Si è celebrata lo scorso 29 ottobre la Giornata mondiale dell’Ictus (World Stroke Day), malattia cerebrovascolare acuta che colpisce le persone a partire, principalmente, dai 55 anni di età e presenta una mortalità del 20-30% a 30 giorni dall’evento e del 40-50% a distanza di un anno. Il 75% dei pazienti che invece riescono a sopravvivere presentano qualche forma di disabilità (paralisi, difficoltà motorie e del linguaggio) che nella metà dei casi si traduce in perdita dell’autosufficienza. Tra i disturbi più comuni come conseguenza dell’ictus rientra anche la spasticità, che colpisce il 20% dei pazienti a tre mesi dall’evento.
Dunque, l’ictus costituisce un importante problema di salute pubblica sia per la sua elevata diffusione sia per la gravità delle conseguenze sulle persone colpite nonché per l’elevato coinvolgimento dei familiari del paziente e dei caregiver, con notevoli costi economici e sociali.
I DATI EPIDEMIOLOGICI
A livello globale si stima che nel 2019 l’ictus abbia causato 6,55 milioni di decessi (84,2 per 100.000), risultando la seconda causa di morte dopo la cardiopatia ischemica, con una incidenza di 12,2 milioni di casi (150,8 per 100.000) e una prevalenza di 101 milioni di casi (1.240,3 per 100.000). Anche in Europa, stando alla quinta edizione dello European Cardiovascular Disease Statistics, l’ictus si presenta come la seconda causa di morte, con 405.000 decessi (9%) negli uomini e 583.000 (13%) decessi nelle donne. In Italia, nel 2019 sono stati registrati 86.360 ricoveri per acuti in regime ordinario per ictus mentre i dati Istat indicano che nel 2018 le malattie cerebrovascolari (tra le quali l’ictus rappresenta la manifestazione clinica di gran lunga più frequente) sono la seconda causa di morte, dopo le malattie ischemiche del cuore, con 55.434 decessi (l’8,8% di tutti i decessi), di cui 22.062 maschi (7,3%) e 33.372 femmine (10,1%).
I PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO
I fattori di rischio che possono determinare l’insorgere di questa patologia si suddividono in modificabili e non modificabili.
Tra i fattori non modificabili rientrano: la familiarità; il genere e l’età. Tra quelli modificabili si elencano, invece:
• Il tabagismo (fumo e uso di altri prodotti del tabacco);
• la sedentarietà/scarsa attività fisica;
• la scorretta alimentazione (non equilibrata e ipercalorica; ricca di grassi, zuccheri e sale; povera di frutta e verdure);
• il sovrappeso e l’obesità;
• l’ipertensione arteriosa;
• le dislipidemie (valori aumentati di colesterolemia e/o di trigliceridemia);
• il diabete mellito;
• la fibrillazione atriale;
• le cardiopatie (cardiopatia ischemica, cardiomiopatie, patologie delle valvole cardiache, forame ovale pervio, aneurisma del setto interatriale);
• le vasculopatie (lesioni ateromasiche dell’arco aortico, delle carotidi e dei vasi intracranici; aneurismi cerebrali).
Altri fattori di rischio sono i disordini emorragici e trombofilici, l’anemia a cellule falciformi, la malattia renale cronica (MRC), la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS), l’uso di contraccettivi orali, la terapia ormonale sostitutiva (Hormone Replacement Therapy, HRT) in menopausa e l’assunzione di droghe (cocaina; metanfetamina o prodotti simili quali ecstasy e anfetamina; oppiacei, in particolare eroina).
L’IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE
Un ruolo importantissimo è ricoperto dalla prevenzione primaria, grazie alla quale è possibile ridurre e/o eliminare i fattori di rischio cosiddetti modificabili e di conseguenza diminuire i casi di ictus e di altre malattie cerebrovascolari. Essa, infatti, si basa sostanzialmente sull’adozione e sul mantenimento di stili di vita salutari (non fumare e non consumare altri prodotti del tabacco; praticare regolarmente un’adeguata attività fisica; evitare il consumo rischioso e dannoso di alcol; seguire una sana alimentazione, varia ed equilibrata; mantenere un peso corporeo ottimale), nonché sull’identificazione precoce e sull’adeguata gestione di eventuali fattori che aumentano il rischio di ictus, quali ipertensione arteriosa, dislipidemie, diabete mellito, fibrillazione atriale, cardiopatie e vasculopatie.
