L’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO) lancia l’allarme: ben una persona su otto a livello globale convive con l’obesità. È questo uno dei risultati del recente studio pubblicato dalla rivista scientifica inglese The Lancet, nel quale viene riportato che nel 2022 questa forma di malnutrizione riguarda ormai più di 1 miliardo di persone nel mondo. Si tratta di un fenomeno in forte crescita, con un’incidenza più che raddoppiata dal 1990 ad oggi (e quadruplicata tra bambini e adolescenti), una tendenza che la rende ora la forma più comune di malnutrizione nella maggior parte dei Paesi del mondo con serie conseguenze non solo individuali ma anche per tutto lo stato di salute globale e dei singoli paesi.

MALNUTRIZIONE: DI COSA SI TRATTA?

Il nuovo studio The Lancet, pubblicato il 29 febbraio e realizzato in collaborazione con l’Organizzazione mondiale della sanità e altri centri di ricerca tra cui, in Italia, il CNR e l’ISS, offre una panoramica globale sullo stato dei fenomeni legati alla malnutrizione dal 1990 al 2022. Con più di 220 milioni di intervistati, rappresenta uno degli studi più completi – ma soprattutto più aggiornati – sul tema, e consente di ricostruire le tendenze dell’ultimo trentennio. Prima di passare ad un approfondimento dei risultati, è tuttavia necessario avere chiara la definizione di queste patologie, nonché il metodo con cui vengono rilevate.

La malnutrizione, in tutte le sue forme, comprende la denutrizione (deperimento, arresto della crescita, sottopeso), l’inadeguatezza di vitamine o minerali, il sovrappeso e l’obesità. Tra queste, sono tuttavia i due casi più estremi a destare le maggiori preoccupazioni nel mondo scientifico: la denutrizione è infatti responsabile di circa metà dei decessi dei bambini sotto i 5 anni a livello mondiale, mentre l’obesità è una patologia che riduce drasticamente l’aspettativa di vita e ne peggiora molto la qualità rappresentando, in aggiunta, un forte fattore di rischio per altre forme di cronicità, come quelle cardiovascolari, il diabete e alcuni tipi di cancro. L’obesità infantile, in particolare, è una delle più importanti sfide per le conseguenze che comporta, quali rischio di diabete di tipo 2, asma, problemi muscolo-scheletrici, e futuri problemi cardiovascolari. Non da meno sono le ripercussioni che tali condizioni hanno anche sugli aspetti psicologici, sociali ed economici degli individui, che le rendono determinanti per il benessere complessivo degli affetti e delle società.

Le diagnosi legate alla malnutrizione e alle patologie ad essa collegata sono in molti casi di facile rilevazione, elemento che ne consente – e ne ha consentito in passato – il monitoraggio e numerose analisi. Il rilevamento si basa sull’Indice di Massa Corporea (BMI) – un valore che si calcola dividendo il peso espresso in chilogrammi per il quadrato della statura espressa in metri (BMI = Kg / m2) – che stabilisce alcune soglie indicative per ciascuno stato della malnutrizione. Ad esempio, il BMI a 18,5 è il valore sotto il quale si parla di sottopeso e a 30 quello sopra il quale si rileva obesità.

L’OBESITÀ È DIVENTATA LA FORMA PIÙ COMUNE DI MALNUTRIZIONE NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI DEL MONDO

È “Globesity” la parola coniata dall’Organizzazione Mondiale di Sanità per indicare quella che ormai appare a tutti gli effetti come un’epidemia di obesità. Complessivamente, lo studio riporta infatti che l’obesità tra gli adulti è più che raddoppiata dal 1990 al 2022, un dato impressionante che si aggrava ulteriormente quando si analizza la fascia della popolazione dei bambini e gli adolescenti (dai 5 ai 19 anni), per il quale il numero di casi è addirittura quattro volte quello del 1990. Entrando nello specifico, tra gli adulti il tasso di obesità è più che raddoppiato nelle donne (dall’8,8% al 18,5%) e quasi triplicato negli uomini (dal 4,8% al 14,0%), per un totale di 879 milioni di adulti, mentre sono 159 milioni i bambini/adolescenti affetti dalla patologia (tra le ragazze si è passati dall’1,7% al 6,9%, tra i ragazzi dal 2,1% al 9,3%, con aumenti osservati in quasi tutti i paesi). I dati mostrano inoltre che, nel 2022, il 43% degli adulti era in sovrappeso, una condizione che, in alcuni casi, può aggravarsi portando anche a nuovi casi di obesità.

