Sempre più spesso sentiamo parlare di biogas e idrogeno verde come combinazione utile per abbattere le emissioni e conferire resilienza al sistema economico nazionale ed europeo. Ma in cosa risulterà vincente questo binomio?

Il biometano e l’idrogeno avranno un ruolo chiave nella transizione energetica che l’Italia, ma più in generale l’intera Europa, sta attuando e che la vedrà impegnata nei prossimi anni. L’obiettivo è riassumibile in vari punti:

  • Diminuire le emissioni di gas serra, tutelando ambiente, salute ed economia, quest’ultima specialmente in relazione agli eventi climatici estremi che impatteranno sempre di più in maniera negativa sulla produzione nazionale (quindi il PIL);
  • Aumentare la resilienza del Vecchio Continente. Infatti, la produzione di biometano e idrogeno possono far sì che la produzione avvenga sul suolo europeo, evitando o comunque limitando il grado di esposizione al rischio che il fornitore riduca drasticamente la produzione della materia prima energetica in oggetto. Come esempio, basti pensare agli shock petroliferi nella seconda metà del Novecento e a quello che più recentemente è successo con la Russia;
  • Stimolare l’occupazione interna attraverso investimenti pubblici e privati che possano dare nuovo slancio all’economia europea.

Il biometano è il risultato della purificazione del biogas, quest’ultimo derivante dal processo di decomposizione (tecnicamente digestione anaerobica) di materiali organici di scarto, come ad esempio i rifiuti del settore agricolo. Tre aspetti rendono questo gas particolarmente utile ai fini della transizione:

  • Impatto zero. Il biometano si compone di gas prodotti dal processo di decomposizione di rifiuti organici. Una volta combusto, non vengono immesse nell’ambiente quantità aggiuntive di gas serra;
  • Valorizzazione dei prodotti di scarto. Questi vengono impiegati in quanto risorse utili nella produzione;
  • Implementazione del concetto di economia circolare, con effetti positivi sull’occupazione.

Secondo quanto riportato dall’European Gas Association (EBA), gli impianti di produzione di biometano in Europa ammontano a 1.322, mentre nel 2021 erano “solo” 1.023. In soli due anni si è dunque assistito ad un aumento di circa il 30% del totale degli impianti di biometano, sintomo di una domanda solida che deve essere soddisfatta.

A tale materia prima energetica, che ricopre un ruolo importante all’interno della transizione energetica, se ne aggiunge un’altra che nei prossimi anni vedrà aumentare il suo grado di rilevanza e pervasione all’interno del sistema economico ed energetico europeo: l’idrogeno.

L’idrogeno è un vettore energetico in grado di immagazzinare e rilasciare grandi quantità di energia per unità di massa (ovvero presenta una certa densità in termini energetici) senza generare emissioni di anidride carbonica durante il processo di combustione. Il grande vantaggio di questo elemento è la sua abbondanza sul Pianeta e, più in generale, nel sistema solare.

Tuttavia, l’estrema semplicità con cui l’idrogeno si lega ad altri elementi lo rende complesso da rintracciare allo stato puro. Questo pone la questione di come separarlo dagli atomi di altri elementi riducendo le emissioni di gas serra.

In base a come viene “estratto” l’idrogeno abbiamo diversi “colori” per caratterizzarlo:

  • Idrogeno grigio, ottenuto dalla combustione di metano (questo attualmente è il processo più comune);
  • Idrogeno blu, prodotto da metano ma con annesso un processo di cattura dei gas inquinanti;
  • Idrogeno verde, prodotto tramite l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, utilizzata per alimentare il processo di elettrolisi.

Nell’ottica della transizione energetica l’obiettivo diventa non produrre idrogeno grigio, o comunque limitarne la produzione, in quanto gli agenti inquinanti prodotti contribuirebbero ad alterare il clima con gli effetti di ricaduta più volte nominati.

