In un contesto di mancati turnover, salari stagnanti e pressioni crescenti, i lavoratori del settore medico sanitario sono sempre meno. A questo quadro si aggiunge un nuovo dato allarmante: anche tra gli specializzandi di medicina risulta esserci una vera e propria fuga, con molte borse di studio che rischiano di cadere nel vuoto. Uno scenario che, oltre a peggiorare ulteriormente le condizioni lavorative di chi rimane, alimentando un circolo vizioso di allontanamento dalla professione, rischia di causare non pochi disagi ai pazienti al SSN nel suo insieme, in particolare in alcuni reparti.

SOS PROFESSIONI MEDICHE SANITARIE

Già negli ultimi anni, numerosi indicatori avevano evidenziato il calo dell’attrattività delle professioni mediche, con migliaia di posti di lavoro non assegnati a causa di turnover mai colmati e di un crollo delle disponibilità lavorative in interi settori. Le cause di ciò furono ricercate nelle fasi economiche atipiche e oggettivamente complicate, con la pandemia che, oltre a scombussolare complessivamente il mercato del lavoro, aveva anche portato ad un’esplicita riconoscenza di quanto il settore medico e sanitario potesse essere lavorativamente gravoso e intenso, oltre che fondamentale per la nostra società. Tuttavia, sebbene la fase acuta del Covid sia stata già superata da qualche anno ormai, non c’è alcun segnale di un rientro alla “normalità” e anzi, oltre agli operatori, ora ad allontanarsi dalla professione sono anche gli studenti e le studentesse.

È questo forse l’aspetto più inquietante, e che più desta preoccupazione a livello di governance medico sanitaria: la possibile acceleramento di un ciclo vizioso nel quale la carenza di personale non colmata, soprattutto in alcuni reparti (tra tutti, quelli più stressanti e che non consentono di guadagnare degli extra di peso con l’attività privata), possa portare al peggioramento delle condizioni lavorative dei professionisti in servizio in termini di turni orari di lavoro, turni e stress, e, conseguentemente, ad un ulteriore allontanamento delle giovani generazioni dalle professioni del settore. Questo rischia di essere ulteriormente accelerato anche dalle nuove tendenze lavorative dell’era post-Covid, nella quale, soprattutto chi ha completato il percorso di sudi e si appresta ad entrare nel mondo del lavoro, nella scelta del percorso professionale dà crescente priorità a fattori quali le condizioni lavorative, il work-life balance e il benessere psicologico e fisico prima ancora che economico. Razionalmente, tuttavia, è innegabile come anche quest’ultimo elemento influisca sugli indirizzi professionali dei più giovani i quali, secondo gli ultimi dati, in molti casi ottenuta la laurea in materie mediche preferiscono entrare subito nel mondo del lavoro, magari all’estero o nel privato, guadagnando molto più dei loro colleghi specializzandi.

A VUOTO UN POSTO SU TRE, UN DATO ALLARMANTE

Questo quadro trova riscontro nei dati resi pubblici negli ultimi giorni in occasione dei round finali di assegnazione delle borse di specializzazione annuali per i tanti corsi previsti dal nostro ordinamento (ce ne sarà un ultimo il 31 ottobre), dai quali emerge che a rischiare di non venire assegnate quest’anno sono circa cinquemila borse di specializzazione medica, poco meno di una su tre. I posti che risultano occupati sono infatti circa solo 11.688 dei 16.165 totali, ovvero il 72% – un dato che conferma, e aggrava non di poco, la tendenza dell’ultimo biennio (le assegnazioni erano del 90% nel 2021 e del 85% nel 2022). A risultare confermata è anche la grande disomogeneità tra i settori per i quali si fa domanda, con 21 delle 50 aree di specializzazione che risultano essere già esaurite mentre per altre la percentuale di posti assegnati è di poco superiore al 10%. Ad attrarre è invece il settore privato, contesto dove tendenzialmente i salari sono maggiori, solitamente svolgendo un lavoro anche meno pesante, e dove non ci sono vincoli sull’attività libero professionale.

