Politiche di inclusione finanziaria, cosa sono e a che punto siamo


Articolo
Chiara Toscano
inclusione finanziaria

Alcune notevoli questioni di natura economica e sociale che rimarrebbero altrimenti irrisolte possono trovare una dimensione individuale, grazie alle varie applicazioni in diversi settori della finanza sostenibile. Si devono considerare, in particolare, l’irrefrenabile pericolosità dell’esclusione finanziaria e l’affermazione dell’inclusione.

L’esclusione finanziaria, in un’accezione molto generica, può essere definita come l’impossibilità o la riluttanza per alcuni soggetti, individui o imprese, di accedere a servizi finanziari basilari, quali conti correnti e di deposito, prestiti, servizi assicurativi e di pagamento. Nel mondo il fenomeno riguarda circa 2,5 miliardi di individui – di cui i tre quarti vivono in Asia o in Africa sub-sahariana – e oltre 450 milioni di micro, piccole e medie imprese. Le percentuali di esclusione maggiori, tuttavia, si registrano nei Paesi africani, in cui circa l’80% della popolazione si ritrova in questa situazione. Il livello di esclusione finanziaria in Italia è lievemente superiore alla media dei Paesi Ocse. Secondo l’ultima indagine campionaria sui bilanci delle famiglie italiane, l’11% degli intervistati ha dichiarato di non possedere alcun conto bancario o postale.

Con l’intensificarsi dei processi di finanziarizzazione, la piena partecipazione alla vita economica richiede in misura sempre maggiore la disponibilità di un conto corrente. Chi non lo possiede è costretto a sostenere costi aggiuntivi rilevanti. Ma quali sono i motivi che spingono queste persone a non usufruire di determinati servizi? Tra i fattori di esclusione più “sottili” ce ne sono alcuni che potrebbero essere definiti di “auto-esclusione”, cioè relativi alla percezione soggettiva da parte degli individui, che sono legati a barriere psicologiche, sfiducia, errate convinzioni, disinformazione.

Rispetto alle imprese più grandi, le piccole e le medie sono penalizzate nel reperimento di capitale di debito a causa di una molteplicità di fattori. Vi contribuiscono, da un lato, le lacune dei modelli di allocazione dei finanziamenti prevalentemente utilizzati dagli intermediari finanziari e, dall’altro, le carenze riguardanti il contesto economico, giuridico e istituzionale.

Al contrario, l’inclusione finanziaria può apportare benefici molto rilevanti, in termini sia di stimolo della crescita, riduzione della povertà e della disuguaglianza, sia di contributo alla stabilità e al ripristino della fiducia nei sistemi bancari e finanziari a seguito della crisi globale. Essa contribuisce alla riduzione della povertà in due modi. Da una parte, la disponibilità di servizi finanziari adeguati e a costi accessibili ha un impatto positivo diretto sul benessere dei meno abbienti mentre dall’altra, migliora il funzionamento del settore finanziario nel suo complesso, stimola la crescita economica e quindi, indirettamente, riduce i livelli di povertà e disuguaglianza. Oltre a essere quantitativamente modesti, i flussi di reddito dei soggetti più poveri sono spesso caratterizzati da elevata incertezza e irregolarità. La gestione di questi flussi diventa fondamentale al fine di stabilizzare i livelli di consumo.

Mercati finanziari sviluppati e ben funzionanti sono essenziali per la crescita economica nella misura in cui consentono un’allocazione delle risorse finanziarie efficace ed efficiente. Da questo punto di vista, l’adeguatezza delle infrastrutture e la qualità del contesto istituzionale sono fondamentali nella misura in cui facilitano lo scambio delle informazioni e contribuiscono a ridurre i costi di transazione. Per questa ragione la maggior parte della ricerca sulla performance dei sistemi finanziari si è concentrata fino a questo momento sulle loro caratteristiche di profondità, efficienza e stabilità.

Le Cooperative Financial Institutions sono sempre più al centro dell’attenzione di studiosi e addetti ai lavori per la loro diffusione negli anni più recenti, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e per il connesso effetto propulsivo sulle economie locali e sull’innalzamento del livello del benessere. L’accesso di categorie economicamente e socialmente svantaggiate a circuiti finanziari alternativi a quelli storicamente consolidati pone rilevanti questioni concernenti la governance, la regolamentazione e la supervisione di tali nuovi intermediari che operano spesso senza l’ausilio di specifiche regole di accesso al mercato creditizio.