Un’ulteriore modalità di produzione è quella tramite utilizzo di biometano, ovvero quel gas prodotto dal “riciclo” di materiale di scarto a “impatto zero” o, meglio, a “emissioni nette zero”. Quest’ultima modalità potrebbe accompagnare la produzione ad energie rinnovabili al fine di aumentare l’offerta e rendere più disponibile una risorsa che si vuole rendere protagonista del futuro energetico a livello europeo e, per certi versi, mondiale.

Secondo ANIMA, tra il 2025 e il 2030, l’idrogeno verde dovrebbe diventare una parte sostanziale del mix energetico europeo, con circa 40 GW di elettrolizzatori installati, all’interno dei propri confini ed altrettanti al di fuori di essi. In questa fase, l’investimento al 2030 per tale tipologia di impianti dovrebbe raggiungere un valore compreso tra i 24 e i 42 miliardi di euro.

L’infrastruttura collegata a questo “nuovo” vettore energetico dovrà essere implementata e potenziata, al fine di consentire il trasporto su lunghe distanze ed una capacità di stoccaggio non indifferente. Congiuntamente al potenziamento degli impianti di produzione e delle infrastrutture, si renderebbero necessari tra i 220 e i 340 miliardi di euro per aumentare la produzione di energia solare ed eolica, così da consentire un apporto di energia rinnovabili agli impianti di elettrolisi e, conseguentemente, la produzione di idrogeno verde.

In aggiunta a ciò, si stima un investimento di 11 miliardi di euro per adattare gli impianti già operativo attraverso la tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS). Si tratta di una misura necessaria per non perdere capacità produttiva nell’ambito della produzione di idrogeno e in prospettiva di un percorso caratterizzato da emissioni nette pari a zero.

Infine, sempre nel quinquennio di riferimento, saranno necessari 65 miliardi di euro per il trasporto, la distribuzione e lo stoccaggio per le stazioni di rifornimento di idrogeno.

Per quanto concerne l’arco di tempo 2030-2050 ci si aspetta una certa maturità rispetto alle tecnologie inerenti alla produzione di idrogeno verde, tale per cui la produzione su larga scala dovrebbe essere possibile, contribuendo effettivamente alla decarbonizzazione dell’economia europea e al raggiungimento dell’obiettivo in termini di emissioni.

La maturità prospettata, unita alla massiccia produzione di energia rinnovabile, dovrebbe consentire la produzione di idrogeno verde e lo sviluppo di una forte catena di approvvigionamento della filiera del comparto energetico.

In questa direzione, anche il PNRR si pone l’obiettivo di finanziare, facilitare e implementare progetti inerenti alla produzione di idrogeno, così da sviluppare da un lato un nuovo segmento di mercato con ricadute positive sia sull’occupazione che sul PIL, sia aumentare il grado di resilienza dell’economia nel complesso, diventando meno dipendente da fornitori esterni.

Il valore totale dell’investimento finanziato dal PNRR si aggira intorno ai 3,64 miliardi di euro, di cui 500 milioni stanziati per la creazione di 52 valli dell’idrogeno, con 26 progetti localizzati nel Mezzogiorno.

Figura 1: Numero di progetti e importo investimenti diviso per macroarea.

Vale la pena aggiungere come le infrastrutture del gas possano essere utilizzate, almeno nel breve periodo, per trasportare una certa percentuale di idrogeno in aggiunta all’idrocarburo gassoso. Infatti, nel 2019 Snam ha sperimentato l’immissione di un mix di idrogeno al 5% e gas naturale, non rilevando problematiche nella misura attuata.
È stato verificato che con quella percentuale di idrogeno immessa all’interno del mix, si è potuta trasportare una quantità di tale gas pari a 3,5 miliardi di metri cubi, ovvero il consumo di 1,5 milioni di famiglie. Una simile proporzione eviterebbe l’immissione in atmosfera di 2,5 milioni di tonnellate di anidride carbonica.

In conclusione, il biometano e l’idrogeno possono contribuire al soddisfacimento di una parte della domanda complessiva di energia e del mix energetico del prossimo futuro, con la possibilità di sfruttare, almeno temporaneamente, le infrastrutture esistenti che coinvolgono la distribuzione del gas naturale.