La Camera dei Deputati ha dato il via libera unanime al disegno di legge per il diritto all’oblio oncologico. Queste norme, ritenute estremamente necessarie per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche, passano ora al Senato.

Il testo, approvato a Montecitorio con 281 voti a favore e nessun contrario, introduce un “diritto all’oblio” per assicurare che alla guarigione clinica corrisponda la possibilità di esercitare i propri diritti in condizioni di uguaglianza rispetto al resto della popolazione.

Il testo definisce il diritto all’oblio oncologico come “il diritto delle persone guarite da una patologia oncologica di non fornire informazioni né essere oggetto di indagini sulla propria pregressa condizione patologica”. Questa novità si rivela particolarmente di rilievo soprattutto in tema di accesso ai servizi bancari, finanziari e assicurativi. Si prevede, infatti, che ai fini della stipula o del rinnovo dei relativi contratti non sarà più ammessa la richiesta di informazioni relative allo stato di salute della persona fisica contraente concernenti patologie oncologiche da cui essa sia stata affetta in precedenza, qualora il trattamento attivo si sia concluso, senza episodi di recidiva, da più di dieci anni alla data della richiesta. Questo si applica anche in materia di adozioni di minori e di accesso ai concorsi pubblici. Sarà il Garante per la protezione dei dati personali a svolgere il lavoro di vigilanza sulla corretta applicazione delle nuove disposizioni.

Secondo il disegno di legge, il periodo di 10 anni dopo il quale una persona ha diritto all’oblio oncologico si riduce della metà nel caso in cui la patologia sia insorta prima del ventunesimo anno di età.

A livello europeo i dati epidemiologici previsionali relativi ai tumori stanno da tempo mobilitando la comunità scientifica e i decisori politici. La prevenzione, la diagnosi e la cura del cancro sono tra le principali priorità dell’Ue nell’ambito della salute, con particolare riguardo alla qualità della vita dei pazienti oncologici. Basti pensare che l’Europa, nonostante rappresenti solamente un decimo della popolazione mondiale, conta un quarto dei casi di tumori di tutto il mondo.

Il numero di persone sopravvissute a neoplasie aumenta di anno in anno, tanto che nel 2020 – si stimava – avesse già superato i 12 milioni solo nel Vecchio continente (di questi circa 300.000 hanno sconfitto un tumore nell’età infantile). Nel frattempo in Italia ogni giorno vengono diagnosticati più di 1.000 nuovi casi di cancro, circa 377.000 in un anno, con un numero di persone che attualmente vivono con una diagnosi di tumore che supera di gran lunga i 3 milioni. Si tratta del 6% della popolazione circa, con un aumento del 36% rispetto alle stime diffuse nel 2010.

Il diritto all’oblio è senza dubbio fondamentale per garantire il rispetto della dignità, della privacy e dell’autonomia delle persone colpite da patologie oncologiche. Questo, infatti, consente loro di avere il controllo sulla loro narrazione medica e di preservare la propria identità al di là della malattia.

Oltre che per le ragioni elencate in precedenza, il diritto all’oblio risulta particolarmente importante nel processo di “riabilitazione emotiva” degli ex pazienti oncologici sotto vari punti di vista. Basti pensare all’importanza della privacy, della propria identità o alla riduzione dello stigma che, nonostante le iniziative istituzionali, continua ad accompagnare queste persone durante tutta la loro vita.

Nonostante il disegno di legge attribuisca a tutti i pazienti (esclusi quelli pediatrici) le stesse tempistiche per poter accedere a questo diritto, in oncologia ci sono differenti tempistiche (in base alla tipologia di tumore) per poter definire un paziente “guarito”. Nel dettaglio, un soggetto viene considerato “guarito” quando raggiunge la stessa aspettativa di vita delle persone che non hanno mai avuto un tumore. In sostanza, il rischio che la malattia si ripresenti deve essere lo stesso del resto della popolazione. Le tempistiche, però, sono specifiche per la tipologia e la sede della neoplasia: per il cancro alla tiroide sono necessari meno di cinque anni senza recidive affinché il paziente possa considerarsi guarito, per il tumore al colon e i melanomi questo arco di tempo si allunga a 10 anni, per i tumori della vescica e del rene, per i linfomi non-Hodgkin, i mielomi e le leucemie si superano invece i 15 anni. I tempi più lunghi si raggiungono per altri tumori frequenti come quelli della mammella e della prostata, che si attestano sui 20 anni, in quanto il rischio che la malattia si presenti, sebbene esiguo, si mantiene molto a lungo.

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Fonte: AIOM

“Liberi di contrarre un mutuo, di stipulare un’assicurazione, di adottare un figlio senza più limiti, discriminazioni né maggiori oneri”. Secondo il presidente della Commissione Affari Sociali e Salute, Ugo Cappellacci, è proprio questa la potenziale rivoluzione che l’approvazione di questo disegno di legge sull’oblio oncologico potrà apportare. È, afferma, “una rinascita sociale per oltre un milione di guariti dal cancro”. Il diritto all’obblio oncologico, sottolinea Cappellacci, “passa l’esame della Camera in tempi record, dopo la velocissima riunificazione dei testi in Commissione, a dimostrazione di quanto sia sentito il tema”. Il diritto all’oblio è “un messaggio di speranza e di libertà anche per chi lotta contro questo male. Dietro ai numeri, ci sono persone, storie di vita, famiglie che possono finalmente ricominciare il loro cammino”. Questa legge, spiega Cappellacci, “fa seguire alla guarigione fisica anche quella sociale attraverso una ‘cura’ giuridica che restituisce i diritti, gravemente compressi dalla malattia”.

Oggi, grazie all’innovazione tecnologica e agli importanti risultati della ricerca scientifica, sono 3,6 milioni le persone che vivono in Italia dopo una diagnosi di tumore. Oltre un milione può essere considerato guarito. Per questo è indispensabile permettere ai pazienti di godere di una vita libera e completa dopo la fine delle cure.

Nata a Roma nel 1997, Maria Vittoria Di Sangro ha iniziato i propri studi mossa dalla curiosità per le lingue e le culture straniere. Una passione, questa, che l’ha portata a vivere numerose esperienze formative all’estero.