La transizione digitale è un fenomeno travolgente che richiede alle imprese di rimodellare il proprio business per adattarsi rapidamente ai repentini cambiamenti del mercato e poter sfruttare le opportunità emergenti. In quanto trasversale, la digitalizzazione esercita un impatto diretto su tutte le funzioni aziendali, esigendo che le imprese rivedano e ristrutturino il loro modello di business in modo da rispondere prontamente ai nuovi scenari.
Nell’ambito dell’indagine sull’uso delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni (ICT) e sull’e-commerce nelle imprese, l’ISTAT calcola l’indice di intensità digitale (DII), un indicatore composito che si basa su 12 variabili, con ciascuna delle quali che attribuisce un punto. In base al DII è possibile distinguere quattro livelli di intensità digitale delle imprese: per punteggi compresi tra 0 e 3: intensità digitale “molto bassa”; per punteggi compresi tra 4 e 6: intensità digitale “bassa”; per punteggi compresi tra 7 e 9: intensità digitale “alta”; per punteggi compresi tra 10 e 12: intensità digitale “molto alta”.
Il DII rappresenta uno dei principali indicatori di performance utilizzato per il monitoraggio nell’ambito del Decennio Digitale europeo. Quest’ultimo delinea gli obiettivi di digitalizzazione dell’Europa e stabilisce chiaramente i target concreti da raggiungere entro il 2030 in termini di competenze, infrastrutture, trasformazione digitale delle imprese e dei servizi pubblici.
Guardando agli ultimi dati diffusi da Istat lo scorso 20 dicembre 2023, possiamo notare come il livello di digitalizzazione delle aziende italiane sia ancora estremamente deficitario. La quota di imprese che presentano un DII “basso” o “molto basso” si attesta complessivamente sul 77,7%, il 19% si posiziona su un grado “alto” e solo il 3,2% fa registrare un “molto alto”.
Osservando i dati per dimensione di impresa è possibile riscontrare, come presumibile, che a presentare i livelli di digitalizzazione più bassi siano principalmente quelle di piccole dimensioni. Infatti, ben l’81% delle aziende tra i 10 e i 50 dipendenti presenta un livello di digitalizzazione “basso” o “molto basso” contro il 32% di quelle con più di 250 addetti. Sebbene sia normale che il grado di digitalizzazione sia direttamente proporzionale alle dimensioni di impresa, è opportuno ricordare che la maggior parte del tessuto imprenditoriale italiano è costituito da microimprese (imprese con meno di dieci addetti) il cui livello di digitalizzazione non viene rilevato nell’ambito dell’indagine. In Italia le microimprese sono circa 4 milioni, rappresentano quasi il 95% delle imprese attive sul territorio e più del 26% del valore aggiunto realizzato.
L’INGRESSO DELLE NUOVE TECNOLOGIE NELLE AZIENDE ITALIANE
Per valutare come le aziende italiane stiano rispondendo alla trasformazione digitale è altresì utile analizzare il tasso di adozione delle soluzioni tecnologiche più innovative come l’intelligenza artificiale (IA), l’IoT, il cloud computing, la robotica e la realtà virtuale e aumentata. Tutte queste tecnologie hanno l’obiettivo di incrementare l’efficacia dei servizi aziendali, andando a sfruttare risorse e strumenti che nel passato non erano utilizzabili e che sono in grado di fornire un valore aggiunto al business dell’impresa.
L’IA rappresenta oggi uno dei driver principali dell’evoluzione digitale, e la sua adozione nei servizi utilizzati giornalmente cresce sempre più, senza che questo sia realmente visibile agli occhi degli utenti. Tra gli elementi maggiormente caratterizzanti di questa tecnologia si evidenziano i sistemi e le metodologie di apprendimento – più comunemente conosciuti come machine learning – che richiedono l’elaborazione di enormi quantità di dati diversi e non strutturati.