Come prevedibile, l’obesità si conferma condizione più frequente del sottopeso nei Paesi a medio-alto reddito, sebbene sia importante evidenziare come la recente propensione ed attenzione a stili di vita e abitudini alimentari più sane ne abbia rallentato l’aumento. Tolti gli straordinari casi delle isole del Pacifico (a Tonga, Samoa, Tuvalu, Tokelau e altre la percentuale di persone con casi di obesità super il 70% della popolazione) che confermano il proprio primato nella classifica tra i paesi con la maggiore incidenza, più del 25% della popolazione registra infatti condizioni di obesità in numerosi paesi “occidentali”, tra cui gli Stati Uniti (44%), la Nuova Zelanda (36%), l’Australia (30%) e il Regno Unito (28%). Il dato migliora leggermente, e si aggira intorno ad un valore medio del 20% per numerosi paesi europei, tra cui il Portogallo (23%), il Belgio (21%), la Germania (19%) e l’Italia (18%), mentre intorno al 10% troviamo Spagna (13%) e Francia (10%).

Parallelamente, dal confronto tra le mappe, emergono (almeno) altri due elementi significativi. Il primo riguarda il Sud America, nel quale – a differenza di ciò che veniva registrato nel 1990 – oggi giorno circa metà della popolazione registra a tassi di obesità critici. Il secondo si riferisce a una tendenza in crescita anche tra i paesi storicamente caratterizzati da PIL pro-capite inferiori, quali Cina, India, ma anche molti paesi dell’Africa.

Da tale quadro emerge un ulteriore novità: per la prima volta nella storia l’obesità è diventata la forma più comune di malnutrizione nella maggior parte dei Paesi del mondo. Bisogna evidenziare come tal primato sia stato “favorito” anche dai tassi di denutrizione, in calo di circa la metà, tra la popolazione adulta, dal 1990. Di rilevanza è anche l’andamento delle percentuali di bambini e adolescenti affetti da sottopeso che, sebbene in misura minore, registrano anch’esse una diminuzione: la contrazione è stata di circa un quinto tra le ragazze e di un terzo tra i ragazzi.

Complessivamente si registrano infatti circa 550 milioni di casi di denutrizione nel mondo nel 2022, un dato comunque molto significativo che non può far dimenticare come, in molti luoghi, in particolare nel Sud-est asiatico e nell’Africa sub-sahariana, tale condizione raggiunga livelli critici e rappresenti ancora una sfida per le popolazioni locali e la salute pubblica. Inoltre, è importante evidenziare che questi valori risalgono al 2022, anno in cui le conseguenze di diversi nuovi conflitti non avevano ancora pienamente inciso sulla produzione e diffusione di beni alimentari (basti pensare che nel 2021, oltre il 70% delle persone che affrontava una situazione di fame critica viveva in paesi colpiti da guerre). Inoltre, secondo diversi esperti nei prossimi anni sarà probabile assistere ad un nuovo aumento di casi di denutrizione per via della crescente frequenza di fenomeni catastrofici legati ai cambiamenti climatici. Sono questi ultimi ad essere al centro dell’attenzione della comunità scientifica per quel che riguarda le sfide significative alla sicurezza alimentare globale, con un numero crescente di studi e analisi che mostrano come l’aumento della temperatura, dell’umidità, delle precipitazioni e della frequenza di eventi meteorologici estremi stanno già influenzando le pratiche agricole, la produzione, ma anche la qualità nutrizionale stessa delle colture.