Tra le specializzazioni più ambite risultano infatti esserci quelle più praticabili anche attraverso attività private o autonome, quali neurologia, neuropsichiatria infantile, otorino, pediatria, radiologia, reumatologia, ma anche chirurgia plastica ed estetica, dermatologia, endocrinologia e malattie del metabolismo, ginecologia, malattie dell’apparato cardiovascolare, dell’apparato digerente, di quello respiratorio. All’estremo opposto dello spettro troviamo invece i settori caratterizzati non solo da turni lunghi, ma anche da grandi responsabilità mediche e legali, come quelli legati al pronto soccorso. Tra i dati più preoccupanti troviamo infatti la medicina d’emergenza-urgenza, per la quale risulta da assegnare il 76% delle borse dopo due anni in cui soltanto 600 specializzandi hanno intrapreso questo percorso in Italia (circa uno specialista ogni 100 mila persone). Allo stesso modo, destano preoccupazione virologia (89% delle borse ancora da assegnare), chirurgia generale (56% da assegnare) e rianimazione (53% da assegnare), ma anche geriatria – disciplina sempre più richiesta dato l’avanzamento demografico del nostro paese, ferma al 62% di borse assegnate, e Medicina di comunità e cure primarie – il settore con meno immatricolati in assoluto.

IL CALO DEI MEDICI DI MEDICINA GENERALE

Un ulteriore fattore che desta preoccupazione è il calo del numero di medici di medicina generale (MMG), una categoria di professionisti caratterizzati anche da un’età media in fortissima crescita. In termini assoluti, tra il 2019 e il 2021, il numero di medici di medicina generale in Italia si è ridotto di 2.178 unità nonostante si trattasse di anni particolarmente duri per via della pandemia, raggiungendo quota 6,81 operatori per 10.000 abitanti. Come riportato nello studio I-Com realizzato in collaborazione con Doctolib e presentato lo scorso 18 ottobre, questi dati si inseriscono in una tendenza già delineata precedentemente: basti pensare che, dal 2015 al 2022, la quota di MMG su 10.000 abitanti è addirittura calata del 9,9%, arrivando nell’ultimo anno di rilevazione a un rapporto tra cittadini assistibili e MMG pari a 1237 pazienti per medico. Secondo queste tendenze, AGENAS che nel 2025 in Italia mancheranno 3.632 medici di medicina generale, con un picco di carenze che registrerà nel Lazio (-584), seguito da Sicilia (-542), Campania (-398) e Puglia (-383).

L’EFFETTO DELLO STRESS E DELL’ETÀ

Il rischio burnout è sempre più elevato anche tra i medici di medicina generale tra i quali, alla già presente carenza di colleghi e alla burocrazia asfissiante, il Covid-19 ha acuito ulteriormente il fenomeno facendo ricadere sulle spalle dei professionisti gli stress dovuti alle interazioni continue con i pazienti. Secondo un’analisi pubblicata dall’Istituto Piepoli nel marzo 2023 per la Federazione degli Ordini dei medici (Fnomceo), la quota di medici che si dichiara stressata raggiunge il 90%, con l’11% di questi che dichiara di aver registrato tra il 2020 e il 2022 anche problemi di salute che prima non aveva. A pesare sono i flussi di e-mail, piattaforme social o ministeriali da aggiornare con costanza, oltre al continuo contatto via WhatsApp o, più recentemente, anche via telefono, che aggravano le già note fatiche professionali e psicologiche tipiche del settore, causando disturbi del sonno, ansie, ma anche un ulteriore aumento dei carichi di lavoro e di tempo sottratto alla vita privata.

In questo contesto, risulta indispensabile evidenziare come un altro fattore fondamentale sia dato anche dall’avanzamento dell’età media dei medici italiani. In particolare, i dati Istat evidenziano come tale situazione sia particolarmente gravosa tra i medici di medicina generale, dove le tendenze segnano da anni uno scenario che desta preoccupazione. Ad oggi si ha infatti che per ogni medico con meno di 20 anni di carriera ce ne sono 6,4 che hanno superato questa soglia mentre, se confrontiamo chi ha oltre 27 anni di carriera con chi ne ha meno di 6, il divario diventa ancora più grande, con un rapporto di 1 ogni 45.

TAMPONARE LA FUGA: DALLA LEGGE DI BILANCIO UN PRIMO ADEGUAMENTO SALARIALE

Per tentare di arginare il fenomeno, il Ministero della Salute è corso ai ripari tentando di agire sulla leva salariale. Nelle prime bozze della legge di bilancio, infatti, risulterebbe uno stanziamento di 2,4 miliardi per il rinnovo dei contratti e un primo adeguamento dei salari. Tuttavia, secondo il sindacato di categoria Anaao Assomed, tale aumento sarà compreso tra il 5 e il 6%, meno di 5 mila euro all’anno lordi in media per medico – cifre che ancora non colmano il divario con i corrispettivi lavoratori di molti altri paesi europei.