Il ruolo che il G20 desidera avere è quello di favorire, a livello globale, la diffusione della conoscenza nel campo dell’inclusione finanziaria, produrre principi e standard condivisi, fornire sostegno tecnico, politico e finanziario. Il Financial Inclusion Experts Group (FIEG), composto da esperti delle Banche centrali e dei ministeri delle Finanze dei Paesi del G20, ha avviato i propri lavori nel dicembre 2009 attraverso due sottogruppi tecnici: l’Access Through Innovation Sub-Group, che si è occupato dell’accesso ai servizi finanziari e di pagamento al dettaglio attraverso canali innovativi, e l’SME Finance Sub-Group, con lo scopo di studiare i modelli efficaci per il finanziamento privato delle piccole e medie imprese.

I risultati di questo vasto lavoro sono contenuti nel rapporto dal titolo “Innovative Financial Inclusion” e sono condensati nei “Principles for Innovative Financial Inclusion”, un insieme di principi generali per l’inclusione finanziaria dei più poveri attraverso la diffusione di canali di accesso innovativi, sicuri e sostenibili.

Numerose misure di supporto pubblico sono state sperimentate nel corso degli anni, con diverso successo, sia nelle economie avanzate che nei Paesi in via di sviluppo. Tra le più diffuse ci sono i prestiti a tasso agevolato, gli istituti mutualistici e di garanzia, le banche a partecipazione statale.

Nell’esperienza italiana, l’attività di inclusione finanziaria e di microcredito ha di fatto ereditato la tradizione solidaristica che ha ispirato nel corso del tempo la nascita di soggetti con l’obiettivo di sostenere le fasce di popolazione marginale. Offrire credito a fronte della garanzia di beni di modesto valore costituiva l’originale intento dei Monti di credito su pegno. Sono stati fatti progressi in campo di inclusione negli ultimi dieci anni, come attestato dall’aumento dell’accesso alla finanza di 18 punti percentuali, anche successivamente all’iniziativa degli Stati che hanno costituito il Global Partnership for Financial Inclusion e prodotto il Financial Inclusion Action Plan confermato nel 2020 per la tutela dei cittadini residenti in regioni povere.

Il Fintech, poi, è uno strumento abilitante fondamentale ai fini di una società più inclusiva. La digitalizzazione rappresenta un trend generalizzato e irreversibile, oltre che uno strumento chiave di agevolazione per le tecnologie finanziarie. È indispensabile trovare il punto di equilibrio tra la necessità di ridurre le emissioni generate dal settore tecnologico e il ruolo di vitale importanza che le tecnologie digitali svolgono ai fini dello sviluppo economico e sociale, nonché nel mantenere connesso il mondo anche in tempi di emergenza. Il Fintech può perseguire la strada della sostenibilità e dell’inclusione sociale in vari modi. Anzitutto, permette di far affluire facilmente il risparmio sugli investimenti, compresi quelli di lungo periodo. Si tratta di un tema estremamente rilevante soprattutto oggi in cui il calo dei tassi di interesse ha reso il costo del denaro prossimo allo zero con un persistente eccesso di liquidità.

La pubblicazione “Harnessing Digitalization in Financing the Sustainable Development Goals”, divulgata a fine settembre dalla task force del segretario generale delle Nazioni Unite, mette in luce il potenziale dell’applicazione delle tecnologie finanziarie per lo sviluppo sostenibile. La task force ha l’obiettivo di comprendere l’impatto sul settore finanziario e sullo sviluppo sostenibile.

La percezione dell’importanza del tema trova riscontro nelle iniziative perseguite da Paesi economicamente avanzati o ancora emergenti, dagli organismi internazionali concretamente disposti a ridurre le diffuse e discriminanti pratiche di esclusione finanziaria che permangono in diverse e, a volte, più vicine di quanto pensiamo, parti del mondo.
Con la mobilitazione di risorse ed elevate dosi di determinazione sono stati ottenuti alcuni meritati risultati che dovrebbero renderci più che soddisfatti, convinti definitivamente di poter costruire un mondo sostenibile a partire da una finanza affidabile e a disposizione dell’intera società e non più di pochi singoli.

Ufficio stampa e Comunicazione dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Nata a Roma nel 1992, Giulia Palocci si è laureata con il voto di 110 e lode in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’università Luiss Guido Carli con una tesi sul contrasto al finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sud-est asiatico.

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