TRA IL 1990 E IL 2022 IL TASSO DI OBESITÀ È DIMINUITO IN SOLI 4 PAESI

I trentadue anni presi in analisi nello studio coprono un lasso di tempo in cui il mondo è cambiato notevolmente e in modo abbastanza contrastante. Da una parte, sono stati anni caratterizzati, in molte parti del mondo, da crescita economica e sviluppo (sociale, in istruzione, organizzativo, democratico), dall’altra, invece, sono state registrate nuove tendenze demografiche, ambientali e geopolitiche che hanno segnato in modo decisivo le tendenze anche in ambito nutrizionale. Questi numerosi fattori si riflettono anche nei dati relativi alla malnutrizione. Difatti, sebbene i valori relativi all’obesità siano – come detto – complessivamente in crescita, in molti casi non presentano pattern comuni tra i vari paesi degli stessi continenti.

Gli incrementi maggiori tra il 1990 e il 2022 sono stati rilevati nei Caraibi e in Centro America, macroregione che presenta 6 dei 10 paesi con maggiore crescita globale in termini di obesità. Tra questi spiccano le Bahamas (dal 22,8% al 55,8%), la Giamaica (dal 17% al 49,6%), Saint Lucia (dal 17% al 47%), e Panama (dal 14% al 44%), ma forti aumenti sono registrati anche dall’Honduras, dal Belize, e – spostandoci leggermente verso Sud – dal Cile. Tra i primi dieci paesi per maggior incremento nel numero di casi troviamo inoltre tre stati africani: in Egitto si rileva il secondo incremento al mondo per crescita (dal 29,6% al 59%), e seguono lo Swaziland (dal 17% al 45%) e la Mauritania (dal 8% al 36%). Tra i paesi UE, invece, il differenziale maggiore è registrato dalla la Romania (42° posto mondiale per crescita) che passa dall’11% al 32%.

Sono solo 4 i paesi che dal 1990 hanno visto scendere l’incidenza: Moldova, Lituania, e in particolare Francia e Spagna. I due stati dell’Europa occidentale, che già storicamente hanno sempre registrato valori minimali di obesità, segnano le decrescite record, passando, rispettivamente, dal 12% al 9% e dal 17,6% al 13%.

LA SITUAZIONE ITALIANA

La recente pubblicazione permette di avere un quadro anche della situazione dell’Italia, nella quale sono comunque attivi da numerosi anni diversi sistemi di monitoraggio dei dati relativi alla nutrizione. Il nostro è infatti storicamente un paese molto attento all’alimentazione, alla qualità della stessa e in generale agli stili di vita. Di recente il tema è stato approfondito, a livello scientifico e di policy, anche da nuovi punti di vista, ad esempio riguardanti i disturbi alimentari, anche grazie ad una rinnovata attenzione proveniente dalle fasce di popolazione giovanili.

Secondo The Lancet, la condizione di sottopeso è residuale, ma presenta un significativo divario di genere: riguarda infatti solo l’1% degli uomini (173° posizione) ma il 4% delle donne (81° posizione), trend che invece non si registra nella popolazione giovanile nella quale l’incidenza è pari al 2% (156° posizione) per le bambine-adolescenti e al 3% (150° posizione) per i bambini-adolescenti. Nessun gap di genere di registra invece nei dati relativi all’obesità, per la quale il nostro paese presenta valori che sono tra i più rassicurati a livello globale: la prevalenze di obesità nella popolazione adulta al 2022 è infatti pari al 18% sia per le donne (144° posizione) che per gli uomini (119° posizione), mentre, nella fascia di età 5-19 anni, il valore è dell’8% (103° posizione) per le bambine e del 12% (96° posizione) per i bambini. La figura, presa dal paper, presenta il confronto tra l’Italia e gli altri paesi presi in esame.

