Assistenza sanitaria a distanza, un’arma in più contro il Covid-19?


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Domenico Salerno
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L’emergenza sanitaria scatenata dalla pandemia di Covid-19 ha evidenziato la necessità di adottare metodi di assistenza sanitaria a distanza a scapito dell’attuale sistema ospedalocentrico.

Qualche giorno fa la regione Lazio ha deciso di dotare i positivi al virus che si trovano in isolamento domiciliare di un kit per il monitoraggio a distanza che permette trasmettere dati come la temperatura e l’ossigenazione direttamente alle autorità sanitarie via web. Un altro esempio è quello della Cooperativa Medici Milano Centro che ha messo gratuitamente a disposizione dei dottori un app per monitorare a distanza le persone contagiate da Covid-19. L’applicazione, oltre a permettere ai pazienti di comunicare al proprio medico parametri come la temperatura, la pressione, la frequenza cardiaca e respiratoria, è in grado di allertare sia il paziente che il medico nel caso in cui i dati evidenzino la necessità di un’analisi più approfondita.

Ma il problema dell’assistenza sanitaria a distanza non riguarda solo l’attuale stato di emergenza né esclusivamente i malati di coronavirus. Nel 2018 nel nostro Paese gli individui affetti da malattie croniche erano circa 24 milioni, il 40% della popolazione, con un trend che secondo l’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane continuerà a essere crescente. Fornire assistenza a un numero così elevato di persone, oltre a essere un problema complesso dal punto di vista organizzativo (vedi liste d’attesa interminabili), genera un enorme costo a carico del Sistema sanitario nazionale stimabile sui 66,7 miliardi di euro l’anno.

L’assistenza sanitaria a distanza non può certo eliminare totalmente il problema ma, tramite un monitoraggio costante dei pazienti, potrebbe evitare sia di intervenire in maniera tardiva, trovandosi così di fronte il più delle volte a gravi complicazioni, sia le ospedalizzazioni non necessarie.

Secondo lo studio dal titolo “From Healthcare to Homecare”, pubblicato dalla multinazionale svedese Ericsson, gli individui sono frustrati dai tempi di attesa per le visite mediche e il 39% dei pazienti che soffrono di malattie croniche, e che di conseguenza sono costretti a recarsi più spesso presso strutture sanitarie, preferirebbe consultazioni online rispetto alle visite tradizionali. L’analisi è stata effettuata somministrando un sondaggio a 4.500 individui utilizzatori abituali di smartphone di età compresa tra i 18 e i 69 anni e residenti in Corea del Sud, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti. Dallo studio inoltre emerge il crescente interesse dei consumatori verso i dispositivi di monitoraggio wearable: oltre il 60% degli intervistati si è detto disposto a utilizzarne uno come misura preventiva contro i disturbi cronici come il diabete e per tenere sotto controllo eventuali anomalie cardiache.

Questo interesse è stato intercettato anche dalle grandi multinazionali produttrici di device mobili che da qualche anno stanno lanciando sul mercato dispositivi indossabili sempre più sofisticati. La Apple (come approfondito in un nostro precedente articolo) ha addirittura ottenuto l’approvazione da parte della Food and Drug Administration statunitense per l’inserimento di una funzione che permette all’Apple Watch di effettuare un elettrocardiogramma dell’utilizzatore. Il device, inoltre, è in grado di individuare e di segnalare all’utente eventuali anomalie della frequenza cardiaca.

Direttore Area Digitale dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nato ad Avellino nel 1990. Ha conseguito una laurea triennale in “Economia e gestione delle aziende e dei servizi sanitari” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e successivamente una laurea magistrale in “International Management” presso la LUISS Guido Carli. Al termine del percorso accademico ha frequentato un master in “Export Management & International Business” presso la business school del Sole 24 Ore.

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