Andando ad analizzare il livello di utilizzo dell’intelligenza artificiale nelle aziende italiane vediamo come, secondo i dati Istat (2023) questa tecnologia sia adottata dal 5% delle imprese. Tra le finalità maggiormente scelte dagli utilizzatori spiccano gli applicativi per l’automazione dei flussi di lavoro o il supporto nel processo decisionale (40,1%), seguiti a breve distanza dall’estrazione di conoscenza e informazioni da un testo (39,3%).
Altro esempio significativo di evoluzione e digitalizzazione è il mondo dell’Internet of Things (IoT) e quanto ruota intorno ad esso. L’ IoT rappresenta ormai una realtà, in cui numerosi oggetti e strumenti utilizzati quotidianamente risultano connessi tra loro e soprattutto ad Internet. Tra gli esempi più noti figurano le automobili, inizialmente rese connesse esclusivamente tramite box GPS-GPRS per finalità meramente assicurative, e che oggi vengono rilasciate dalle aziende automobilistiche con molteplici apparecchiature di connettività a bordo, o le stesse abitazioni, in cui le applicazioni di domotica cablata stanno lasciando sempre più spazio a soluzioni wireless sempre più alla portata di tutti, caratterizzate da servizi in cloud e dall’uso crescente dell’AI. Anche in ambito industriale, le tecnologie IoT stanno contribuendo in maniera significativa alla distribuzione dell’intelligenza all’interno dei sistemi di produzione.
Focalizzando l’attenzione sul contributo che i dispositivi IoT stanno dando alle aziende italiane, vediamo come ben il 32,3% delle imprese attive nella Penisola al 2021 (ultimo dato disponibile) stava già utilizzando tali apparecchiature. In particolare, la finalità principale per cui le aziende italiane si sono affidate all’IoT è la sicurezza (73%), seguita dalla sensoristica utile a monitorare e automatizzare i processi produttivi (42%).
La continua crescita di servizi implementati nel cloud, come ad esempio l’utilizzo di applicazioni Software-as-a-Service (SaaS) e di sistemi Infrastructure-as-a-Service (IaaS), sta ulteriormente rivoluzionando il modello di servizio delle aziende. L’adozione di servizi SaaS, erogati dai cloud provider, è in continua crescita. Questo è dovuto principalmente al paradigma di accesso dei servizi SaaS i quali, essendo raggiungibili su rete internet in modalità anywhere-anytime, favoriscono lo sviluppo delle aziende incrementandone l’efficienza. Al contempo, anche le infrastrutture IaaS vedono un rapido incremento, soprattutto perché rendono più snello e dinamico l’asset aziendale, talvolta accelerando l’implementazione dei servizi.
Gli ultimi dati Istat (2023), evidenziano come le aziende italiane che hanno acquistato servizi di cloud computing sono ben il 61,4% e il 55,1% delle stesse si sta servendo di almeno un servizio di livello avanzato.
Un’altra tecnologia di particolare rilevanza per un Paese a forte vocazione manifatturiera come l’Italia è la robotica. Le ultime rilevazioni Istat evidenziano come, nel 2022, il 9% delle attività economiche italiane con almeno 10 dipendenti utilizzasse dei robot (Fig.1.6). Tale quota è più che doppia tra le aziende del comparto manifatturiero, in cui la penetrazione dei robot si attestava sul 19%. La principale motivazione che ha spinto le imprese italiane ad avvicinarsi alla robotica è la “garanzia di un elevata precisione o di una qualità standardizzata dei processi e/o beni servizi prodotti”, segnalata dal 90% delle aziende italiane (92% per il manifatturiero), seguita da una maggiore sicurezza sul lavoro (72%) e dalla possibilità di ampliare la gamma dei propri prodotti (56%).
