Coronavirus, l’impatto della pandemia sull’ambiente. Il paper Ocse


Articolo
Giusy Massaro
impatto

La pandemia e le misure di lockdown messe in atto per affrontare la crisi sanitaria hanno avuto un grave impatto, tanto da portare a un calo significativo delle attività economiche. La ripresa sarà un processo a lungo termine e le conseguenze economiche continueranno a farsi sentire ben oltre la fine dell’emergenza sanitaria.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha di recente presentato un paper che analizza gli effetti a lungo termine della pandemia e le conseguenti ricadute sul piano ambientale. L’impatto economico varia molto da regione a regione, a seconda del grado di diffusione del virus, della durata e della severità dei lockdown attuati, ma anche delle differenze nella struttura di queste economie. Se da un lato nel breve periodo le attività di trasporto sono state fortemente colpite e, al contrario, il settore farmaceutico ha visto aumentare il livello di produzione, la bassa crescita economica, unitamente alla riduzione degli investimenti, comincerà a interessare (negativamente) un po’ tutti i settori. Stando allo studio dell’Ocse, in una prospettiva di più lungo termine gli effetti negativi inizieranno a coinvolgere i comparti a più elevata intensità di capitale, a causa di un più lento accumulo di capitale sociale, mentre servizi e agricoltura torneranno più rapidamente ai livelli pre-Covid.

A loro volta, i cambiamenti economici avranno un impatto sulle pressioni ambientali, come le emissioni di gas serra e inquinanti atmosferici e l’utilizzo di materie prime. Ad esempio, le misure di lockdown hanno portato a un temporaneo miglioramento della qualità dell’aria locale.

Le riduzioni a breve termine delle pressioni ambientali causate dall’emergenza e le misure di contenimento dell’epidemia (principalmente lockdown e distanziamento sociale) sono state significative: le emissioni di gas serra, così come quelle di alcuni dei più importanti inquinanti atmosferici, sono diminuite in un solo anno di circa il 7% al di sotto del livello base pre-Covid. Altri inquinanti atmosferici, in particolare quelli maggiormente legati all’agricoltura, hanno registrato un calo più contenuto nel 2020. Allo stesso modo, la riduzione dell’uso dei diversi prodotti varia a seconda del tipo di materiale: ad esempio, le risorse biotiche sono diminuite solo del 2%, mentre l’uso di minerali non metallici, tra cui anche quelli da costruzione, raggiungerà, secondo le previsioni, una riduzione dell’11%.

Dopo il 2020, si prevede che le emissioni riprenderanno ad aumentare, via via con la ripartenza delle attività economiche e l’avanzamento della campagna vaccinale, ritornando gradualmente in prossimità dei livelli base pre-Covid.

Ma la buona notizia è che lo studio stima un impatto al ribasso a lungo termine, potenzialmente permanente, sui livelli di pressione ambientale dell’1-3%, a seconda dell’indicatore: circa il 2% per le emissioni relative all’uso di energia e all’industria, meno della metà per lo sfruttamento del suolo e le attività più strettamente legate all’agricoltura.

Naturalmente si tratta di previsioni che risentono di un forte grado di incertezza, sia perché non è chiaro in che tempi si tornerà davvero a una vita normale, sia perché l’analisi tiene conto esclusivamente dei driver economici sulle pressioni ambientali, mentre non considera altri fattori quali il cambiamento nella composizione intrasettoriale dell’attività economica, a maggior beneficio di attività più o meno inquinanti. Ad esempio, la maggior domanda di dispositivi di protezione avrà certamente impattato sul settore della plastica. Dall’altro lato, molti Paesi hanno annunciato piani di ripresa “green”, e anche di questo lo studio non ha tenuto conto.

Research Fellow dell'Istituto per la Competitività (I-Com). Laureata all’Università Commerciale L. Bocconi in Economia, con una tesi sperimentale sull’innovazione e le determinanti della sopravvivenza delle imprese nel settore delle telecomunicazioni.

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