La finanza sostenibile per il rilancio delle imprese italiane (ed europee)


Articolo
Chiara Toscano
finanza sostenibile

La finanza sostenibile è indispensabile per la ripresa delle imprese piccole, medie e grandi e sono proprio loro le prime a esserne assolutamente convinte. L’Unione europea e il governo italiano hanno previsto ingenti finanziamenti per agevolare iniziative in questo senso.
Ad esempio, l’accesso alle risorse del Recovery and Resilience Facility, il principale pilastro finanziario di Next Generation Eu anche conosciuto come Recovery Fund, richiede agli Stati di destinare almeno il 37% delle riforme e degli investimenti all’azione climatica.

Per ricevere sovvenzioni e prestiti nell’ambito di questo programma, l’Italia è impegnata nella redazione di un Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) che si articola in sei missioni d’intervento, di cui due sono dedicate all’ambiente e al clima: da un lato rivoluzione verde e transizione ecologica mentre dall’altro infrastrutture per una mobilità sostenibile. A tal proposito, il segretario generale del Forum per la Finanza Sostenibile Francesco Bicciato ha osservato che “le organizzazioni che si occupano di finanza sostenibile potranno supportare il governo nel potenziare l’efficacia di progetti innovativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza su temi come la mobilità sostenibile“.

Per quanto riguarda la finanza pubblica, la legge di Bilancio numero 163 del 2016 richiede che al Documento di Economia e Finanza (Def) faccia seguito un allegato in cui sono riportati l’andamento degli indicatori di Benessere equo e sostenibile (BES) selezionati e definiti da un apposito comitato costituito presso l’Istat e le previsioni sulla loro evoluzione sulla base dei provvedimenti di politica economica che il governo intende adottare.

Nello specifico, introdotto nel 2011, il Def è composto da tre sezioni: la prima, denominata “Programma di stabilità dell’Italia“, definisce gli obiettivi di politica economica e il quadro delle previsioni economiche e di finanza pubblica almeno per il triennio successivo, la seconda elenca, invece, in maniera dettagliata le “Analisi e tendenze della finanza pubblica” mentre la terza, “Programma nazionale di riforma“, esplicita le priorità del Paese e le principali riforme da attuare, i tempi previsti per la loro realizzazione e la compatibilità con gli obiettivi programmatici indicati nella prima sezione. In realtà, non si tratta di una legge, anche se vincola politicamente le decisioni del governo e viene sottoposto alla valutazione della Commissione europea.

Il contesto normativo di riferimento è in rapida evoluzione. Gli enti pubblici e privati e le imprese dovranno adempiere a quanto introdotto dal decreto legislativo numero 254 del 30 dicembre 2016. Quest’ultimo recepisce all’interno della legislazione italiana la direttiva europea 2014/95/Ue, intervenuta a modificare la normativa previgente in materia di comunicazione di informazioni di carattere non finanziario e di informazioni sulla diversità da parte di talune imprese e di taluni gruppi di grandi dimensioni. In base alle nuove disposizioni, a partire dal 2017, una serie piuttosto ampia di soggetti economici sarà obbligata a redigere una “dichiarazione individuale di carattere non finanziario” (decreto legislativo numero 254 del 2016, articolo 3), contenente informazioni riguardanti l’impatto ambientale e sociale della gestione dell’impresa e gli strumenti adottati per prevenire le discriminazioni e combattere la corruzione.

L’obbligo riguarda tutti gli “enti di interesse pubblico“, cioè le società quotate e una serie di altre imprese, anche non quotate, attive soprattutto in campo bancario, finanziario e assicurativo oltre a tutte le aziende (anche non quotate) e gruppi con oltre 500 dipendenti e che superano almeno una delle due soglie dimensionali indicate all’articolo 2: un giro d’affari minimo di 40 milioni di euro o un totale dello stato patrimoniale superiore a 20.

Anche le imprese non soggette all’obbligo potranno redigere volontariamente la dichiarazione, indicandone la conformità con quanto stabilito dal decreto legislativo. Compete poi alla Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob) raccogliere le dichiarazioni dei soggetti obbligati, verificarne l’attendibilità, valutarne la corrispondenza al dettato normativo e, nel caso, commisurare sanzioni a carico degli inadempienti.

Il ricorso all’investimento sostenibile e responsabile presenta ancora ampi margini di progressione: solo un’azienda su tre ha preso in considerazione i prodotti di finanza sostenibile e meno del 30% ha adottato strumenti come i rating di sostenibilità o ha redatto una Dichiarazione non finanziaria.

In ambito sociale l’attenzione si focalizza sulla gestione del personale, in particolare sui temi della parità di genere, del dialogo con le parti sociali, del rispetto dei diritti umani e del contrasto a ogni forma di discriminazione. Infine, le imprese sono tenute a informare in che modo si impegnano nella “lotta contro la corruzione sia attiva sia passiva, con indicazione degli strumenti a tal fine adottati“.

È altresì obbligatorio indicare la metodologia e gli standard di rendicontazione adottati, che può essere anche autonoma, a condizione di descriverla dettagliatamente e di motivare le ragioni della sua adozione.

I tre ambiti tematici della dichiarazione ricalcano la tripartizione dei fattori di sostenibilità degli investimenti elaborata dall’ultimo rapporto del Forum europeo per gli investimenti sostenibili e responsabili. Nel mondo finanziario vengono sempre più frequentemente espressi con la sigla ESG: la “E”, che sta per la parola inglese “environmental“, indica l’impegno ambientale: energie rinnovabili, efficienza energetica, riciclo e lotta agli sprechi. La “S” indica l’impegno in ambito sociale, in particolare il modo in cui le imprese trattano dipendenti, fornitori, clienti e gli abitanti del territorio in cui operano (in termini tecnici, i diversi stakeholder). La “G” rimanda alla “governance“, e quindi al funzionamento dell’impresa, ad esempio, nell’esercizio del potere, nella trasparenza e nel rispetto della legalità.

L’80% delle aziende piccole e medie ritiene che gli operatori finanziari dovrebbero affiancare gli indicatori ESG a quelli tradizionali per valutare adeguatamente il merito creditizio. Il 70% crede di usare i dati ESG per gli stakeholder e che sia opportuno renderli disponibili al pubblico.

La definizione di investimento sostenibile, tuttavia, non è univoca. Un punto di riferimento è rappresentato dai sei principi noti come “PRI” (Principles for responsible investment), promossi dalle Nazioni Unite nel 2006 e sottoscritti su base volontaria da circa 1.500 realtà del settore finanziario che gestiscono investimenti per un valore attorno a 60.000 miliardi di dollari. Chi aderisce a questa serie di principi si impegna a incorporare le tematiche ESG nell’analisi e nei processi di investimento, nelle proprie politiche e pratiche aziendali e a ricercare trasparenza su questi fattori nelle controparti. Ma pure a promuovere la responsabilità sociale nell’industria, a cooperare per raggiungere questi scopi e a documentare le attività e i progressi realizzati.

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