Il PIANO NAZIONALE DELLA PREVENZIONE 2020-2025 E L’ALLEANZA ITALIANA PER LE MALATTIE CARDIO-CEREBROVASCOLARI
Il Ministero della Salute ritiene la prevenzione dell’ictus e, più in genere, delle malattie cardio-cerebrovascolari un obiettivo prioritario per il contrasto alle malattie croniche non trasmissibili. A tal proposito, il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP) 2020-2025, adottato con Intesa Stato-Regioni del 6 agosto 2020, in continuità con i precedenti conferma l’approccio intersettoriale, per setting e per ciclo di vita, consolidando l’impegno delle Regioni alla promozione della salute e al rafforzamento degli interventi finalizzati all’individuazione precoce dei soggetti in condizioni di rischio per le malattie croniche non trasmissibili, tra cui le malattie cardio-cerebrovascolari, e al loro indirizzo verso un’adeguata “presa in carico”.
Il PNP mira ad agire anche sui determinanti sociali di salute (condizioni socio-economiche e culturali, urbanizzazione, politiche ambientali, povertà, ecc.) che a loro volta influenzano fortemente i fattori di rischio modificabili (tabagismo, sedentarietà, consumo rischioso e dannoso di alcol, scorretta alimentazione) che quindi solo in parte dipendono da scelte individuali. Il PNP promuove, infatti, un modello basato non solo sull’erogazione di prestazioni sanitarie, ma che mira a promuovere in maniera proattiva la salute delle persone come valore per la società e risorsa di vita quotidiana. Ogni Regione ha adottato il PNP 2020-2025 ed è ora impegnata a predisporre un proprio Piano Regionale della Prevenzione (PRP), declinando contenuti, obiettivi e linee di azione all’interno dei contesti territoriali.
Anche l’Alleanza italiana per le malattie cardio-cerebrovascolari punta ad accrescere gli interventi di prevenzione, assistenza e controllo delle malattie cardio-cerebrovascolari. Costituita nel 2017 presso la Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero, all’Alleanza aderiscono quarantasette tra Federazioni/Società di cardiologia e neurologia, medicina interna, medici di medicina generale, pediatri, farmacisti, nonché Associazioni di pazienti e altri Enti.
I CENTRI ICTUS IN ITALIA: POCA UNIFORMITÀ SUL TERRITORIO, CON LE REGIONI DEL SUD PIÙ PENALIZZATE
Grazie al miglioramento dell’efficacia delle misure preventive, terapeutiche e assistenziali dell’ictus e dei correlati fattori di rischio, inclusa la maggior diffusione su tutto il territorio nazionale dei Centri Ictus o Stroke Unit, negli ultimi decenni si è osservata una progressiva riduzione dell’incidenza e della mortalità per malattie cerebrovascolari.
In Italia sono operativi 208 centri Ictus. Tuttavia, si rileva un’elevata disomogeneità a livello territoriale. Di questi solo il 22% si trova nel Sud Italia (45 strutture) mentre le regioni del Centro ne ospitano il 26% (55 strutture specializzata nel monitoraggio e trattamento delle fasi acute dell’Ictus). Al Nord, invece, hanno sede ben 108 unità (52%) – oltre il doppio di quelle localizzate nel Mezzogiorno.
Serve, dunque, un forte impegno a livello istituzionale per ridurre le disparità territoriali affinché a tutti i pazienti, su tutto il territorio, sia garantita una presa in carico rapida e una riabilitazione completa.
Pertanto, l’Associazione Italiana Ictus chiede alle istituzioni italiane di firmare la Dichiarazione di azione dello Stroke Action Plan for Europe, come già fatto da altri 12 Paesi, per il potenziamento dell’intero percorso di cura.
Nello specifico lo Stroke Action Plan for Europe si pone quattro obiettivi primari da raggiungere entro il 2030: la riduzione del 10% degli ictus in Europa, il trattamento del 90% o più dei pazienti nelle Stroke Unit, l’implementazione di piani nazionali dalla prevenzione primaria alla vita post-malattia e l’attuazione di strategie nazionali per la riduzione dei fattori di rischio.