Il cambiamento climatico è una sfida di portata mondiale, impossibile da affrontare se non in spirito di cooperazione. Sappiamo che il processo di decarbonizzazione globale richiede investimenti ingenti in nuove tecnologie e nel sostegno alla transizione dei settori hard to abate: il dispiegamento di risorse necessario a livello mondiale è stimato pari a 4 trilioni di euro l’anno da qui al 2030. Mobilitare questa cifra spetta in primis alle economie più avanzate, alle quali gli impegni internazionali assegnano il compito sia di praticare la transizione a livello domestico sia di sostenere i Paesi più poveri.
Nel mezzo tra Nord e Sud del mondo, i BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) assumono un ruolo sempre più prominente. Da un lato, i cinque rappresentano le potenze mondiali più popolose e tra le economie più imponenti del pianeta. Al contempo, questi Paesi godono senz’altro di livelli di benessere inferiori rispetto a quelli dell’Occidente. La posizione dei BRICS si articola tra una resistenza alla transizione verde, che rischia di danneggiare la competitività delle loro manifatture, e la tentazione di porsi come guida alla crescita sostenibile dei Paesi in via di sviluppo. A riprova di questa tensione, l’incontro tra Paesi BRICS tenutosi tra il 22 e il 24 agosto ha aperto i battenti a sei nuovi membri: Emirati Arabi Uniti, Argentina, Egitto, Etiopia, Iran e Arabia Saudita.
Quanto ad emissioni, il BRICS+ a undici ha un peso innegabile. La Cina, che è responsabile del 31,5% delle emissioni di gas serra mondiali legate alla generazione di energia elettrica, è un attore irrinunciabile della transizione a uno sviluppo a basso impatto. L’India, che produce il 6,7% delle emissioni mondiali, gioca a sua volta un ruolo determinante.
Emissioni di CO2 per la produzione di energia elettrica nel 2021 (%, Mt CO2eq)
I dati sulle emissioni vanno, chiaramente, messi in relazione con lo spessore demografico dei Paesi in questione. Il rapporto tra emissioni e popolazione rivela che Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita registrano dati per capita superiori agli Stati Uniti, mentre sei Paesi BRICS+ emettono più della media mondiale e più dell’Unione Europea. Argentina, Egitto, Brasile, India ed Etiopia si trovano in coda alla distribuzione, con emissioni pro capita di gran lunga inferiori a quelle degli altri membri del club.
Emissioni di CO2 per capita nei paesi BRICS+ a confronto con media mondiale, USA e UE
A ragione delle dimensioni imponenti delle loro popolazioni, Cina e India vanno affermandosi come attori decisivi della transizione energetica mondiale. Così stando le cose, i dati dimostrano ampiamente che è necessario invertire la rotta: il percorso di sostenibilità intrapreso dalle grandi economie Occidentali, quali Unione Europea e – meno convintamente – USA, negli ultimi decenni rischia di essere annullato dalle tendenze di Cina ed India, dove le preoccupazioni ambientali non sempre sono in armonia con i piani di sviluppo economico.
Emissioni di gas serra da parte dei principali inquinatori mondiali
In Cina, nonostante il rapido sviluppo di una manifattura di tecnologie per le energie pulite (tra tutti, i pannelli fotovoltaici), la dipendenza dai combustibili fossili è destinata a permanere per garantire la sicurezza energetica. Alla scorsa COP27, l’India è rimasta vaga quanto alla strategia Zero emissioni per il 2070. Preoccupa la forte dipendenza dal carbone, che costituisce il 75% del mix di generazione elettrica; nei mesi di aprile, maggio e giugno 2023 l’India ha superato per la prima volta l’Europa per emissioni derivanti dalla produzione di elettricità da combustibili fossili.
Emissioni causate dalla generazione elettrica da fonti fossili in India e in Europa
Il più recente vertice BRICS, ospitato dal Sud Africa, promuoveva una “partnership per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo sostenibile e un multilateralismo inclusivo per l’Africa”. Il tema della transizione equa (la just transition) è centrale: si afferma che, nel perseguire le necessarie e urgenti trasformazioni sarà necessario gestire i rischi associati al cambiamento climatico in uno spirito di collaborazione, in cui i Paesi a rapida crescita assumono un ruolo di guida.
Anche il vertice G20 ospitato dall’India tra 9 e 10 settembre sembra affermare la volontà, in particolare dell’India di Modi, di assumere una veste più incalzante nelle traiettorie di decarbonizzazione del Sud del mondo. L’intenzione è confermata da due iniziative del Paese ospitante: il Green Hydrogen Innovation Centre, per promuovere la cooperazione in ambito di generazione elettrica dall’idrogeno, e la Resource Efficiency and Circular Economy Industry Coalition, cui spetta il compito di promuovere un’equa distribuzione dei rifiuti e un’efficiente gestione dei flussi di materie prime secondarie tra tutte le regioni del globo. Tuttavia, l’assenza di Xi Jinping e Putin, dettata dall’imbarazzo legato alla crisi russo-ucraina, ha impedito che si presentasse un fronte unito al tavolo dei grandi del mondo.
Il coinvolgimento di Paesi in via di sviluppo nel processo di decarbonizzazione è un passaggio da accogliere con favore, viste le potenzialità di crescita economica e di impatto ambientale delle economie in rapida espansione. Tuttavia, sembra manchi ancora la necessaria coesione per far sì che questo nuovo gruppo diventi determinante nel mobilitare i capitali necessari alla transizione del Sud del mondo.