L’Uso dei Robot nelle imprese con almeno 10 dipendenti (2022)
Un’ulteriore certificazione dell’importanza che ha la robotica per le aziende italiane viene dai dati contenuti nel rapporto World Robotics 2023 pubblicato dall’International Federation of Robotics lo scorso settembre. Dalle rilevazioni, l’Italia risulta il sesto mercato mondiale per numero di robot industriali installati nel 2022 (11,5 mila). Particolarmente interessante è la variazione rispetto all’anno precedente: infatti, tra le 5 nazioni che precedono l’Italia nella classifica, le uniche che fanno segnalare una percentuale di crescita più elevata del nostro Paese (che si attesta all’8%) sono gli Stati Uniti (10%) e il Giappone (9%).
Come già anticipato, tra le tecnologie in grado di rivoluzionare gran parte dei processi aziendali ci sono certamente la realtà virtuale (VR) e la realtà aumentata (AR). Secondo Statista, nei prossimi anni i ricavi dell’AR e della VR a livello globale potrebbero vedere una netta impennata, passando dai €23,9 miliardi del 2022 a quota €49,9 miliardi nel 2026.
Tra le due tecnologie, quella che allo stato attuale sta riscuotendo il maggior successo è la realtà aumentata, che nel 2022 ha generato ricavi per €14,3 miliardi, previsti in crescita fino a superare i €30 miliardi entro il 2027. Questo è probabilmente dovuto al fatto che, ad oggi, gli use case della realtà virtuale nelle aziende sono ancora relativamente pochi, mentre la AR sta sperimentando già da alcuni anni uno sviluppo consistente a livello industriale. Già nel 2017 uno studio condotto da Statista ha documentato l’utilizzo della realtà aumentata da parte di grandi player manifatturieri statunitensi come Lockheed Martin e Caterpillar. Nel primo caso gli ingegneri indossano occhiali AR dotati di telecamere, profondità e sensori di movimento per ottenere immagini in tempo reale degli aerei; questo permette loro di avere a disposizione immagini di tutte le componenti del veicolo oltre che le istruzioni su come assemblarle. In Caterpillar invece la realtà aumentata consente ai tecnici di accedere a dati e immagini in tempo reale mentre eseguono le riparazioni dei macchinari; inoltre, l’azienda ha sviluppato un servizio denominato CAT LIVESHARE che consente ai meccanici di CAT, grazie all’utilizzo di device AR, di ricevere video istruzioni sulle riparazioni in tempo reale direttamente dall’azienda.
Passando all’analisi del mercato italiano di AR e VR, il nostro Paese si posiziona al terzo posto tra le principali economie UE in termini di ricavi realizzati nel 2022, con €588 milioni. Osservando la scomposizione tra le due tecnologie, i valori riscontrati nella penisola ricalcano lo scenario globale con una, seppur lieve, prevalenza della AR, che lo scorso anno ha generato un volume d’affari pari a €329 milioni.
CONCLUSIONI
Come ampiamente mostrato dai dati presentati in questo articolo, il livello di digitalizzazione delle imprese italiane appare ancora decisamente basso. Questo è particolarmente vero per quanto riguarda le PMI che, nonostante rappresentino l’ossatura del tessuto economico italiano, presentano una penetrazione del digitale ancora ampiamente insufficiente. Per garantire la competitività del sistema produttivo nazionale appare quindi quanto mai fondamentale che le istituzioni cerchino di accompagnare il più possibile le aziende di piccole dimensioni verso le nuove tecnologie. In quest’ottica un ruolo di primaria importanza potrebbe essere svolto dall’annunciato piano “Transizione 5.0”. Il successo delle precedenti versioni di questa pianificazione dimostra ampiamente la bontà della misura che però andrebbe ulteriormente ampliata, ad esempio, includendo nei beni soggetti alle agevolazioni i servizi di connettività che abilitano la comunicazioni tra dispositivi. Infatti, l’acquisto di macchinari e apparecchiature di ultimissima generazione senza la disponibilità di reti performanti, come ad esempio reti 5G private, non permetterebbe alle imprese di sfruttare a pieno le opportunità derivanti delle nuove tecnologie.