Qualche cenno al tentativo di regolare il lobbying in UK

Quando si parla di stasi nella legislazione sull’attività di lobbying non si deve pensare soltanto al caso italiano. Sono in tanti ad avere problemi simili al nostro. Circostanza che induce almeno due riflessioni. Primo: effettivamente intervenire su una materia così complessa è operazione delicata e dai margini di successo molto ridotti. Secondo:  non è un problema soltanto di sistema. Una volta tanto, quello italiano non è metro di paragone per ciò che non funziona. Si avvicina molto a numerosi Paesi europei, ma anche al caso statunitense. Quanto ai primi, la vicinanza è dovuta alla difficoltà di finalizzare gli sforzi di regolamentazione delle lobbies. Nel secondo caso la difficoltà è nel garantire il rispetto delle regole. Il fatto che gli Stati Uniti abbiano un sistema di regole non ha garantito affatto la tutela da episodi di malaffare.

Un caso particolarmente interessante è il Regno Unito. La democrazia più solida del vecchio continente fatica a trovare un accordo sulla legislazione per il lobbying. Accordo tanto più difficile perchè maturato in un clima di sostanziale disillusione e sfiducia verso i partiti. ç’ultimo rapporto di Transparency International dice che per il 90% degli inglesi i partiti sono corrotti e perseguono interessi di parte. Una novità recente è offerta dalla consultazione pubblica che si conclude in questi giorni. Il 31 luglio sarà l’ultimo giorno. Una consultazione costruita su poche domande, alcune (la minoranza) con risposte predefinite. Altre invece a risposta aperta. Molte di stampo generalista. Altre invece più articolate (per esempio l’ultima domanda, che chiede un’opinione sui limiti alla disclosure da imporre agli operatori del settore).

Per ora il disegno di legge è fermo alla House of Commons e aspetta di arrivare a quella dei Lords. Chi ne ha seguito l’iter ha espresso 3 perplessitàPrimo: tutte quelle possibili sulle consultazioni online. Strumento prezioso di democrazia partecipativa online, ma anche molto poco incisivo. Il caso europeo insegna. Secondo: il dubbio che il governo non abbia alcuna intenzione di velocizzare i tempi. Terzo: è utile ricordare che riformare le lobby – da sole – non serve a nulla. La riforma dev’essere integrale, del sistema istituzionale.

Direttore Area Istituzioni dell'Istituto per la Competitività (I-Com). E’ Professore in “Media, Activism & Democracy” presso la New York University – Florence, e Professore in “Global Advocacy” presso la Vrije Universiteit di Brussels.

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