Nell’ardua via per la decarbonizzazione ogni nuova scoperta può rappresentare uno strumento aggiuntivo per assicurarci l’indipendenza dai combustibili fossili nel lungo periodo. Fra le carte a nostra disposizione, sempre più governi occidentali stanno iniziando a puntare sull’idrogeno con l’obiettivo di aumentarne la produzione in quanto vettore energetico che, se prodotto grazie all’elettricità generata da fonti rinnovabili, può essere a emissioni quasi zero. L’Unione europea si è posta l’obiettivo di produrre 10 milioni di tonnellate l’anno di idrogeno verde e di importarne altrettanti entro il 2030, mentre gli Stati Uniti hanno annunciato investimenti per 7 miliardi di dollari in siti di produzione di idrogeno verde o blu. Lo sviluppo futuro di questo mercato dipenderà sia dalla domanda che dall’offerta. In particolare, determinanti saranno i prezzi a cui l’idrogeno sarà disponibile e le applicazioni concrete sviluppate sul mercato.

UN ALTO DIFFERENZIALE DI COSTO FRA IDROGENO VERDE E GRIGIO

Oggi la domanda di idrogeno è associata principalmente a processi industriali, mentre in futuro potrebbero aprirsi strade per l’utilizzo nei trasporti su gomma, rotaia, per l’aviazione e per la generazione di energia stazionaria su larga scala. Attualmente l’H2 convenzionalmente presente sul mercato – in quanto più conveniente da produrre – è quello grigio, il quale però deriva da fonti fossili. Secondo le stime dell’International Energy Agency (IEA), il costo di produzione di idrogeno grigio è di circa 1 $/kg. Le tipologie di idrogeno da considerare per decarbonizzare sarebbero piuttosto quello blu – prodotto da fonti fossili ma con sistemi di cattura del carbonio (CCS)- o ancora meglio, quello verde. Tuttavia, la produzione di entrambi è più onerosa, in particolare quella dell’idrogeno verde, i cui costi nei paesi dell’Europa Occidentale al 2021 sono stimati fra i 4,9 e i 7,8 $/kg. Sempre l’IEA indica che questo stesso costo di produzione potrà raggiungere l’intervallo di  1,1 -3,5 $/kg entro il 2030 in caso l’UE rispetti il calendario degli investimenti programmati.

E se esistesse idrogeno naturale, di derivazione geologica, con un costo di estrazione fino a 50 centesimi a kg? Questa la suggestione – che potrebbe concretizzarsi, per ora, in un unico sito al mondo – nata da una scoperta in Mali. Nel 2011, nel paese dell’Africa occidentale, è stato casualmente scoperto un ampio “giacimento” di idrogeno, che ha attirato il grande interesse della comunità scientifica internazionale. Dal 2018, anno della pubblicazione sull’International Journal of Hydrogen Energy della descrizione del giacimento maliano, il numero di articoli sull’idrogeno naturale è esploso, così come il numero di start-up in tutto il mondo che stanno acquistando diritti per la sua ricerca ed estrazione.

UN COMBUSTIBILE RINNOVABILE A EMISSIONI ZERO: CHIMERA O REALTÀ?

Il giacimento in Mali è una concreta prova di ciò che un piccolo gruppo di scienziati diceva da anni: grandi riserve di idrogeno naturale possono esistere in tutto il mondo, proprio come il petrolio e gas, ma non nelle stesse aree. Alla base della presenza di questi giacimenti vi sarebbero delle reazioni provocate dal contatto dell’acqua con alcuni tipi di rocce nelle profondità della terra che genererebbero continuamente idrogeno (tramite processi chiamati radiolisi o serpentinizzazione), che risalirebbe attraverso le rocce verso la superficie, talvolta accumulandosi in sacche sotterranee che avrebbero tempi di formazione di poche decine di anni, a differenza dei combustibili fossili a cui occorrono milioni di anni. Stando a queste ipotesi, l’idrogeno naturale potrebbe essere considerato completamente rinnovabile. Un’altra teoria, più dibattuta, si basa sulla possibilità che flussi della molecola possano risalire lungo i confini delle placche tettoniche e delle faglie dal nucleo o dal mantello terrestre. Secondo un modello dell’US Geological Survey (USGS) che tiene conto di più di una modalità di generazione, presentato nell’ottobre 2022 in una riunione della Società di Geologia americana, potrebbe esserci abbastanza idrogeno geologico in natura tale da soddisfare la domanda globale dello stesso per migliaia di anni.