Come accennato nel paragrafo precedente, l’Italia si caratterizza per la considerevole attenzione che da anni viene destinata al tema, con vari programmi di monitoraggio e intervento portati avanti dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità. Questi sono particolarmente efficaci in quanto sono strutturati in modo tale da consentire analisi differenziate per le varie fasce d’età della popolazione e, di conseguenza, per programmare interventi più mirati. Ad esempio, il Sistema di Sorveglianza PASSI è incentrato sulla popolazione adulta (tra 18 e 69 anni), e ad oggi riporta dati aggiornati al biennio 2020-2021 che mostrano che per oltre 4 adulti su 10 si registra un BMI tra 25 e 29.9 e oltre 1 adulto su 10 un BMI ≥ 30. Rilevante è anche la suddivisione del dato per genere e fasce reddito, dalla quale si evince che l’essere in eccesso ponderale è una caratteristica più comune fra gli uomini rispetto alle donne, e che l’incidenza è maggiore nelle regioni del Mezzogiorno, e, in particolare, fra le persone con difficoltà economiche e con un basso livello di istruzione. Inoltre, il Sistema di Sorveglianza PASSI d’Argento, destinato alla popolazione con più di 65 anni, evidenzia come tali condizioni siano aumentino anche di frequenza al crescere dell’età: la maggior parte degli ultra 65enni (58,1%) risulta infatti in eccesso ponderale, con il 43,9% in sovrappeso e il 14,2% obeso.

Infine, si evidenzia la crescente attenzione destinata anche all’obesità infantile e in giovane età, per la quale l’Italia prevede, dal 2007, il sistema di sorveglianza OKkio alla Salute che ha l’obiettivo di monitorare l’evoluzione dell’obesità infantile e valutare gli interventi di promozione della salute avviati, con un dettaglio sia regionale che locale. L’ultima raccolta dati, risalente al 2019 e che ha coinvolto 50.000 bambini, evidenzia che risultava in condizioni di sovrappeso il 20,4% degli intervistati e in condizioni di obesità il 9,4% (maschi obesi 9,9%, femmine obese 8,8%). L’attenzione ai dati territoriali ha inoltre consentito di rilevare un chiaro trend geografico: come per gli adulti, le regioni del Sud presentano valori nettamente più elevati di eccesso ponderale in entrambi i generi. Con questa sorveglianza l’Italia partecipa da sempre all’iniziativa della Regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) Childhood Obesity Surveillance Initiative – COSI, risultando, anche nell’ultima rilevazione, tra le nazioni con i valori più elevati di eccesso ponderale nei bambini insieme ad altri Paesi dell’area mediterranea.

ARGINARE L’EPIDEMIA

I recenti dati evidenziano come i casi di obesità siano talmente frequenti e globalmente diffusi da poter parlare, come dichiarato dalla WHO, di epidemia. L’Organizzazione mondiale sottolinea infatti che numerose delle iniziative predisposte negli anni, come ad esempio il “WHO Acceleration Plan to Stop Obesity” non sono realmente portate avanti dai singoli stati: se si escludono le campagne mediatiche di promozione di stili di vita più sani, sono pochi i paesi in cui sono state adottate politiche che disincentivino, ad esempio, la commercializzazione di alimenti e bevande dannose rivolti ai bambini (in Italia la tanto discussa sugar tax è stata rinviata per il sesto anno di fila con l’ultima legge di bilancio) e la vendita di prodotti ad alto contenuto di grassi o zuccheri in prossimità delle scuole.

Tolti i pochissimi casi prima citati, nessun Paese fino ad oggi è infatti stato in grado di invertire le tendenze in modo definito e perdurante. Inoltre, anche dove ci sono stati lievi progressi (in particolare, ad esempio, per quel che riguarda le fasce più giovanili della popolazione), si segnala l’emergere di una nuova forma di disuguaglianza derivante proprio dalla prevalenza dell’obesità: sono infatti sempre più spesso i gruppi sociali esposti a condizioni di vulnerabilità ad essere i più colpiti dall’obesità, elemento legato anche al fatto che sono spesso i cibi più economici ad avere una minore qualità nutrizionale ed elevata densità energetica, rendendo difficile l’adozione di un’alimentazione sana ed equilibrata.

Dopo la laurea triennale in Economics and Business all’Università LUISS, ha conseguito la laurea magistrale in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata con una tesi sperimentale in Economia del Lavoro su come l’introduzione di congedi di paternità influenzi gli esiti occupazionali ed economici delle madri.