Coronavirus, la crisi dell’America Latina


Articolo
Giulia Tani
Credit: Unsplash / Milo Miloezger

L’America Latina è oggi uno dei centri della pandemia di Covid-19 nel mondo. Il numero di contagi continua a crescere a livello esponenziale, e il picco non è ancora stato raggiunto. Al 16 luglio, il Brasile risulta il secondo Paese al mondo (dopo gli Stati Uniti) per numero di casi (1.966.748) e deceduti (75.366). Anche Perù e Cile riportano un livello di contagi elevato (rispettivamente 337.724 e 321.205 casi), mentre il Messico supera l’Italia per numero di vittime(36.906, su un totale di 317.635 contagi).

Abbiamo visto come la dotazione iniziale di strutture e personale medico-sanitario sia cruciale nel determinare l’efficacia della risposta all’epidemia. In questo senso, i Paesi dell’America Latina risultano carenti: i sistemi di salute sono frammentati e diseguali, la partecipazione a schemi di assicurazione sanitaria è scarsa, la popolazione nelle zone rurali più remote non ha accesso a informazione e cure mediche adeguate. L’80% dei cittadini, inoltre, vive in centri urbani, e il 17% è concentrato in megalopoli con più di 10 milioni di abitanti (San Paolo, Città del Messico, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Bogotà, Lima). Tali città sono caratterizzate da profonde disuguaglianze: un abitante su cinque vive in baraccopoli, in cui la diffusione del virus è agevolata dal sovrappopolamento e dall’impossibilità di accedere ad acqua corrente e servizi igienici adeguati. È il caso, ad esempio, della favela Rocinha, sulle colline di Rio de Janeiro, dove la densità di popolazione supera i 47,000 abitanti per chilometro quadro.

I Paesi della regione hanno dato risposte eterogenee all’emergenza sanitaria. In Brasile l’assenza di cooperazione tra il governo centrale e i governatori degli Stati federati ha generato messaggi contraddittori per la cittadinanza. Ufficialmente le scuole e le attività commerciali non essenziali sono state chiuse, ma in molti casi è risultato impossibile far rispettare le misure di quarantena e distanziamento sociale per via delle difficili condizioni socio-economiche in cui versa gran parte della popolazione, impegnata in lavori informali, senza contratto e del tutto priva di coperture.

Anche in Messico è mancata una leadership unitaria nella gestione dell’emergenza, mentre in Perù sono state attuate misure di lockdown rigide ma poco efficaci. E se i sospetti di un errato conteggio dei decessi da Covid-19 hanno portato alle dimissioni del ministro della Salute in Cile, anche i numeri ufficiali del Venezuela risultano poco attendibili, considerate le difficili condizioni economiche e sanitarie in cui versava il Paese ben prima dell’arrivo del coronavirus. Ad oggi, Argentina e Uruguay sono tra i Paesi che hanno avuto maggiore successo nel contenimento dell’epidemia.

Le conseguenze economiche dell’emergenza peseranno sull’intero continente. Il coronavirus colpisce una regione già in sofferenza: nel periodo 2014-2019 si è registrata la crescita economica più bassa dal 1951 (pari allo 0,4%). Lo spazio fiscale dei Paesi si è ridotto, mentre l’indebitamento pubblico è aumentato da circa il 30% del Pil nel periodo 2009-2011 a oltre il 45% nel 2019. Come riporta il recente policy brief delle Nazioni Unite sull’impatto del Covid-19 nell’America Latina e nei Caraibi, nel 2020 il Pil della regione potrebbe contrarsi del -9,1%, la più grave recessione dai tempi della Grande Depressione. Tra le ragioni della crisi vi è il crollo dell’export (-20%), che riguarda soprattutto materie prime come il petrolio, e il calo degli arrivi di turisti internazionali (nei primi 4 mesi del 2020 si sono ridotti del 35% nel Centro e Sud America, e del 39% nei Caraibi). In caduta anche le rimesse dall’estero (-20% circa), che in Paesi come El Salvador e Honduras costituiscono una preziosa fonte di entrate, pari a oltre il 20% del Pil. Allo shock esterno, infine, si somma quello interno prodotto dalle misure di lockdown e distanziamento sociale.

L’America Latina è il continente più diseguale al mondo, e il coronavirus sta aggravando la situazione. Secondo il policy brief dell’Onu, la recessione innalzerà il tasso di disoccupazione dall’8,1% nel 2019 al 13,5% nel 2020. La popolazione in stato di povertà crescerà di 7 punti percentuali, raggiungendo il 37,2%, mentre il tasso di povertà estrema passerà dal’11 al 15,5% della popolazione, un incremento di 28 milioni di persone. Aumenterà anche l’insicurezza alimentare, che potrebbe interessare dagli 11,7 ai 16 milioni di persone in più a causa della pandemia. Ad essere colpiti saranno soprattutto coloro che si trovavano già in condizioni di maggiore vulnerabilità (lavoratori informali e domestici, donne, popolazioni indigene, minoranze etniche e Lgbt). Aumenterà la disuguaglianza economica: l’indice di Gini potrebbe subire un incremento tra l’1,1% e il 7,8% in diversi Paesi della regione.

Il coronavirus rischia di esacerbare indirettamente tensioni politiche già esistenti, causate dalla stagnazione economica e dal diffuso malcontento popolare verso la corruzione delle istituzioni (le proteste in strada in Ecuador, Cile e Bolivia dello scorso anno ne sono l’ultima manifestazione). “La regione è una pentola a pressione pronta a sfiatare la sua imprevedibile potenza contro tutto e tutti,” ha scritto Loris Zanatta in un recente articolo per l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi). Difficile prevedere i futuri sviluppi politici.

L’Economist ha osservato che il continente ha sperimentato solo due recessioni di portata simile a quella corrente nell’ultimo secolo, la prima scatenata dalla crisi di Wall Street del 1929 e la seconda dovuta a una serie di default del debito pubblico negli anni Ottanta. Entrambe le crisi hanno travolto i regimi politici esistenti: negli anni Trenta le forze armate hanno rovesciato i governi civili in otto Paesi della regione, mentre negli anni Ottanta le dittature allora al potere sono state abbattute in favore di nuovi governi democraticamente eletti. Se la storia dovesse ripetersi, potremmo assistere ad altri stravolgimenti, e persino a recrudescenze autoritarie. La speranza, tuttavia, è che sia un nuovo modello di sviluppo, più inclusivo e sostenibile, a trainare la ripresa economica del continente.

Laureata in Economia dei mercati e degli Intermediari finanziari, sta conseguendo il Master of Science in Economics presso l’Università di Roma Tor Vergata. Si occupa di ricerca economica e raccolta, elaborazione e analisi di dati.

Nessun Articolo da visualizzare

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.