Questa ipotesi sarebbe incoraggiante anche per una potenziale futura riconversione degli apparati industriali del comparto petrolifero e del gas in vista della decarbonizzazione.  Dozzine di nuove piccole aziende si stanno impossessando dei diritti per esplorare possibili riserve di idrogeno, di cui molte in Australia. Sebbene la posizione delle grandi compagnie petrolifere sia ancora attendista e i maggiori investimenti provengano da start-up, l’American Association of Petroleum Geologists ha formato il suo primo comitato per l’idrogeno naturale e l’USGS ha avviato uno studio specifico per identificare le zone di produzione promettenti negli Stati Uniti, tendenze che potrebbero essere decisive per l’attivazione di investimenti da parte delle grandi compagnie. Attualmente, infatti, la localizzazione dei giacimenti di idrogeno naturale è ancora poco chiara e potrebbero sorgere sostanziose complicazioni. Oltre al Mali, ci sono solo stime basate sulle condizioni geologiche che favoriscono la formazione di idrogeno naturale in Turchia, Filippine, Oman, Russia, Brasile, Nuova caledonia e Stati Uniti. Tuttavia, a differenza del giacimento scoperto in Mali in cui l’idrogeno è quasi puro, si ipotizza che in gran parte dei siti studiati l’idrogeno naturale sia fortemente diluito da altri gas come metano, azoto ed elio. Questo complicherebbe lo sfruttamento industriale, rendendo necessari appositi sistemi di purificazione.

INCERTEZZA DELLA DOMANDA, INVESTIMENTI ED INNOVAZIONE

Le potenzialità dell’idrogeno naturale sarebbero tutte da esplorare, come quelle dal lato della domanda, da cui dipenderà veramente il decollo del settore. Recentemente, si possono annoverare alcune novità nel comparto dei trasporti. Per i veicoli pesanti, Volvo – che aveva già siglato una joint venture con Daimler Truck per lo sviluppo di fuel cell – intende creare una società specializzata sul sistema di iniezione Hpdi, una tecnologia specifica che consente l’utilizzo di idrogeno nel motore a combustione interna. Questa spinta innovativa si inserisce in un contesto di incertezza sul futuro dei carburanti tradizionali (e bio) e dei motori a combustione interna, il cui sentiero potrebbe essere scandito dall’idrogeno come unica alternativa agli e-fuel. Queste tendenze di ricerca sono senza dubbio positive e si inseriscono in un contesto di crescita dell’innovazione su tecnologie H2 applicate alla mobilità. Il Rapporto dell’Osservatorio INNOV-E 2023 riporta che l’attività brevettuale globale sulla mobilità a idrogeno nel 2021 è cresciuta del 27,1% rispetto al 2015, con questo segmento che è arrivato a rappresentare il 5,2% dei brevetti relativi alla mobilità sostenibile.

Rimane quindi aperto lo spiraglio per ulteriori spinte alla domanda di idrogeno non solo grazie agli investimenti che si stanno succedendo, ma anche in seguito alle recenti scoperte dal lato dell’offerta, con il potenziale dell’idrogeno naturale che sarà da seguire con attenzione.

Dopo la laurea triennale in Business Administration and Economics all’Università di Roma Tor Vergata, si è laureata con lode in Economics presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Anche grazie ad un tirocinio come Assistente di Ricerca all’Università di Bologna, ha maturato l’interesse e le competenze per la ricerca, anche di stampo econometrico. Nel 2023 è approdata in I-Com, dove si occupa dei temi energetici e della sostenibilità. In precedenza, è stata Junior Economist presso l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani.