100% verosimilmente in ragione dello stanziamento di risorse proprie, fino alla maggior parte delle regioni che non arrivano al 50% come Abruzzo, Lazio, Campania, Valle D’Aosta, Sicilia, Calabria e Sardegna. Il Molise si ferma al 2%.
Percentuale di utilizzo delle risorse stanziate (2022)
Come anticipato e come dimostrano anche le iniziative politiche e lo stanziamento di risorse aggiuntive, il recupero delle liste d’attesa è estremamente necessario. La presenza di liste di attesa di durata eccessiva può comportare un ritardo nel trattamento di condizioni mediche che richiedono interventi tempestivi. Il prolungato periodo di attesa può aggravare la condizione di salute, aumentando il rischio di complicazioni o di peggioramento delle condizioni (e dal punto di vista del sistema comportare sprechi di risorse urgenti). Le persone in attesa di cure possono sperimentare un deterioramento della qualità della vita a causa dei sintomi non trattati o della limitazione delle attività quotidiane. Ad esempio, i pazienti in lista d’attesa per interventi chirurgici possono avere difficoltà a svolgere normalmente le proprie attività lavorative o familiari. Questa situazione aggrava senza dubbio le disparità nell’accesso alle cure già presenti e radicate sul territorio nazionale.
Tutti i ritardi, sia nella diagnostica che nel percorso di cura (vedi interventi chirurgici), comportano un aumento dei costi sanitari a lungo termine. Quando le condizioni non vengono trattate tempestivamente, queste richiedono cure più complesse o interventi più invasivi, con un conseguente aumento delle spese e degli effetti diretti e indiretti sull’intero sistema.