La diffusione capillare di device smart, e più in generale delle tecnologie digitali, ha portato negli ultimi anni ad una crescita esponenziale del volume di dati generati sia dai comuni cittadini che dalle organizzazioni. L’interpretazione di tali informazioni apre un mondo di opportunità per le imprese che, se dotate del giusto bagaglio di competenze e degli strumenti adeguati, possono sfruttarle per adattare la propria strategia di mercato in modo da intercettare in maniera più precisa desideri e gusti dei consumatori. L’appetibilità dei dati non si esaurisce nelle aziende che operano sul mercato ma possono risultare fondamentali anche per le Amministrazioni Pubbliche, nell’ottica di fornire alla cittadinanza servizi sempre più performanti e vicini ai bisogni della cittadinanza, nonché alla ricerca che fonda spesso i propri successi nella possibilità di avere a disposizione grandi set di informazioni da analizzare.

Sempre più organizzazioni sia private che pubbliche stanno quindi riconoscendo il valore dei dati e le enormi potenzialità ad essi legate e si stanno così adoperando per una loro gestione efficiente ed efficace, consolidandosi sempre più in modelli di business data-driven. Considerata l’importanza che i dati stanno assumendo, il possesso e la capacità di comprendere e sfruttarli è diventata una delle chiavi della sfida che le grandi economie globali stanno affrontando per ottenere la supremazia tecnologica. Per questo è importante analizzare le performance dell’Unione Europea per comprendere quali siano gli aspetti chiave su cui lavorare per tenere il passo con USA e Cina.

L’ECONOMIA DEI DATI EUROPEA NEL CONTESTO GLOBALE

Secondo quanto emerge dall’ultima versione del rapporto “European DATA Market Study 2021–2023” elaborato da IDC su iniziativa della Commissione Europea (pubblicato nel febbraio 2023) nel 2022, come nei tre anni precedenti, gli USA si sono imposti come player dominante nel mercato globale dei dati. Lo scorso anno il valore del mercato dei dati negli Stati Uniti si è attestato a 289 miliardi di euro, quasi quattro volte quello dell’UE (73 miliardi di euro) e più di sette volte quello della Cina (40 miliardi di euro). La traiettoria di incremento del mercato statunitense lo ha portato a registrare tra il 2021 e il 2022 un tasso di crescita anno su anno del 19,4%, il 5,8% più alto di quello dell’UE.

Nonostante la seconda posizione in valori assoluti, il Vecchio continente (+12,6%) si posiziona dopo la Cina in termini di crescita percentuale. Il gigante asiatico, che per ora ha un giro d’affari complessivo poco rilevante in quest’ambito, ha significative opportunità di sviluppo, come dimostra l’aumento del 24,1% fatto registrare tra il 2021 e il 2022, e un potenziale tecnologico per diventare un attore dominante nel mercato globale dei dati nei prossimi anni.

IL TEMA DELLE COMPETENZE

La chiave per poter sfruttare l’enorme opportunità di sviluppo rappresentata dai dati risiede senza dubbio nell’avere a disposizione competenze tecniche adeguate. In quest’ottica, nel già citato studio dell’IDC è stata fatta una comparazione nella disponibilità di “professionisti dei dati” nelle aree geografiche considerate. Ricadono sotto questa categoria professionale tutti “i lavoratori che raccolgono, archiviano, gestiscono e/o analizzano, interpretano e visualizzano i dati come attività principale o come parte rilevante della loro attività”.

Parimenti a quanto visto in precedenza, gli Stati Uniti spiccano tra le aree geografiche considerate anche per disponibilità di professionalità in grado di trattare i dati, con un numero di addetti più che doppio rispetto all’UE e il 65% più elevato parametrato alla Cina.

Parametrando il dato all’occupazione totale vediamo però come la situazione cambi leggermente, infatti, l’incidenza dei data professionals in UE tra il 2019 e il 2022 ha avuto un andamento positivo mentre in USA e Cina è rimasta stazionaria (se non in lieve decrescita).

LA CARENZA DI COMPETENZE NELLE PMI

Tema rilevante, che si collega a quello trattato nel blocco precedente, è relativo alla grande presenza di piccole e medie imprese (PMI) sul territorio europeo (e italiano in particolare). In un mondo sempre più digitalizzato, saper sfruttare i dati per una PMI potrebbe non essere più solo una chiave di espansione ma anche un fattore di sopravvivenza. Purtroppo però, spesso le PMI non sono dotate di un adeguato set di competenze per cogliere le importanti opportunità che possono derivare dall’analisi dei dati. Per capire quanto le PMI siano indietro rispetto alle grandi aziende in competenze informatiche è sufficiente analizzare gli ultimi dati pubblicati da Eurostat sugli specialisti ICT nelle imprese. Nel 2022, quasi l’80% delle imprese dell’UE con più di 250 dipendenti si è avvalso di specialisti ICT, a differenza di quelle con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 249 dove questa percentuale è dimezzata. Per le piccole imprese questo dato risulta essere nettamente più basso, attestandosi al 15%.

CONCLUSIONI

L’economia dei dati è diventata sempre più un motore di competitività, come sottolineato dal suo considerevole contributo al PIL e ai posti di lavoro. I dati analizzati in questo articolo mostrano chiaramente come l’UE fatichi a colmare il ritardo rispetto agli Stati Uniti e come sia sempre più sfidata dalla Cina.

In quest’ottica, il ruolo delle Autorità Pubbliche è fondamentale per promuovere lo sviluppo dei fattori trainanti sottostanti, regolando il mercato, promuovendo e finanziando la formazione nonché, quando possibile, fornendo accesso ai suoi set di dati. Occorre perseguire in via prioritaria maggiori investimenti in innovazione e una revisione dei programmi di istruzione e formazione, che ormai non appaiono più allineati ai fabbisogni aziendali. Inoltre le PMI, ovvero la categoria di imprese più in difficolta sul tema, dovrebbero essere sostenute in quest’ambito dai poli dell’innovazione digitale e da altri centri pubblici e privati in grado di fornire una adeguata formazione, ma anche consulenza aziendale e tecnologica e altri servizi.

Infine, le politiche dell’UE dovrebbero mirare a promuovere lo sviluppo e a ridurre le disparità tra gli Stati Membri utilizzando un mix di fondi europei e nazionali. In quest’ottica il Resilience and Recovery Facility è una grande opportunità per accelerare questa convergenza e non dovrebbe essere sprecata.

Direttore Area Digitale dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nato ad Avellino nel 1990. Ha conseguito una laurea triennale in “Economia e gestione delle aziende e dei servizi sanitari” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e successivamente una laurea magistrale in “International Management” presso la LUISS Guido Carli. Al termine del percorso accademico ha frequentato un master in “Export Management & International Business” presso la business school del Sole 24 Ore.